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La madre del giovane ucciso negli scontri del G8 a alla festa di Radio Onda d’urto

Publie le sabato 26 agosto 2006 par Open-Publishing

«Verità per il mio Carlo»

Heidi Giuliani: «Anche Paolo, il tifoso, è come se fosse figlio mio»

di Mimmo Varone

Reagisce quasi con indifferenza alla notizia che Carlo Placanica, l’ex carabiniere che nel 2001 a Genova sparò e uccise Carlo Giuliani durante le manifestazioni di protesta contro il G8, chiederà i danni ritenendosi lui la vittima. Heidi Giuliani sembra averle passate tutte, e non dà peso alla cosa. «Non abbiamo mai detto nulla contro di lui - si limita a ribattere - e non siamo noi a doverci giustificare. Noi continuiamo a chiedere un processo, una commissione d’inchiesta e la verità su ciò che è accaduto.
Lo facciamo perché non abbiamo paura della verità. E’ chi non vuole il processo che probabilmente ha paura».

Era a Brescia, ieri sera, alla festa di Radio Onda d’urto per il dibattito sul tema Violenze e omicidi di Stato: quale giustizia?». Fra non molto entrerà a palazzo madama come senatrice. «La battaglia per la verità su Carlo a Genova - dice - l’ho condotta in questi anni da semplice cittadina, entrare in Senato sarà un modo per continuare questa battaglia». Niente di più.

Ma ieri era in via Serenissima soprattutto per parlare di Federico Aldovrandi, il ragazzo ucciso a Ferrara il 25 settembre dell’anno scorso, quasi lo stesso giorno in cui Paolo, l’ultras del Brescia, finiva in coma alla stazione di Verona dopo le cariche della celere nel dopopartita. «La vicenda di Federico non è così lontana nel tempo come i fatti di Genova - dice Heidi Giuliani -, e fa parte di un buco nero della democrazia, perché non è possibile che di un ragazzo fermato alle cinque del mattino mentre torna a casa e morto dopo un’ora si stabilisca a priori che fosse una specie di furia umana». Anzi, «le testimonianze e l’autopsia dicono una cosa diversa - aggiunge - e chi trae conclusioni all’inizio non vuole che si arrivi alla verità».
C’è anche Patrizia Moretti, la mamma di Federico, al tavolo del dibattito, sotto il tendone della festa della radio.

E c’è Alessandro, del Brescia 1911. Ricostruiscono i fatti di quel settembre di un anno fa. Le centinaia di giovani assiepati sotto il tendone riservano applausi di commozione e di solidarietà. «Dopo tre mesi ho saputo che si stava archiviando il caso di mio figlio - dice Patrizia cercando di tener ferma la voce - e allora disperata mi sono mossa in Internet, sono arrivata a tanta gente e ho scavalcato l’omertà locale». Dopo sei mesi è stata aperta l’indagine, e «in sei mesi la differenza è stata la gente», dice.

La stessa gente che vuole la verità su Paolo. I suoi amici non l’hanno dimenticato, e ce n’erano tanti pure ieri sera ad ascoltare la ricostruzione di Alessandro, che avranno stampata nella memoria. Tornano gli schieramenti di polizia prima della partita, il viaggio in stazione, le cariche, l’arrivo dell’ambulanza «chiamata con codice giallo due, e i paramedici che dicono ancora due minuti e non ce l’avrebbe fatta». Cercano la verità «perché dopo non si debba più morire per gli stessi motivi», come ripete Heidi Giuliani.

Parla di suo figlio, la futura senatrice, ma anche di Luca Rossi ucciso a Milano negli anni Settanta, colpito da un proiettile sparato da un poliziotto in borghese mentre attraversava la strada. Parla del giovane ucciso con un colpo alla schiena a Bologna nello stesso periodo. «Diventano tutti figli tuoi - riflette lei - e se cerchi la verità per tuo figlio la vuoi anche per gli altri».

Sa che non è facile. E a Patrizia ricorda che la realtà va letta con attenzione. «Federico è stato ucciso in una strada dove non passava nessuno, a 200 metri da casa sua di ritorno da una serata di musica - dice -. Solo i vicini hanno ascoltato le sue grida. Carlo è stato il morto più fotografato e filmato, ma neanche le immagini a volte dicono la realtà. Tutti dobbiamo impegnarci a raccontarla e pretendere che venga raccontata in modo corretto».

Così dovrebbe essere. Eppure Patrizia, quando pensa alla vicenda di Federico, faticosamente ricostruita, deve constatare ancora che «solo il 16 giugno, 9 mesi dopo, ho saputo cosa era successo negli ultimi 10 minuti della vita di mio figlio, e grazie alla testimonianza di una signora camerunese che ha vinto la paura e ci ha dato una grande lezione di civiltà».

http://www.bresciaoggi.it/storico/20060825/cronaca/Aad.htm