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La manifestazione dell’otto luglio. Ma è ancora lecito fare opposizione?
Publie le lunedì 7 luglio 2008 par Open-PublishingLa manifestazione dell’otto luglio. Ma è ancora lecito fare opposizione?
di Alessandro Ambrosin
L’articolo 21 della Costituzione sancisce il diritto di manifestazione del pensiero, come fondamento di tutte le società portatrici dei valori del pluralismo ideologico. Ma esiste anche la libertà di astenersi, cioè il diritto al silenzio se le circostanze non rientrano appieno nel pensiero di chi non ne condivide le ragioni.
L’editoriale del Corriere della Sera di oggi, “I tre miti eterni della sinistra” a firma di Ernesto Galli Della Loggia, è la semplificazione generalista di chi esprime opinioni prettamente di parte e le rende superiori a quelle altrui, e diventa il “leit motiv” per attaccare duramente tutte quelle classi politiche e sociali avverse al dettame autoritario.
Della Loggia nel suo scritto si riferisce a quella sinistra che tenta con insistenza di unire le forze, ma poi finisce col rappresentare esclusivamente una minoranza elitaria e moralista di chi vuole imprimere la propria ragione. E lo fa dividendo in tre questioni la condizione della sinistra.
Il primo nel “mito delle due italie” dove il buonismo viene sempre impersonificato da una sinistra che si sente migliore degli altri, anche nel Dna; il secondo il mito dell’unità nel quale la sinistra pretende di essere la classe del futuro e dei buoni intenti, ma non lo è; e il terzo nel mito del moralismo, ritenuto a priori la contraddittoria manifestazione dello sparuto popolo della sinistra.
Un impeto irrefrenabile quello di Della Loggia nato sull’onda dell’evento dell’otto luglio previsto domani a piazza Navona.
Certo che un’analisi poco più approfondita sarebbe d’obbligo sulle intenzioni di chi scegli di manifestare la propria contrarietà nei limiti della pacifica convivenza e quali ragioni convivano alla base di tale scelta, e poca importanza ha chi abbia organizzato quest’evento rispetto al dissenso che l’ha provocata. In Italia, però, esiste prima uno scontro dialettico che invece di dare risposte crea ulteriore confusione, e dopo, arrivano le conclusioni dissonanti a fatto compiuto.
La stessa Costituzione vive da un pò di tempo sotto lo scacco delle varie interpretazioni personali, quando invece tutti gli articoli che la compongono e la caratterizzano dovrebbero fungere come una sorta di bibbia per l’intera società, civile e istituzionale. Ma ormai in questo marasma generale si tenta più a mescolare le carte piuttosto che portare ordine e attribuire l’indiscutibile valore alle cose, e l’unico rimedio immediato rimane quello di attaccare la voce dissonante della coscienza, qualunque essa sia. Non quella personale, intendiamoci, ma quella attribuita ai principi fondamentali.
Non servirebbe neppure scrivere sulla questione se la certezza delle regole e la conseguente informazione su di esse, almeno per quanto riguarda ila complessità di uno stato sociale fossero il punto cardine dell’intera collettività, fossero cioè rispettate da tutti, fossero parte integrante della vita sociale di ognuno di noi. Invece ciò non accade, anzi, non accade neppure di fronte agli all’evidenza dei fatti, in fragranza di reato come direbbe un pubblico ministero. Non è da dimenticare che molti di quelli che domani scenderanno nella storica piazza Navona saranno anche gli stessi che il 20 ottobre scorso si sono riversati per le strade di Roma per dissentire dal governo al quale avevano posto la fiducia. Esempio lampante di come il dissenso non sia aprioristicamente unilaterale, ma ragionato con consapevolezza.
Altro che buonismo, altro che mito del moralismo, come scrive Della Loggia, qui si tratta del buon senso di rispettare gli elementi fondanti della democrazia ora sommersi volutamente dalle parole inconsulte, risonanti nei salotti, quelli sì elitari dei talk show politici, dove si consumano le battaglie per aggiudicarsi maggiori consensi e tornaconti di parte, e dalle quali il cittadino comune trae l’idea caotica nella quale l’apparenza si sostituisce alla sostanza.
Se domani manifestare per una giusta causa è come definisce Della Loggia “eticismo condotto al limite dell’arroganza di tipo razzista”, allora siamo arrivati in una fase di decadenza.
Ma si sa la paura per molti è quella di sapere che alcuni non siano allineati, che la grande omologazione, per dirla alla Pasolini, non abbia attecchito su tutti gli strati della società. E allora giù con le sentenze, con gli spropositi pur di seppellire quella sparuta parte di donne e uomini coscienti di potersi esprimere sulle vicende del paese.
La paura che il riconoscimento possa avvalorarsi in un percorso diverso dal proprio è un timore fondato. D’altra parte le idee sono in evoluzione come la nostra stessa civiltà con la differenza che alcuni punti fermi devono per forza di cose tutelare gli interessi collettivi e non quelli personali. Non accorgersene diventa un atto di pura superbia.