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La mia Liberazione senza Grandi Fratelli

Publie le sabato 17 gennaio 2009 par Open-Publishing

La mia Liberazione senza Grandi Fratelli

di Daniela Preziosi

Parla Greco, neodirettore del giornale Prc: devo triplicare le copie

Ci ha pensato venti volte prima di accettare. Sa che la sua strada è solo salita. Bresciano, ex segretario della camera del lavoro, 56 anni, non giornalista. Iscritto Prc da dopo il congresso di Chianciano, con una lettera al segretario: «Ora che non ci sono più posti da spartire vengo con voi». Invece Paolo Ferrero un posto a Dino Greco l’ha trovato. Un posto che nessuno vuole: da oggi firma la Liberazione del post-Sansonetti. Con i sacchetti di sabbia in redazione, i giornalisti «strettamente» attenuti al contratto e che rispondono al vicedirettore, Fulvio Fania, giornalista professionista. «Eh no», replica lui: «Ho una lettera dell’Ordine dei giornalisti, dice che sono iscritto all’albo provvisorio e posso fare il direttore responsabile. Poi certo, avevo bisogno di uno bravo che conoscesse la macchina del giornale, come Fulvio».

I tuoi redattori ti considerano un commissario politico.

Spero di convincerli che il modo migliore per difendere il giornale e chi ci lavora è far uscire un giornale forte, che entri in risonanza con la nostra gente. Un giornale che si autoindebolisce in una lotta fratricida è più facile che finisca per estinguersi. L’ho detto al comitato di redazione, e al di là dello spartito che debbono suonare mi pare che ci siamo capiti: Liberazione non sarà un bollettino di partito, gestito con furore censorio da un commissario custode dell’ortodossia. Tutta la mia vita, che nessuno ha il dovere di conoscere per carità, è stata all’opposto. Se il Prc cercava un commissario, la scelta non poteva essere più sbagliata. E non mi è stato chiesto questo.

Cosa ti è stato chiesto?

Una cosa, che condivido: il giornale non persegua lo scioglimento del suo editore.

È quello che Ferrero ha contestato a Piero Sansonetti. Lo pensi anche tu?

Una cosa è la dialettica, la polemica ruvida, la difesa della libertà di espressione di cui si nutre ogni vitale processo creativo. Altro è l’attacco frontale al partito. Da lettore, penso che il giornale abbia parteggiato molto per una parte. Mi fermo qui, non sono il giudice del lavoro di Sansonetti.

Sansonetti dice di aver fatto un giornale «strano», aperto alle tante e diverse culture. Tu continuerai a farlo strano?

Liberazione vende 6mila copie. A dispetto dell’impegno di chi lo produce, l’impatto è modesto, ed è difficile sostenere che alla residualità sociale corrisponda un grande lievito culturale e politico. Quando il divario fra le ambizioni e la realtà è grande, si prova a colmarlo con un diluvio di parole. Ma è autoconsolazione. Dobbiamo uscire dalla nicchia in cui si ristagna. Facendo un giornale in cui i lavoratori, le lavoratrici, gli sfruttati, i poveri, le persone umiliate dalla discriminazione, costrette alla solitudine avvertano l’utilità e possano trovare una sponda per il loro riscatto e per la loro autorganizzazione. Non è il partito che lo chiede, semmai è il giornale che vuole riaccendere questa connessione sentimentale per sviluppare la sua missione autonoma e rendersi utile a un processo di trasformazione e cambiamento. Per me c’è un tema da prendere di petto: la rimozione del lavoro dalla cultura della sinistra ha determinato contagi insospettabili. Quello del lavoro è il terreno in cui la sinistra vince, o perde, la battaglia decisiva. E una sinistra che non ricostruisce lì le sue radici, dà per persa la rappresentanza politica del lavoro. Quando questo avviene, la sostituzione è con un confuso proteiforme opinionismo che ha per luogo di elezione la ribalta mediatica, il teatrino, il talk show, dove pensi di stare al centro del mondo e invece sei al centro di niente. Una droga dispensatrice di illusioni e gratificazioni narcisistiche.

Traduco: non avresti fatto scrivere che la vittoria di Luxuria all’isola dei famosi è paragonabile a quella di Obama.

No. Ma non facciamo macchiette. Io sto parlando di un giornale utile ed efficace.

Luxuria vi ha detto addio. Le firme dell’inserto Queer resteranno?

Nessun obbligo e nessun ostracismo. Arriveranno le voci delle pratiche sociali e dei movimenti, che non valgono meno. E poi ci sarà un gruppo consistente e qualificato di intellettuali. Queer si è autochiuso. Ma la questione è: se smarrisce la capacità di lettura unitaria dei processi, non univoca, finisci in un confuso eclettismo dove tutto si compone e scompone a piacere. Modernamente, ci si occupa di tutto senza capire né cambiare niente.

Potresti avere presto un editore che rappresenta una di queste culture che ha attraversato la Rifondazione, la psichiatria del professor Fagioli.

Ho chiarito all’editore che non accetterò di compilare qualche foglio all’interno di un involucro confezionato da altri. Nessuno spacchettamento, il giornale non avrà pezzi autonomi.

Accetteresti un articolo che dice, o suppone, che l’unica sessualità ’normale’ è quella fra un uomo e una donna?

Assolutamente no. Saremo il giornale che farà la lotta contro l’omofobia e contro il patriarcato, la forma più antica e perdurante di oppressione, quella di genere.

Farai una ristrutturazione lacrime e sangue come l’editore chiede?

La condizione che ho messo all’editore è di essere coinvolto sui futuri sviluppi dell’assetto proprietario. Sono anch’io, ora, un dipendente del giornale. E non mi dimentico di essere stato un sindacalista. Certo, abbiamo un problemino di tre milioni di euro, e i conti vanno fatti quadrare. Non puoi chiedere che un partito muoia per far vivere un giornale. Ma la migliore risposta è fare un buon piano editoriale e industriale per triplicare le copie. Se non ce la facciamo, tutto il resto, come dicono i miei compagni emiliani, sono pugnette.