Home > La mia visita a Nassiriya
Iraq. Il contingente italiano ha pochi contatti con la popolazione. Si teme che la quiete apparente preannunci tempi peggiori
de Silvana Pisa
Fin dallo scorso autunno alcuni di noi deputati pacifisti - Elettra Deiana, Paolo Cento, Pietro Folena e io - avevamo chiesto al Ministro della Difesa Martino di poterci recare a Nassyria per visitare il contingente italiano e verificare la situazione sul campo. Martino e il sottosegretario alla presidenza del consiglio Letta ci risposero che le condizioni di sicurezza dell’area non consentivano al governo di assumersi la responsabilità di garantire la nostra protezione, ma che avrebbero tenuto conto della nostra richiesta appena possibile.
E così nei giorni scorsi, proprio alla vigilia del voto di rifinanziamento della missione “Antica Babilonia”, che alla Camera è calendarizzato per il 19 luglio, in risposta ad un’analoga richiesta dell’europarlamentare Di Pietro, Martino ha fatto sapere ai presidenti delle commissioni difesa di Camera e Senato che finalmente sarebbe stata possibile una missione parlamentare a Nassyria e che, per quanto riguardava la Camera, si doveva tenere conto della richiesta precedentemente avanzata dai deputati pacifisti.
Rispetto alla situazione che avevamo verificato in una precedente missione parlamentare dell’ottobre 2003 - 15 giorni prima del tragico episodio di Animal House - abbiamo notato un aumento del livello di sicurezza, sia dal punto di vista logistico, con maggiori fortificazioni e maggiore sorveglianza, sia da quello della tutela personale: anche noi parlamentari abbiamo dovuto indossare il giubbotto antiproiettile.
L’aumento delle misure di sicurezza se è assolutamente positivo dal punto di vista della sicurezza materiale del nostro contingente, la dice lunga rispetto alla situazione sul campo. A più di due anni di distanza dall’avvio delle missione “umanitaria” la situazione è ancora tesa e piena d’insidie: un militare della Folgore - il corpo che in questo momento opera sul terreno - ci ha confessato che persino il giorno prima del nostro arrivo una pattuglia italiana era stata oggetto di un attacco.
Non siamo al livello degli scontri del 2004, ma la decantata “quiete” a Nassyria è molto fragile.
I militari italiani - uomini e donne preparati e motivati a obbedire al dettato del parlamento e che operano con grande professionalità in condizioni oggettivamente difficili e impegnative - limitano la loro attività per la maggior parte ad impegni di sorveglianza del territorio, scorta, presidi fissi, e addestramento delle forze irachene. I nostri militari - ci ha detto il generale Costantino, attuale responsabile della missione - non compiono più azioni di polizia diretta (“non spariamo un colpo”) ma lasciano il compito alle forze irachene che nel frattempo hanno iniziato ad accogliere elementi dell’ex polizia baathista.
“La maggioranza della popolazione è ancora diffidente nei nostri confronti” ci ha detto un altro militare. Nonostante il positivo impegno sanitario del presidio medico del contingente italiano, l’enfasi per la “forza amica” appartiene solo ai discorsi ufficiali di circostanza dei nuovi eletti locali, accusati di corruzione dagli sceicchi capi tribù. Controllo e agibilità del territorio sono estremamente ridotti e l’azione umanitaria è sempre più limitata a pochi contatti con la popolazione.
E’ il contesto complessivo che mostra la situazione reale: aumento anche nella zona di Nassyria della presenza degli “splinters”, gli irriducibili, aumento di esplosioni di ordigni, aumento di contrasti tra sciiti e la minoranza locale sunnita. Moqtada Al Sadr sta raccogliendo le firme per l’allontanamento delle forze occupanti: anche questo ci interroga sulle ragioni per continuare a mantenere in Iraq il nostro contingente. Un segnale di discontinuità e l’affidamento di un ruolo alle Nazioni Unite non potrebbero aiutare il processo di pacificazione iracheno?
http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=5604&numero=302




