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La nostra verità contro le loro menzogne!

Publie le sabato 18 luglio 2009 par Open-Publishing

(Tratto da infoaut.org) Da Bologna - In attesa della decisione del Riesame, a più di una settimana dalle perquisizioni e dagli arresti che hanno colpito l’Onda Anomala, una settimana intensissima di mobilitazione, di rabbia e determinazione, è fondamentale uno sforzo anche in termini analitici per elaborare, condividere e socializzare una griglia di lettura comune di questi avvenimenti. Una visuale interpretativa che aggiorni il frame entro il quale da quasi un anno si colloca il movimento contro la crisi; il tutto a partire dalla nostra posizione soggettiva di student* precar* dell’Università, dalla parzialità dalla quale siamo riusciti a diffondere una percezione diffusa che, ora più che mai, quando la crisi mette a nudo i dispositivi di comando, la palla è in mano a noi, e ci dobbiamo far trovare pronti..

A che punto è la notte? Global governance.

In un panorama che ci dice che né centro-destra/centro-sinistra, né Confindustria né i sindacati, sono in grado di elaborare risposte concrete, politico-economiche o sociali, exit strategy da questo pantano di precarietà, controllo dei territori, alienazione, polarizzazione sociale, nel quale ci hanno cacciato, non hanno altro da fare che difendersi, difendere posizioni e privilegi, in modo preventivo o immediato.
Non rimane che, dopo la risposta liberista neo-con dell’amministrazione Bush di guerra globale e permanente, per perpetuare lo stato democratico capitalista, sia necessaria una desolante conservazione nei così detti fronti interni.

Il da poco conclusosi G8 italiano, un G8 residuale nella forma, impotente nel porsi come reale centro di decisione e amministrazione globale, ci consegna alcune indicazioni precise: vogliono tentare un rilancio nel lungo periodo del sistema-mondo capitalistico che passi per una pennellata di verde, un investimento massivo di capitale nella cosiddetta "green economy" per ciò che concerne le economie a maggior intensità tecnologica e dal più lungo sviluppo capitalistico, legata all’apertura di nuovi cicli di accumulazione -..originaria..-, con forme di soft power obamiano, a partire dall’Africa; continente nel quale, omettendo i secoli di schiavizzazione dei corpi e della terra, si vorrebbe iniziare a rubare pure il sole: miriadi di centrali energetiche per sostenere "l’Occidente", fatte con la mano d’opera africana, salariata dai cinesi e sotto il controllo della polizia Usa.

Ma al contempo, ben più interessante per i movimenti, questo G8 conferma l’immagine di una global governance frammentata e senza capacità di elaborare politiche efficaci e condivise, nella totale assenza di una pianificazione effettiva: come se il terreno di battaglia che si sta giocando fosse fortemente caratterizzato dalla possibilità di sviluppare nuove forme di consenso, ideologia, immaginari, per legittimare un sistema di gestione delle esistenze sempre più nudo, sempre più senza argomenti per giustificare la continua caccia al profitto, la rendita di cui fa ampio utilizzo, la guerra. E’ come se questa crisi, che mantiene un andamento ondivago, costante ma senza esagerate esplosioni, fosse solo in attesa di qualche soggettività in grado di incanalare le pulsioni sociali latenti verso nuovi orizzonti..
Il tanto sbandierato nuovo corso keynesiano si sta dimostrando come puro paravento propagandistico, una facciata politica da tradurre in consenso. Il dato significativo è che sta iniziando a scricchiolare la capacità politica di far adeguatamente funzionare la legge del valore, il ruolo del capitale come organizzatore della forza lavoro (cognitiva in primis) e come luogo nel quale far interagire e omologare i differenti modelli con specifici gradienti di intensità dello sfruttamento che connotano il multiverso pluristratificato col quale si presenta oggi la composizione tecnica della classe globale.

Knowledge governance

Le strategie governamentali (quindi le pratiche di gestione "amministrativa" e istituzionale e il governo dei comportamenti, la standardizzazione e funzionalizzazione dei modelli antropologici), il Pensiero Unico, tentano di mostrare i saperi come neutrali, di riprodurre una forza lavoro precaria docile e disciplinata, che già nel ciclo formativo è pienamente messa al lavoro, addomesticandola ad utilizzare il proprio strumento di lavoro: il cervello umano macchinizzato, plasmato per l’interazione costante con flussi informazionali parcellizzati, come hardware da costituire per il lavoro capitalistico, in cui le competenze erogate dal sistema formativo si riducono a fornire una attitudine alla gestione di saperi/competenze per elaborare risposte nei tempi imposti dalle esigenze di mercato. Saperi come software protetti da copyright che dovremmo inserire e disinstallare a seconda delle esigenze capitalistiche, e dunque immediatamente espropriabili.
La standardizzazione delle discipline, l’introduzione di parametri di valutazione come il credito (cioè il tentativo di rendere quantificabili e oggettivabili i saperi, e dunque più facilmente sfruttabili; saperi per loro essenza ontica non inquadrabili e costantemente eccedenti dai rigidi recinti nei quali li si vorrebbe rinchiudere), la segmentazione gerarchizzante del percorso formativo (3+2, master ecc..), l’introduzione di rapporti sempre più stretti con altre istituzioni (economiche e politiche), sono tutti meccanismi atti a creare questa tipologia di forza lavoro.
Oggi la capacità intellettuale, il sapere, la conoscenza e la cultura sono merci centrali e tipiche: sia calde, cioè nel corpo di noi esseri viventi, sia fredde ed accumulate nella memoria del sistema, cioè nei mezzi (di produzione). Nelle società a capitalismo più avanzato esiste da tempo una stagnazione crescente dovuta al fatto che il mercato dei beni di consumo durevoli e voluttuari è ormai saturo e procede solo nella sostituzione forzata, la cultura merce ed il consumo-culturale diventano l’unico consumo individuale che si possa aggiungere al consumismo di massa.
Ma la capacità-attiva-umana odierna è merce soltanto nel lavoro? Poiché la capacità oggi richiestaci è soprattutto psichica, cioè intellettuale ed affettivo/emotiva, per essa e la sua formazione è sempre meno possibile distinguere fra lavorativa e non: e dunque tutta la capacità globale è merce e la cediamo durante tutte le 24 ore.
Allora la formazione è meglio definita come la riproduzione allargata del valore della capacità-
attiva-umana come merce. Capacità-umana-merce che sta calda nel corpo-precario-vivente, il quale è sempre più un coacervo sistemico di merci. La Cultura che si dice esplicita, quella della concezione umanistica (filosofia, letteratura, arte e quella parte della scienza non applicata) è merce sempre più strategica e centrale del capitalismo odierno, ipermoderno; e dunque lo sono anche le sub-capacità intellettuali e comunicative strettamente legate alla cultura umanistica merce, oggi al primo posto d’interesse del capitalista (collettivo); segue la sub-capacità emotivo-affettiva che è oggi assai oggetto di studio: per controllarla , potenziarla ed inserirla in un processo sperimentale di separazione per macchinizzarla o ancora più in generale per mezzificarla. Inoltre la cultura è entrata pure in molti segmenti dello stesso ciclo produttivo dell’automobile, dei frigoriferi, ecc, diventando parte sempre più grossa e strutturale dei cicli produttivi.

In questo contesto, il ruolo di un’istituzione come l’Università non poteva che assumere sempre maggiore centralità nel plasmare e disciplinare un segmento sociale quantitativamente e qualitativamente fondamentale per un sistema che tenta invano di uscire dal post-fordismo.
Non è ovviamente un caso che gli indirizzi strategici di mutazione dell’istituzione universitaria siano stati delineati a livello europeo, in un processo che nella propria successione temporale è pressoché indistricabile dalle nuove disposizioni sul mercato del lavoro in termini di istituzionalizzazione di rapporti precari.
A partire dal "trattato" di Bologna del 1999, il famigerato Bologna Process, possiamo formalmente collocare l’inizio della nuova offensiva capitalista per adeguare strutturalmente il ruolo dell’Università ai nuovi dispositivi biopolitici di estrazione di valore dal bios, la nuda vita, declinata in una precarizzazione sempre più intrusiva ed asfittica delle condizioni di vita dei soggetti.

Se possiamo dire definitivamente tramontato il tentativo di imporre una nuova ondata di enclosures per recintare e privatizzare i saperi con lo strumento del copyright, grazie soprattutto ai continui assalti condotti come forma di resistenza molecolare da parte di una moltitudine di pirat*, stiamo ora assistendo a nuovi tentativi da parte capitalistica di introdurre modelli per sfruttare questo ampio bacino economico che registra una sostanziale differenza qualitativa rispetto al passato: non si tratta più di produrre in economie di scala basate sull’assunto della scarsità delle risorse, ma in economie dell’abbondanza dove il profitto si orienta sulla cattura della lunga scia microsettorializzata.
Fondamentale a questo proposito cogliere la tendenza all’integrazione fra vecchi e nuovi modelli produttivi: dietro il paravento di una guerra giudiziaria (come l’ultimo processo a Pirate Bay), si sta in realtà assistendo al tentativo di coadiuvare la filiera industriale dei saperi rappresentata da case discografiche, case editrici ecc.. con le realtà emergenti (già emerse da tempo, a dir la verità..) quali Google e l’ultima generazione di social network.

Route to the sunshine..

La loro banalità..

L’Onda è stata espressione del conflitto sulla formazione e sui saperi, è stata la capacità di confronto con una delle tendenze più avanzate dello sviluppo odierno.
Non è dunque casuale né inaspettato che, in vista della prossima stagione politica, la si attacchi così duramente; oltre all’indiscusso merito di aver reso argomento comune la Crisi, strappandolo dalle mani di professionisti dell’economia e della politica, l’operazione Rewind attacca un fenomeno specifico: la capacità di continuità politica, narrativa, organizzativa, di un movimento all’interno di uno dei nodi centrali del capitalismo contemporaneo, l’Università in particolar modo.
Attorno ai dispositivi di creazione, gestione, diffusione dei saperi, si gioca una battaglia determinante: il segno che si imprime ai processi di formazione assume un valore strategico decisivo per rilanciare con forza percorsi di trasformazione sociale, di autonomia e di libertà.
Nel rifiuto di una condizione di precarietà sempre più estesa ad ogni ambito dell’esistenza, nel rifiuto di essere capitale umano, di essere merce, macchine, stanno gli elementi di meta-causalità che hanno stimolato l’Onda.

..La nostra Onda perfetta!

L’onda è stata in grado di rappresentare l’emersione dagli abissi della condizione di precarietà, co-spirando collettivamente ha prodotto una nuova aria pura e continua sulla direzione giusta, l’andare oltre la superficie, sommergere nuove terre riprendendosi diritti, reddito, saperi.
La possibilità di produrre momenti di rottura sta nella realizzazione del nostro progetto di un’università autoriformata, critica, alternativa, in cui la pratica dell’autoformazione diventi momento centrale della lotta sui saperi. Autoformazione sia come dispositivo organizzativo che come strumento di creazione e diffusione di saperi autonomi, ma anche come metodo di lotta adeguato ad intercettare l’attuale composizione del soggetto che attraversa le facoltà.
Un’ Università che non si ponga nell’ottica di risolvere tutti i problemi, ma accetti e proponga la dimensione della conflittualità come tale, come ontologica: che insegni a cercare e trovare da sé (riflettendo anche collettivamente) soluzioni originali dei problemi da un lato e dall’altro trasmetta anche le metaprocedure risolutive già esistenti.
A questo guardano i modelli padagogici della nostra formazione, promuovendo come obiettivo strategico la formazione della capacità umana, benché in contro funzione, ma per questo c’è bisogno di ricerca e conricerca, e l’università è il luogo giusto per farla.
Dunque formazione come nostra ri-formazione, come luogo in cui ci si riformi cercando di tornare tutti interi, e ri-soggettivati, e quindi anche produzione di cultura, conoscenza e pensiero autonomi: e per questo ci vogliono lotte adeguate ed organizzazione adeguata.
Ma la nostra scommessa non si racchiude solo all’interno delle mura universitarie, esonda nel tessuto metropolitano: va alla conquista di reddito, progetta la costruzione di un nuovo welfare che nasca dalla creazione di dispositivi di lotta generalizzabili che vanno dall’appropriazione diretta di case e spazi alla rivendicazione e alla pratica di un sapere liberato dal vincolo economico; un nuovo welfare che articoli campagne per la possibilità di accesso per tutt* alla comunicazione (gratuità di Internet e telefonia). La nostra è una scommessa forte che non ha paura ad intessere alleanze con altri percorsi di lotta. Questo il linguaggio che abbiamo parlato quest’anno, da qui ripartiamo per non fermarci.

Rewind, Stop.. Play Forward!

Si potrebbero fare mille considerazioni sulla forzatura giuridica e la sproporzionalità di questi arresti; già molto è stato detto e scritto, ma soprattutto ci interessa utilizzare una visuale più consona alla prospettiva dei movimenti: l’operazione Rewind, guidata dalla toga rossa Caselli, si mostra come un teorema nell’interesse di una precisa parte politica: a partire dalle tempistiche (poco prima del G8 de l’Aquila e in pieno periodo estivo), passando per le modalità operative, arrivando alla gestione mediatica (conferenze stampa con presentazioni di video della Digos e documenti della procura che appaiono come volantini propagandistici), emerge con chiarezza quali siano i reali obiettivi di questo teorema:

Innanzitutto, una chiara volontà di imporre un ordine discorsivo e di ragionamento che appartiene a quello che è stato definito come il trasversale PD-R (Partito della Repressione), accomunante il blocco conservatore/reazionario di governo e la cultura politica della "sinistra istituzionale" italiana da parecchi decenni: i movimenti come soggetti pericolosi e da reprimere, le piazze come luoghi di comportamenti disciplinati e passivi, in cui ogni minimo accenno a forme di autonomia politica, organizzativa o anche solo simbolica, viene criminalizzato;

Inoltre, mentre il blocco di potere facente riferimento a Berlusconi ha già dato ripetute dimostrazioni di volersi porre come garante dell’Ordine Pubblico (dalle dichiarazioni di Ottobre sulle facoltà occupate al decreto Maroni, passando per il Pacchetto Sicurezza, lo sciopero virtuale, la militarizzazione de l’Aquila, i respingimenti dei migranti ecc..), ora anche il blocco politico economico dell’area Pd, dopo l’attacco al premier tramite Repubblica e l’Unità, le "scosse" dalemiane e l’ennesimo round di delegittimazione internazionale, si fa vedere come in grado e ben propenso a gestire la crisi in termini di eliminazione del dissenso, dell’alterità, del conflitto sociale; se il ceto capitalistico decidesse di abbandonare il satrapo B., il Pd è pronto a sostituirlo alla perfezione in queste funzioni;

Infine, dopo un anno di mobilitazioni e in vista degli effetti reali dei tagli all’istruzione, della fine della cassa integrazione, della disoccupazione che dilagherà, un obiettivo palese motiva questi arresti: intimorire, spaventare, individualizzare ulteriormente le paure. Far capire che lo Stato, se sta eliminando il suo volto sociale, non è certo disposto a far cadere il volto duro della militarizzazione dei territori e delle galere. Che, volendo chiudere il ciclo del welfare, l’unico keynesismo che rimane è quello del watchfare, la spesa pubblica in sorveglianza e controllo, declinabile a piacimento in warfare a seconda delle esigenze.

Nella decisa risposta data dall’Onda a questi arresti è racchiuso il patrimonio di intelligenza politica che abbiamo costruito e sedimentato durante l’anno: invece che intimorirci, abbiamo saputo rilanciare in avanti.
Abbiamo affinato e comunicato gli strumenti discorsivi, analitici e di lotta per decostruire in primis il teorema accusatorio, abbiamo urlato in tantissime città che vogliamo liber* subito gli/le arrestat*. Le occupazioni dei rettorati, i cortei spontanei, i blocchi metropolitani, hanno ancora una volta dimostrato che l’Onda è ancora sulla sua rotta, con la bussola ben puntata, pronta a scontrarsi con tutti gli scogli che le si parano davanti e a superarli. E’ pronta per nuove mareggiate..
Non è un caso che uno degli slogan che hanno attraversato la mobilitazione dell’autunno passato fosse: Indietro non si torna! Ebbene, se con l’operazione Rewind volevano farci tornare sui nostri passi, speravano che noi premessimo Stop, abbiamo dimostrato che siamo più vogliosi che mai a rifare le nostre scelte, a continuare, ad andare avanti: Play Forward!
Dietro quello scudo a Torino c’eravamo tutt*, a spingere in avanti quello scudo non c’erano solo diecimila corpi, ma sono riposte tutte le nostre passioni di libertà che vogliono farsi spazio.

Media and conflicts

Un tassello fondamentale da considerare attiene alla questione mediale: la gestione di questa operazione da parte della procura di Torino e dalle questure locali è stata ragionata tatticamente in stretta simbiosi con l’apparato dei media mainstream. E’ stato ricercata la creazione di un Evento in grado di bucare lo schermo, che però non ha avuto quella coda lunga che caratterizza usualmente le dinamiche dell’informazione in questi casi.
Dopo la prima conferenza stampa con presentazione di filmati della Digos e documenti scritti per destare scalpore, si è verificata una chiusura repentina dello spazio mediatico; la mobilitazione messa in campo dall’Onda ha probabilmente superato le aspettative delle nostre controparti, e non appena questa capacità di far controcircuitare la costruzione ideologica del teorema Caselli, di prendere parola dal basso, è stata evidente, hanno in tutta fretta serrato i portoni prima che la nostra piena straripasse travolgendo le loro menzogne.
Già due giorni dopo gli arresti, Rai, Corriere della Sera (per l’ennesima volta megafono delle questure e giudice dei processi nell’opinione pubblica), Repubblica e l’Unità hanno chiuso gli occhi di fronte agli avvenimenti. Invece che gli usuali editoriali infamanti, al posto di articoli delle abituali narrazioni sul rischio del ritorno del terrorismo, il silenzio.
Possiamo considerare questo dato nella sua ambivalenza e ricavarne qualche indirizzo strategico per il futuro: a differenza di altri Eventi processuali contro i movimenti, in cui la campagna di delegittimazione proseguiva per settimane, siamo riusciti a tappare le loro bocche sputanti menzogne e anche la Procura di Torino è dovuta repentinamente ripiegare sulla difensiva.
Tuttavia, è necessario fare un passo in più.

Sottrazione e attacco

Dando assodato, nella nostra società, il paradigma governamentale che fonde medialità e politica, un sapere di rottura deve fondere teoria politica e teoria della comunicazione.
La strategia dell’Onda fino ad ora si è articolata come strategia sottrattiva, nella ricerca di sfuggire ai luoghi comuni creati dalla rappresentazione mediale; una strategia resistenziale che ha spesso funzionato, e dato i suoi frutti. Ma dall’Onda Perfetta di Torino in poi la scommessa è fare anche altri passaggi in avanti: la controindicazione di questa strategia della sottrazione è che si lascia troppo spesso l’iniziativa in mano all’avversario, si rischia di riuscir a vivere politicamente solo nello spazio temporale in cui si riesce a giocare la propria sottrazione, mentre è necessario far crescere e consolidare nel tempo la costruzione di un nostro spazio di comunicazione, un nostro frame. In termini comunicativi si tratta di fare il salto che ci compete in termini politici: dal Noi la crisi non la paghiamo! al In tempi di crisi decidiamo noi!.
La nostra sottrazione nasce dal rifiuto a mantenere in vita un sistema che per progredire succhia le nostre vite, nasce dalla volontà di non erogare più il valore di cui ha bisogno per sopravvivere, è una sottrazione che deve far mancare le fondamenta, produrre un crollo. Non è mai un passaggio difensivo o di fuga, abbiamo l’intelligenza del sapere articolare, modulare, alternare a seconda delle fasi e dei contesti, i passaggi di sottrazione ma anche di attacco, consolidare la potenza costituente dell’Onda tematizzando un dualismo di poteri all’interno delle università come passaggio tattico, senza mai scordare che la nostra università critica, alternativa, autoriformata, non vuole convivere con l’attuale governance, vuole spazzarla via! Siamo pronti a costruire le nostre comunità pirate, a difenderle, ma siamo anche pronti ad andare all’arrembaggio!

Un altro dato importante ci consegnano le lotte di questi mesi: se, dopo le bocciature della Costituzione coi voti francese e olandese e di fronte alla crisi, l’idea stessa di Europa Unita è di fatto svanita, un’altra Europa si è affacciata. Dalla Grecia alla Francia, passando per Germania, Croazia, Spagna, Islanda, Paesi baltici, si sta costruendo uno spazio europeo del conflitto, che ha recepito la grande intuizione dell’Onda italiana sulla crisi e ora grida a gran voce: We are their crisis!

Trepidanti nell’attesa di poter riabbracciare i/le nostr* fratelli e sorelle, i/le nostr* compagn*, ripartiamo da qui verso una nuova stagione di passione, conflitto e riappropriazione.

Copyriot Project-Onda Anomala Bologna.. Verso una nuova mareggiata..

tratto da infoaut.org