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La paura del governo e il movimento che impara
Publie le giovedì 23 ottobre 2008 par Open-PublishingLa paura del governo e il movimento che impara
di Simone Oggionni
Ora il governo ha paura. E quando ha paura il regime mostra i muscoli e lancia avvertimenti, schierando le forze dell’ordine contro le occupazioni.
Il presidente del Consiglio ha tenuto a farci sapere che «non arretrerà di un millimetro», e cioè che il decreto Gelmini (e i tagli, e lo svilimento della ricerca e del carattere pubblico dell’istruzione) non sarà ritirato.
Nemmeno il movimento arretrerà di un millimetro. Pacificamente, continuando a ragionare, a produrre protesta e al contempo le proposte necessarie per garantire un’alternativa reale allo sfascio che è alle porte. Mettendo in rete tra loro, come stiamo facendo, centinaia di migliaia di studenti, di insegnanti, di lavoratori della scuola, di genitori.
È questo che fa paura al governo: la crescita quotidiana e massiccia di un popolo che rifiuta lo smantellamento della scuola e dell’università italiana, la decurtazione dei già esigui fondi che sostengono il traballante edificio della produzione del sapere nel nostro Paese. E quindi lotta. Si mette in gioco in prima persona. Occupa. Autogestisce. Manifesta.
Il governo Berlusconi vorrebbe ripristinare la legalità e l’ordine costituito con le cariche della polizia e gli sgomberi forzati. Come se quelle migliaia di studenti, di ricercatori, di insegnanti che in queste ore stanno difendendo, con i propri corpi e i propri presidi permanenti, scuole e università di tutta Italia non lottassero per un principio di legalità superiore.
Quella che, in punta di Costituzione, garantisce e tutela la libertà di riunione e di espressione delle proprie idee. Quella che, sempre sul piano del diritto, difende per tutti l’istruzione e il suo carattere pubblico, universale, di massa.
Per ostacolare questo bene si ribalta ideologicamente la realtà e si mette in campo lo Stato di polizia, minacciando di reprimere e soffocare.
Come il movimento che sta nascendo ora nelle nostre università ha conosciuto nell’estate di qualche anno fa a Genova, oppure durante le tante manifestazioni dei lavoratori e dei disoccupati di Napoli, oppure ancora a Vicenza, nel vivo delle lotte contro la base militare statunitense.
Ogni atto di violenza e di sopruso, passato e presente, è stato e sarebbe un colpo mortale alla natura democratica del nostro Paese, alla sostanza e allo spirito del nostro Stato di diritto.
Perché ci sono manganellate promesse, ma ci sono manganellate già date, anche in questi ultimi giorni convulsi e potenzialmente decisivi. Come quelle di Milano, che nella nostra memoria (perché i movimenti, come si sa, hanno la capacità di narrare e tramandare con una velocità straordinaria la propria storia) rimarranno a lungo.
E nelle cariche subite, nelle percosse, nella violenza il movimento impara, si addestra. Ma – lo sappia Berlusconi - è un insegnamento apparentemente paradossale quello che ne trae. Perché alla violenza non reagirà con la violenza, ma con la sua intelligenza, la sua creatività, la sua capacità critica e di discernimento, la sua bravura nel rinforzare i legami di solidarietà e di comunanza e nel diffondere, come un virus salvifico, le nostre ragioni e le nostre parole d’ordine.
Tutto questo lo metteremo al servizio di un unico fine: costringere il governo a ritirare il decreto Gelmini e, per questa via, aiutare il Paese a rialzare la testa, uscendo dal torpore di questi mesi e inaugurando epidemicamente una nuova stagione di opposizione. Dalle scuole e dalle università alle piazze, alle fabbriche, ai mille luoghi del conflitto sociale.