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La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !"
Publie le venerdì 25 marzo 2005 par Open-Publishing5 commenti
IL RETROSCENA.
Il timore di perdere è forte, per questo
Berlusconi e Fini hanno raccolto l’appello di Storace
La grande paura della destra
"Se cade il Lazio tutti a casa"
di MASSIMO GIANNINI
FORSE esagera Rutelli, quando dice: "Berlusconi fa il comizio conclusivo con Storace? Allora Marrazzo ha già vinto". Ma è vero che la mossa del Cavaliere, a 10 giorni dalle regionali, tradisce una duplice debolezza. Quella di Berlusconi, che aveva annunciato l’intenzione di tenersi fuori dalla campagna elettorale. E quella di Storace, che macchiato dal fango di "Firmopoli" rischia seriamente di uscire sconfitto dal voto del 4 aprile. L’una e l’altra, sono le due facce di una stessa, consapevole paura: se perde il Lazio, il centrodestra perde le regionali. E se cade il Lazio, può cadere anche il governo. In queste ore, tra gli stati maggiori della Casa delle Libertà si respira un clima pesante.
La previsione ricorrente, sull’esito delle prossime elezioni, è preoccupante. "Potrebbe finire 11 a 3 per il centrosinistra", si sente ripetere. Il Polo, cioè, vincerebbe solo in Lombardia, in Veneto e in Puglia. Si infrangerebbe così quella "linea Maginot" sulla quale si erano attestati, fino a qualche giorno fa, il Cavaliere e i suoi alleati. Il ragionamento era il seguente: "Possiamo anche invertire gli attuali rapporti di forza nelle regioni italiane, che oggi ci vedono prevalere in 8 regioni contro le 6 guidate dall’opposizione. Ma se anche al prossimo voto perdiamo 9 a 5, noi conserviamo la guida delle "macro-regioni", più importanti sul piano geo-politico: Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Puglia". Era questo il senso della sortita di Berlusconi, quando un paio di settimane fa aveva detto: "Quello che conta, alla fine, è il numero complessivo di elettori che avranno votato per noi".
Oggi, sondaggi alla mano, il premier e gli altri leader della coalizione hanno perduto anche questa certezza. Dalle 5 "macro-regioni" che consideravano sicure, ormai, pare si sia sfilato sicuramente il Piemonte, dove Mercedes Bresso sembra stabilmente in vantaggio rispetto a Enzo Ghigo. E già questa sarebbe una batosta per il Polo. Perdendo il Piemonte, il centrodestra vedrebbe cedere quel "fronte del Nord" in cui, grazie anche alla Lega, dal 2001 ad oggi è stato più profondo il suo radicamento sociale. Il centrosinistra, conquistando la regione della Fiat e del San Paolo, avrebbe infilato un cuneo importante, in un’area comunque nevralgica del Paese.
Ma adesso a questo spauracchio se ne aggiunge un altro. Il Polo non è più così certo di vincere nel Lazio. L’effetto dello scandalo Mussolini si è rivelato più pericoloso del previsto. Gianfranco Fini e i suoi ostentano ottimismo: "Restiamo in testa, per molti nostri elettori, alla fine, questa vicenda avrà un effetto mobilitante". Ma più che una previsione, rischia di essere una superstizione. Il messaggio che Storace ha affidato l’altro ieri al Riformista parla da solo: "Il valore nazionale di queste elezioni dipende dal fatto che il Lazio è diventata la regione più importante del Paese... E se si perde il Lazio, il successore di Berlusconi non può che essere Prodi". L’avvertimento sembra proiettato sulle elezioni del 2006. Ma può valere anche per l’immediato: "Sostenetemi in questi ultimi giorni, perché se io perdo qui il giorno dopo voi ve ne andate da Palazzo Chigi". Questo sembra il senso vero, e neanche troppo nascosto, delle parole che il governatore uscente indirizza a Berlusconi e a Fini. Una sommessa richiesta d’aiuto, che politicamente deve essere costata molto a "Epurator", il duro e puro che ha scolpito il suo profilo politico, da destra sociale e popolare, su una forte autonomizzazione rispetto a Forza Italia e ad An.
Se l’ha fatto, è perché riconosce implicitamente la sua difficoltà. E questo spiega anche il perché premier e vicepremier, a stretto giro e contravvenendo a una promessa che avevano formulato nelle settimane scorse, hanno raccolto subito l’appello di Storace, assicurandogli il sostegno all’ultimo appuntamento di piazza della campagna elettorale. Nel Lazio si gioca ormai la posta più alta. Riguarda il governo della Regione, ma ancora di più il governo del Paese. Se Storace perde, An si sfascia, e Fini totalmente assorbito dalla Farnesina non può far nulla per impedirlo. Se An si sfascia, va in frantumi l’asse moderato che, insieme all’Udc, tenta timidamente di resistere alla ritrovata tenaglia Berlusconi-Bossi. Se cede questo già precario equilibrio, viene giù la Casa delle Libertà.
Per dissolvere questo spettro, il premier ha avuto anche la tentazione di far rinviare il voto laziale, usando l’argomento delle firme false. Il vertice di ieri pomeriggio con lo stesso Storace e con il ministro degli Interni Pisanu è servito anche per ragionare di questo. Alla fine l’ipotesi è stata accantonata, di fronte alla volontà del governatore di andare avanti fino in fondo e per evitare nuove tensioni con l’opposizione. Si è preferito far virare il vertice intorno a un improbabile e inverificabile "allarme ordine pubblico" sul voto laziale, basato su "intimidazioni e messaggi minacciosi" rinvenuti su un sito internet. È giusto che il Viminale indaghi, e che vigili con la massima attenzione. Ma qualche dubbio che si tratti di un diversivo c’è. Anche questo può essere un modo per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà oggettive della centrodestra.
Ad acuirle, in queste ultime ore, contribusce il via libera del Senato alle riforme istituzionali, imposto alla maggioranza dal ricatto della Lega. An e Udc hanno subìto ancora una volta il saldo di questa cambiale, che Berlusconi ha onorato con Bossi sotto il peso delle dimissioni false e strumentali del ministro padano Calderoli. Hanno subìto ancora una volta un testo di legge, stavolta addirittura di revisione costituzionale, che non volevano e che considerano "un pasticcio", solo per consentire al Senatur di sventolare il vessillo della devolution prima del 4 aprile. Ora Fini e Follini, difensori dell’identità e dell’unità nazionale, si trovano a fare campagna elettorale, soprattutto nel Mezzogiorno, contro un’opposizione che ha buon gioco a gridare "questa riforma spacca il Paese", e mentre persino un commentatore moderato come Galli Della Loggia parla dalle colonne del Corriere della Sera di "Patria perduta".
Questo spiega l’irritazione dei vertici di An, che attraverso Alemanno si spingono a chiedere sulle riforme "un nuovo vertice nella maggioranza dopo le regionali". Questo spiega la rabbia dei vertici dell’Udc, che spinge Follini a meditare qualche nuovo "colpo di teatro", all’indomani del voto, per tentare di rispostare al centro il timone dell’alleanza, o comunque per marcare le distanze, in vista del referendum confermativo, da una finta riforma costituzionale pretesa dal Carroccio e concessa dal Cavaliere. Siamo, di nuovo, alle soglie di una "verifica permanente".
Iniziata dopo un’altra tornata di elezioni amministrative perse dal centrodestra, quella del 2003, e solo formalmente conclusa con la "promozione" di Fini agli Esteri e di Follini al vicepremierato. Nella sostanza, quella verifica è rimasta aperta. E, salvo sorprese traumatiche dopo le regionali e dopo l’eventuale sconfitta nel Lazio, lo sarà fino al termine della legislatura, quando scadrà la prima fase del "Patto di ferro" del 2001 tra Berlusconi e Bossi. Siglato per tenere in ostaggio la maggioranza, ma non per governare il Paese.
(25 marzo 2005)





Messaggi
1. > La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !", 25 marzo 2005, 18:59
Dell’ Unita’, dei suoi giornalisti e del direttore francamente me ne frega poco.
Non c’e’ dubbio che le fonti vadano controllate anche se non posso dimenticare cosa riusci’a scrivere Feltri del povero Baldoni.
Pero’, da studioso sia pure dilettante dei nove mesi dell’ occupazione nazista di Roma, mi sembra che anche in quanto dice Storace ci sia qualcosa di poco chiaro.
Innanzitutto, nella disperazione e nell’ isolamento che attraversavano le file fasciste dopo l’ 8 settembre del 1943, nelle file delle bande repubblichine operanti a Roma ( Bardi-Pollastrini, Koch, Carita’, Onore e Combattimento ecc. ) furono arruolati anche giovanissimi.
Fu ad esempio un quattordicenne ad uccidere nel 1943 a Piazza di Spagna un magistrato socialista, Fioretti, che aveva rifiutato un manifestino.
E comunque Limentani, l’ ebreo antifascista ed ex deportato intervistato da l’ Unita’ che indica il papa’ di Storace tra i suoi torturatori, nel 1941 non aveva ventitre anni ma soltanto diciotto.
Da varie letture di testi e da altre dichiarazioni di Limentani degli anni scorsi, l’ episodio in questione era indicato fosse avvenuto nel 1944 e non nel 1941, come scritto oggi da L’Unita’.
E qui le cose cambierebbero parecchio.
Il papa’ di Francesco Storace avrebbe avuto 15 anni e non piu’ 12 e starebbe come eta’ tranquillamente in media con molti squadristelli delle bande repubblichine romane.
Ed oltretutto non sarebbe piu’ residente - come nel 1941 - ad Ancona ma bensi’ a Roma.
E Limentani avrebbe pure lui qualche annetto in piu’ ( comunque 21 e non 23 ) da "giustificare" un trattamento cosi’ pesante da parte degli squadristi fascisti ( che del resto, insieme ai nazi, non si posero grandi problemi a torturare ed uccidere anche anziani, donne e persino lattanti in quei terribili nove mesi ed anche dopo nel Nord Italia)
Naturalmente va detto per correttezza che nelle precedenti dichiarazioni, Limentani racconta il sequestro e le torture ma non fa assolutamente nomi, quindi nemmeno quello di papa’ Storace.
Pero’, se l’ episodio fosse del 1944, tutte le giustificazioni "oggettive" ( l’ eta’ fanciullesca del padre, la reisdenza ad Ancona e non a Roma) di Storace si scioglierebbero come neve al sole.
In ogni caso, paparino a parte, non sarebbe disdicevole rammentare le attivita’ squadristiche degli anni settanta e ottanta dell’ attuale Governatore del Lazio.
Che sarebbero anche piu’ interessanti delle piu’ incerte gesta del genitore nei lontani anni quaranta.
Keoma
1. > La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !", 25 marzo 2005, 22:07
A PROPOSITO DEGLI IMBROGLI DI STORACE
Elezioni regionali
Consiglio di Stato dichiara inammissibile simbolo ecologisti di Storace
Bonelli: “straordinaria giornata di giustizia; fermati gli imbrogli”
Abbiamo scoperto l’imbroglio e documentato come la lista degli ecologisti avesse raccolto firme doppie, triple e quadruple (circa 388) autenticate da Sergio Marchi, capogruppo di An al Consiglio comunale di Roma.
Abbiamo fatto giustizia ricorrendo al Tar perché nel frattempo nessun organo dello Stato era intervenuto per ripristinare la legalità: il ministro degli Interni, l’ufficio elettorale centrale, il prefetto non hanno usato con la lista civetta degli ecologisti la stessa solerzia usata con la lista Alternativa sociale di Alessandra Mussolini.
Infine, a poche ore dalla sentenza del Tar del Lazio, che ha escluso dalla competizione elettorale regionale la lista degli ecologisti verdi per firme fasulle, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il simbolo degli ecologisti verdi perché confondibile con il simbolo storico dei Verdi.
Ricordo che Storace realizzando la lista degli "ecologisti" aveva clonato il nostro simbolo, mettendo al posto del Sole che ride una luna che ride, inserendo l’arcobaleno con i colori della pace ed il logo "verdi".
Fallisce così miseramente il tentativo di ingannare gli elettori così come è fallito quello di far passare una lista con firme fasulle.
Non abbiamo mai smesso di avere fiducia nella giustizia ed è un grande risultato per la democrazia: chi voleva ingannare gli elettori è stato estromesso dalla competizione elettorale che deve essere democratica e regolare.
Verdi del Lazio
2. > La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !", 25 marzo 2005, 22:31
"L’Unita’" chiede scusa ma contrattacca su Laziomatica ed altro......
Il giornale pubblicherà domani un editoriale del direttore Padellaro
ma l’autrice dell’articolo contestato si difende: "Uno sbaglio, ma ora si esagera"
L’Unità chiede scusa a Storace
"Ora abbassiamo tutti i toni"
Sul quotidiano il racconto, rivelatosi poi falso, di un ex deportato
che accusava il padre del governatore di essere un picchiatore
Luana Benini mostra a Storace il registratore con l’intervista a Limentani
ROMA - Con un editoriale del direttore Antonio Padellaro, l’Unità nel numero in edicola domani chiede scusa al presidente della Regione Lazio Francesco
Storace per aver pubblicato una notizia infondata sul conto di suo padre. "Ha diritto alle nostre scuse", scrive Padellaro e "poiché può essere che la tensione elettorale abbia portato la polemica un po’ sopra le righe, invitiamo tutti a raffreddare la temperatura. Noi per la nostra parte ci impegnamo a farlo".
Le scuse dell’Unità si riferiscono all’intervista realizzata dalla redattrice Luana Benini con l’ex deportato nei campi nazisti Mario Limentani. "Avvenne nel 1941 - aveva raccontato l’uomo - Il padre di
Storace mi fermò per strada, mi portò alla sede del Fascio e mi picchiò. Mi aveva legato alla sedia...". In realtà il racconto di Limentani, che ieri era stato tra l’altro protagonista delle contestazioni al governatore del Lazio in occasione della sua visita alle Fosse Ardeatine, si è dimostrato palesemente falso in quanto all’epoca dei fatti il padre di Storace, come dice il governatore, aveva appena 12 anni.
Nell’editoriale di scuse, Padellaro non rinuncia però a lanciare una frecciata a Storace. Il direttore dell’Unità spiega infatti che si dimetterà, come ha richiesto il presidente del Lazio, solo "se altrettanto farà il governatore, dopo che la società Laziomatica, società al 100 per 100 controllata dalla Regione Lazio, è stata colta con le mani nel sacco nella banca dati del Campidoglio, reato per cui viene indagata dalla Procura di Roma".
Padellaro risponde infine anche all’accusa mossa da Storace al giornale ("rischio la vita per colpa dell’Unità"). "Auguriamo naturalmente lunga vita a Storace - scrive il direttore del quotidiano - tuttavia, anche se ci rendiamo conto di quanto sia difficile la sua campagna elettorale, gli consigliamo di non esagerare perché è quella sua brutta frase che può rappresentare di per sè un incitamento alla violenza. Come violente e volgari sono state le parole usate dal governatore contro la nostra giornalista Luana Benini, autrice dell’intervista".
A fare le scuse a Storace, ma senza ammettere di aver sbagliato, è anche la giornalista che ha firmato il pezzo al centro delle ire del presidente della Regione. "Se l’episodio non è vero, ci scusiamo - ha spiegato Luana Benini - Il giornale ci tornerà domani", ma non c’era "nessun intento strumentale contro Storace". "Mi sembra - ha aggiunto la cronista de l’Unità - che Storace stia esagerando. Ho semplicemente telefonato a Mario Limentani, registrando e riportando le sue dichiarazioni. Si tratta di una figura limpidissima di ex deportato che ha conosciuto il dolore ed ha raccontato la propria esperienza. Evidentemente si è confuso ma credo che una persona del genere meriti rispetto e credito di per sé, visto quello che ha sofferto".
Ma ad alimentare il sospetto che la giornalista dell’Unità abbia agito con una certa superficialità è stato in serata lo stesso Limentani. "Non ho mai detto che colui che mi picchiò nel 1941 era il padre di Francesco Storace", ha precisato l’ex deportato in una dichiarazione. "E’ vero - ha aggiunto - che nel 1941 fui legato ad una sedia e picchiato ma non dal padre del presidente della Regione Lazio. Colui che mi picchiò si chiamava solo Storace di cognome, il nome non lo ricordo".
(25 marzo 2005) da "Repubblica on line"
2. > La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !", 25 marzo 2005, 23:28
ALTRI IMBROGLI, SEMPRE DI STORACE E C.
Bruno De Vita: "È semplicissimo: è stata un’intimidazione politica."
Il Corecom del Lazio con ben due “telefonate di cortesia” ci ha invitato senza mezzi termini a “cambiare atteggiamento e parlar bene di Storace”».
25.03.2005
Dopo Laziomatica, ora Storace usa il Corecom. Intimidazioni a TeleAmbiente
di red.
Dopo Laziomatica, stavolta è il Corecom il nuovo strumento della campagna elettorale di Storace. Il Corecom del Lazio è il Comitato regionale per le comunicazioni, organo di diretta emanazione della Regione Lazio, che viene usato per intimidire TeleAmbiente, la tv ecologica locale. E dopo le telefonate “di cortesia” in cui si invitava a «cambiare atteggiamento», è stata inviata, dallo stesso Corecom andando oltre le proprie funzioni, la guardia di finanza a sequestrare le registrazioni dell’ultima settimana di messa in onda.
Questo nuovo capitolo della campagna elettorale di Storace è spiegato bene dal direttore della tv locale, Bruno De Vita: «È semplicissimo: è stata un’intimidazione politica. Il Corecom del Lazio con ben due “telefonate di cortesia” ci ha invitato senza mezzi termini a “cambiare atteggiamento e parlar bene di Storace”».
Come erano motivate le telefonate a voi? «Mi è stato detto – continua De Vita - che il Corecom stava effettuando controlli effettuati a campione, i quali, guarda caso, sono caduti sull’unica emittente del Lazio non asservita alla campagna elettorale del centrodestra e voce fuori dal coro unanime». «Ma la cosa bella è che quando ho chiesto come venivano presi i dati, hanno risposto in modo vago, ma chiaro che TeleAmbiente aveva violato la legge sulla par condicio». Questa legge non si più applica però alle emittenti locali, proprio per volontà del governo Berlusconi. «Gli ho detto – contina De Vita - che avrebbero dovuto calcolare la pubblicità e l’informazione politica a livello regionale. Allora avrebbero visto come la legge è violata, ma a favore di Storace!».
Poi cosa è successo? «Non contento delle telefonate, - dice De Vita - il Corecom ha inviato nella mattinata di venerdì 25 marzo, la guardia di finanza per requisire le registrazioni dei programmi di TeleAmbiente. Alla faccia della invocata par condicio! Hanno portato via 10 videocassette e già che c’erano hanno controllato tutto il resto». Ma il Corecom può inviare la guardia di finanza? «Qui viene il bello! Questa non è una cosa di competenza del Corecom, ma dell’Autorità delle Comunicazioni. Sono chiaramente andati oltre i compiti istituzionali pur di fare favori al candidato Storace».
TeleAmbiente ha diffuso un comunicato in cui si dice determinata a «rigettare ogni tentativo di intimidazione e continuerà nella propria opera, seppur largamente minoritaria, d’informazione su tutto quanto c’è nel nostro Paese e nella nostra Regione fuori dal regime masmediologico berlusconiano e storaciano».
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=41699
3. > La paura della destra "Se cade il Lazio, tutti a casa !", 28 marzo 2005, 12:50
Quello che è accaduto ieri lo avete visto su tutti i giornali. Qualcosa di così grave, di così inconcepibile, che ha cancellato i morti in mare di Lampedusa, la responsabilità di quei morti.
Storace la vera storia
di Furio Colombo
Quello che è accaduto ieri lo avete visto su tutti i giornali. Qualcosa di così grave, di così inconcepibile, che ha cancellato i morti in mare di Lampedusa, la responsabilità di quei morti.
Il comandante del peschereccio, con nome e cognome e coscienza, che ha detto: «Abbiamo visto le barche in difficoltà ma eravamo sicuri che sarebbero stati soccorsi» (la Repubblica, 24 marzo), la frase tremenda ascoltata al Tg del 23 marzo: «In mare, nelle nostre reti, non ci sono più pesci, ci sono cadaveri», l’inchiesta, apparsa su alcuni giornali americani e riportata qua e là anche dalla stampa italiana: i “rimpatriati dall’Italia vengono portati e lasciati nel deserto dalla polizia di Gheddafi”.Ricordate il titolo, tante volte incriminato, di questo giornale: “Bossi-Fini, altri trenta morti”? Ecco, la tragedia continua. Da un lato c’è chi si distrae e non soccorre in tempo i naufraghi per timore di spiacere a Bossi e a Fini. Dall’altro i comandanti dei pescherecci temono (è già accaduto) di essere accusati di favorire i mercanti di schiavi se arrivano in porto con naufraghi salvati. Il ministro dell’Interno viola regole civili, umane e internazionali deportando nel giro di poche ore persone, forse condannate a morte, di cui non sappiamo e non sapremo mai nulla. Invano agenzie internazionali, Amnesty International e Nazioni Unite condannano. Invano perché questa tragedia in Italia non fa notizia.
Fa notizia invece, e sconvolge letteralmente il Paese, travolge i giornali che si affrettano a cambiare le pagine e i titoli, il fatto che un superstite dei campi di sterminio, presente alla giornata di commemorazione delle Fosse Ardeatine, confidi a una giornalista dell’Unità (che registra la sua dichiarazione e ne indica la fonte) il suo malessere in quel sacro giorno di memoria. Si trova di fronte un presidente di Regione che ha lo stesso nome del militante fascista che lo ha bastonato da giovane. La città è la stessa, il nome è lo stesso, il fascismo è ciò che si sta ricordando con sdegno e rifiuto in questa celebrazione. La memoria degli italiani, come dice spesso il Capo dello Stato, è una sola. Dunque il superstite della orrenda e inconcepibile avventura dei campi di sterminio in quel giorno ricorda.
Ricorda tutto, dalle botte all’ultimo campo da cui miracolosamente è scampato (lui e altri pochissimi ebrei italiani).
Qualunque grande giornale del mondo avrebbe fatto di questa sequenza di eventi la storia: da un’Italia fascista e barbara, all’Italia della Resistenza in cui le vittime ricordano la tragedia (e quel tremendo episodio della tragedia che è stata la strage delle Fosse Ardeatine) insieme al Capo dello Stato e ai rappresentanti delle istituzioni. Qualunque grande giornale avrebbe notato lo stupore e il disorientamento di chi è sopravvissuto alle botte, alle umiliazioni e ai campi, e si trova di fronte un esponente delle istituzioni che ha lo stesso nome del suo aguzzino, e - caso che non poteva sfuggire ad un giornalista - se lo trova da un lato dello schieramento politico che, almeno nelle sue radici, discende da quei giorni, da quelle botte, da quella deportazione. Dite che è una connessione ingiusta?
Forse è vero, ma a coloro che si collocano, anche mitemente, anche cautamente a sinistra, viene continuamente rimproverato di tutto: dai crimini di Stalin alla invasione di Praga, dalla rivolta di Ungheria ai Gulag. È una contabilità a carico di ogni militante di sinistra che oscilla fra i 20 e i 50 milioni di morti (ma nelle infuocate trasmissioni di Socci si parlava di 100 milioni). E non dimenticate di mettere a carico della sinistra italiana, per quanto riformista, le stragi di Pol Pot e dei Kmer rossi. Rossi, no? Rosse come le bandiere della Cgil, nota organizzazione vicina al terrorismo (una accusa atroce per cui non sono mai giunte scuse). Al nome di Francesco Storace, presidente An del Lazio, viene fatto un riferimento sbagliato. Sbagliato quanto alla parentela. Quello Storace picchiatore, nonostante le molte analogie di storia e di cronaca, non è né padre né parente dell’attuale Presidente della Regione Lazio e candidato di An per le elezioni della prossima settimana. Naturale che il candidato protesti. Doverosa, l’immediata rettifica. Non è una marcia indietro, perché esiste una fonte. Il giornale si scusa di un equivoco chiaramente involontario. Una notizia, ti dicono in ogni scuola di giornalismo, deve avere una fonte. Quella fonte, se necessario, deve essere citabile. E, soprattutto, ne va accertata la competenza e la diretta connessione con l’evento. C’è altro? No, non c’è altro, perché travalicherebbe le responsabilità indicate in dettaglio dal codice civile e penale.
Inevitabile offendersi, e mostrarsi offesi, se viene chiamato in causa ingiustamente (in questo caso: per un errore spiegato dalla identità fonetica) il nome di tuo padre. Impossibile rigettare le scuse che sono dovute, e non sono affatto un evento che meriti titoli d’apertura dei maggiori quotidiani italiani. La buona fede è dimostrata dalla registrazione, che non può essere (perché la registrazione viene prima che si verifichi l’equivoco) né una trappola né un complotto. Controprova: Luana Benini, presente alla conferenza stampa dai toni esaltati, montata per fini esclusivamente elettorali da Storace, ha offerto di fare ascoltare la registrazione. È stata malamente zittita e - nella buona tradizione inaugurata dalle conferenze stampa di Berlusconi - insultata.
C’è, e bolle ancora in pentola, un argomento privo di fondamento e di senso: si doveva verificare? Domando: qualcuno ha verificato la storia (fonte Newsweek International) dell’orologio molto costoso di Berlusconi da lui smentita con la narrazione - ripetuta in sette diversi telegiornali - dell’orologino consegnatogli dal padre sul letto di morte? Se diciamo che la storia del premier è troppo personale e troppo intima per poterla verificare, allora dobbiamo ammettere che il contesto “persecuzione, campi di sterminio, Fosse Ardeatine e testimone sopravvissuto” è troppo forte per fare un salto all’anagrafe e verificare lo stato civile di casa Storace. La notizia ha una fonte e quella fonte ha detto il giorno dopo alCorriere della Sera (pag. 2) la seguente frase usata da quel giornale come titolo virgolettato: «Mi picchiò un fascista e si chiamava Storace».
I lettori si domanderanno perché sono tornato su questa storia. Una offesa, chiaramente involontaria e prontamente riparata, diventa un comizio senza fine. La ragione è che, mentre scrivo, continuano ad arrivare telefonate di colleghi degli altri giornali che vogliono sapere (sabato 26 marzo e dopo tutto quello che è stato detto e scritto, paralizzando la stampa e la televisione italiana) che cosa penso “di questo gravissimo infortunio dell’Unità”. E allora ho dovuto dire quello che penso e che non scriveranno. Penso al regime, che fa saltare e ballare tutti secondo la musica del momento, cancellando qualunque altro fatto. Penso che su La Stampa del giorno 25 marzo (che riporta gli eventi del 24, dunque due giorni prima di questi eventi), Storace incontra Berlusconi - a cui chiede aiuto - alla presenza di Pisanu. Sì, Pisanu, il ministro dell’Interno. Prima che qualcuno, in buona fede e senza intenzione, facesse, fuori posto, il nome di suo padre, Francesco Storace dichiara a La Stampa: «Sono minacciato». E il ministro dell’Interno di questo Paese lo rassicura: «Vigileremo».
Speriamo che lo abbia detto soltanto per toglierselo di torno, in attesa che gli elettori decidano. Sarà il loro voto a raccontarci la vera storia.