Home > La più sgangherata delle campagne elettorali

La più sgangherata delle campagne elettorali

Publie le mercoledì 9 aprile 2008 par Open-Publishing

di Marco Sferini

Col passare dei giorni abbiamo sperato che la campagna elettorale dismettesse le sembianze di un confronto a due e divenisse veramente una competizione tra programmi, idee e proposte da rendere concretamente tali una volta sorpassata la data delle elezioni. Invece il fiume di parole, di slogan e di battibecchi a ritmo di battuta da ping pong è andato avanti, a percorso tutti i rivoli dell’ipocrisia che erano possibili e termina in una polemica sterile sulla confondibilità del voto e gli errori possibili sulle schede volute con quel Porcellum che oggi Berlusconi e soci vorrebbero cambiare, almeno nella parte riguardante la definizione della presenza dei contrassegni gli uni accanti agli altri.

Non è bene, dicono dalle parti del Popolo della Libertà e anche da quelle dove vola il gabbiano dipietrista, che le due coalizioni principiali siano mescolate con le altre liste. Coalizioni va bene. Ma "principali"? Ora, sappiamo tutti che la maggioranza assoluta dei voti si concentrerà sul Partito democratico e sul Popolo della Libertà. E’ un dato palpabile dal generale semplificazionismo che si esige dalla politica in nome di un altrettanto semplificato sistema sociale dove ci sia chi chiaramente detta una linea, e da degli ordini, e chi quella linea o la percepisce come volere insidacabile del "capo" o la subisce perchè non è possibile fare altrimenti.

E’ altresì un dato riscontrabile nella comune vulgata quello che è stato inserito nelle menti delle persone come un concetto positivo e che, invece, è un modo per falsare la libera, democratica e paritaria competizione tra tutti coloro che concorrono ad essere in Parlamento per difendere determinati interessi: parlare, infatti, ancora oggi di "voto utile" è così strumentale che resta difficile pensare che qualcuno, a sua volta, possa ritenere che esistano dei voti caratterizzati da una qual certa utilità e che, pertanto, sono voti privilegiati, voti che superano tutti gli altri per una qualità insita in un dogma della politica che non si comprende bene da quale settore ideologico o culturale provenga.

In realtà non esiste una base cultural-ideologica per tutto questo, ma sono una abile regia propagandistica che tende a sminuire l’importanza del confronto tra le diverse opzioni in campo e a calmierare in modo univoco il tasso di interesse che un cittadino o una cittadina possono avere per una forza politica piuttosto che per un’altra.

Il concetto che è passato lungo tutto il tedioso corso di questa campagna elettorale, una delle peggiori della storia della Repubblica, è che esistono solamente due forze politiche capaci di confrontarsi alla pari e, quindi, di competere in adeguata e giusta proporzione per il governo del Paese. Le altre liste sarebbero un magro contorno di un pasto già divorato dai ben pensanti del liberismo, dalle teste soloniche di qualche circolo di intellettuali sia destra che di centro.

La riproposizione di tutto questo la si ha con la polemica sulle schede elettorali, con un ragionamento che sragiona, che fa a pugni con qualunque principio di equipollenza dei diritti di rappresentanza, di tribuna, di esposizione al consenso o meno dell’elettore: essere presenti tutti quanti allo stesso modo sulla scheda, senza la ricerca di quel "risalto" in più che determinerebbe una falsa garanzia di giustizia rispetto ad un ipocondriaco atteggiamento di quelli che si considerano "titani" della politica rispetto ai nanerottoli dispersi qua e là...

Ipocondria politica, politica ipocondriaca: paura? Voglia di alzare lo scontro per raccimolare nell’ultima settimana i consensi che sino ad oggi sono appesi al filo con il cartellino "indecisi"? Tutto naturalmente fa brodo, e di brodaglie cotte o scotte in queste settimane ne abbiamo assaggiate molte: le promesse, che sono poi quelle idee che vengono vendute come delle prostituzioni mentali al miglior imboccone che assimila e digerisce anche i sassi, si sono sprecate, si sono accumulate e, oggi più di ieri, si è promesso l’alfa ma anche l’omega, il nero ma anche il bianco, la Roma ma anche la Lazio, l’Inter ma anche il Milan, il bello ma anche il brutto, il chiaro ma anche lo scuro, il profumato ma anche il mefitico, il disciplinato ma anche l’insubordinato, l’anarchico ma anche lo sbirro. Questo sotto le bianche bandiere veltroniane, sotto i tendoni verdi del Partito democratico.
Pd ma anche Pdl, appunto. Ci perdonerete questa ironia, ma non sappiamo rispondere altrimenti alle canzoncine ("...meno male che Silvio c’è...") che rasentano il decerebramento globale e assoluto delle masse, o agli spot che cadenzano in romanesco "Se po’ fa!".

Nel 1994 e anche nel 2001 si pensava che con le trovate di Forza Italia e dei suoi inni il culmine del pecoreccio fosse stato raggiunto, invece il fondo era ancora lontano... Questi aspetti, per così dire "folkloristici" della campagna elettorale, non devono però far dimenticare che sono comunque un riflesso della domanda sociale che viene dal Paese. Se il livello culturale è questo, significa che c’è un evidente impoverimento dei valori, della dignità personale ad essere trattati come cittadini e non come acefali numeri da indottrinare verso un segno di "x" sulla scheda nel segreto dell’urna.

Oltre alla depauperazione sociale, al criminale uso del lavoro come esclusiva variabile dipendente dalle fluttuazioni del mercato e, quindi, alla sua riduzione ad un massacratoio di lavoratori e lavoratrici che ogni giorno muiono per causa della mancata applicazione di norme legislative che prevedono una sicurezza che non esiste nei fatti, c’è un parallelo disinteresse singolare ai concetti di socialità, di comunità, di interesse pubblico.

Le epoche delle esaltazioni del privatismo e dell’imprenditorialità a tutti i costi (anche economici, si intende...) hanno lasciato in eredità a noi tutti quello che oggi ci si mostra come l’efferata maschera del liberismo capitalistico, versione moderna - e non per questo meno tragica - dell’antico sfruttamento padronale sul proletariato.

In mezzo a questa sgangherata sequela di persone, schede, intese più o meno larghe, mostri bicefali dalle sembianze ondivaghe democratico-popololiberticidi, nella miscela nuseabonda dei fac-simile, dei santini e dei manifesti, c’è ancora posto per qualcuno che voglia essere un mohicano? Non l’indiano dei manifesti della Lega, ma un resistente, uno che nonostante la deriva centrista della ex sinistra e quella plebiscitaria della destra non molla la presa, non cede ai ricatti e si divincola come può. Con forze che sembrano mancargli, soffocato quasi dal peso dell’asfissia veltrusconiana, ma certo che, così come non esiste "il" voto utile, così può ancora esistere in Italia proprio quella sinistra che, nessuno lo ammetterà mai pubblicamente, Berlusconi, ma soprattutto Veltroni vorrebbero espungere persino dal vocabolario della politica, non solo dalle aule parlamentari.

A noi la sinistra piace, e ci piace con tanti aggettivi. Ci piace la ricchezza delle differenze, che sono il sale dell’unità perchè legano senza cancellare le identità, le culture, le ideologie. Forse qualcuno si spaventa se diciamo la parola "ideologia"? Può darsi... Ma allora delle due l’una: o non ha mai provato cosa vuol dire battersi per una "idea" (che, a differenza di quanto si può ritenere, è una delle concretezze più belle che possano esistere) o questa "idea" la deve ancora trovare...

Insomma, coraggio! Tra poco voteremo e dopo il voto (ah... dimenticavamo: il nostro invito è a votare la Sinistra l’Arcobaleno!) si aprirà la stagione dei dibattiti a sinistra, tra noi comunisti e tra tutti coloro che, con o senza aggettivi, oggi scelgono il "primum vivere": salvare la sinistra, salvare i suoi valori. Per prima cosa, appunto, vivere. Per seconda cosa filosofare. Ma anche se è seconda, non è affatto meno importante... Altrimenti come sarebbe noiosa la vita!