Home > La politica, facciamo che sia femmina
di Loredana Fraleone
Se si potesse attribuire un genere ai partiti, Rifondazione comunista sarebbe sicuramente considerata femmina. Non solo per via della Rifondazione, un sostantivo inequivocabile nel genere, ma soprattutto per il ruolo che le viene assegnato in un panorama politico ed in una società fortemente contrassegnati da paradigmi maschilisti. Altro che quote rosa opportunisticamente sbandierate a destra e a manca! La politica è dominata dalla furbizia, dal grido, dall’aggressività, dalla teoria senza la prassi, dal chi più parla più conta, dal chi meglio parla meglio si propone.
Insomma dalla capacità di apparire, che non è, nonostante “il valore estetico” ancora assegnato preminentemente alle donne, una connotazione prioritaria nel vissuto della gran parte del genere femminile. Rifondazione infatti deve continuamente dimostrare di essere più in gamba di altri, di avere maggiori risorse ideali e capacità, senza potersi permettere il minimo errore. Anche quello più irrilevante lo paga enormemente, mentre altri possono fare di tutto, dai litigi alle rotture, dalle false promesse ai veri e propri tradimenti.
Non faccio una simile tirata perché stravedo per questo partito, che pure amo moltissimo, ma per sottolineare ed allarmare sulla difficoltà della fase politica in cui ci troviamo. Una difficoltà prevalentemente nostra, perché solo noi abbiamo l’arduo compito di coniugare unità e radicalità. Non ci troviamo più di fronte ad un impegnativo slogan elettorale, abbiamo davanti una pratica da esercitare, che richiede organizzazione, intelligenza “collettiva”, coesione e creatività.
L’ultima vicenda della parata militare del due giugno è emblematica di quanto ci troviamo sotto tiro, quando diamo seguito semplicemente a ciò che abbiamo sempre detto apertamente, ossia di non volerci rinchiudere in una gabbia istituzionale smettendo di lavorare con i movimenti e produrre conflitto. Siamo perfettamente consapevoli della novità che questo comportamento rappresenta nel panorama politico italiano e non solo, ma la politica deve ormai fare i conti con modelli inediti di comportamento, con la partecipazione attiva, se vuole evitare la morte per consunzione.
In questo contesto così stretto ed insidioso, anche l’innovazione organizzativa del nostro partito non può più essere annunciata, ma dev’essere rapidamente praticata, per consentire alla sfida che abbiamo di fronte di essere vinta. Non nascondo da tempo, in tutte le sedi, la preoccupazione per il trasferimento della gran parte del gruppo dirigente del partito nelle istituzioni, con suo relativo svuotamento e rischio d’indebolimento. La stessa scommessa sulla sinistra europea potrebbe risentire negativamente “dell’alleggerimento” del Prc. Bisogna velocemente riequilibrare il rapporto tra partito e collocazione istituzionale, per poter praticare quell’ambiziosa linea di pratica di governo e di conflitto, che ha richiamato opportunamente il nostro neosegretario nazionale in varie occasioni. Il percorso per il rafforzamento del partito non può prescindere però da quel processo partecipativo, che costituisce oggi la “conditio sine qua non” per la possibilità di essere al governo senza rinunciare al conflitto, di consolidare ed insediare il Prc lavorando anche alla costruzione della sinistra europea.
Tornando alla metafora iniziale, dovremmo cercare di svincolare il più possibile il partito dalle caratteristiche maschiliste, che ancora conserva e che non si vincono solo con la presenza “indispensabile” delle compagne nei gruppi dirigenti, ma soprattutto con l’abbandono di modalità di lavoro distanti da quel senso comune che non ne può più del modo corrente di fare politica. Se uno dei caratteri principali per individuare i gruppi dirigenti fosse quello del “saper fare”, se si combattessero a tutti i livelli le ambizioni personali, valorizzando invece l’impegno disinteressato, se cercassimo davvero di costruire delle comunità come luoghi del “sentire comune” piuttosto che occasioni di scontro spesso neanche motivato da ragioni realmente politiche, potremmo persino praticare una modalità alternativa di rapportarsi tra persone. La società nella società diceva Pasolini e riprendeva Franco Giordano recentemente. Ovviamente una società permeabile, con confini aperti, con la capacità d’ascolto e dunque di cambiamento, come sono in genere le donne e dovrebbe essere la politica. Insomma “facciamo che sia femmina”!