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La redazione rossa e l’agente segreto così il dolore riavvicina gli ex nemici

Publie le domenica 6 marzo 2005 par Open-Publishing

"Persone diverse da noi, ma Calipari ci ha davvero messo il cuore"
"Questa vicenda ci ha insegnato che anche nei servizi c’è gente di grande valore"

di FILIPPO CECCARELLI

Cuore comunista e cuore poliziotto, cuore giornalista e cuore istituzionale...

E che almeno servissero, i morti, ad aiutare i vivi. Che almeno fosse utile, il sangue versato da Nicola Calipari, a far cadere le barriere del sospetto, a scongelare i ghiacciai del risentimento, a far fiorire il deserto del pregiudizio ideologico. Andasse incontro a quella "rivoluzione sentimentale" di cui ha scritto Luigi Pintor in uno dei suoi ultimi bellissimi libri: una rivoluzione "che ristabilisca i ritegni e i tempi interiori abolendo gli orologi. Qualcosa che permetta di capirsi con i segnali di fumo, i versi gutturali dei gorilla, le carezze e le percosse, i gesti che sfiorano le cose viventi e quelle inanimate".

Una morte piena di vita perché lontana dalla prigionia degli schieramenti. "Nicola Calipari ci aveva messo il cuore" riconosce con gli occhi gonfi il direttore del Manifesto Gabriele Polo. Ma ce l’hanno messo un po’ tutti, in questa storia: lui, Giuliana, Pier Scolari, Valentino Parlato che entrava a Palazzo Chigi come in un luogo di speranza. Ce l’hanno messo i redattori, gli altri giornalisti, i cinquecentomila del Circo Massimo, però anche i capi e gli agenti del Sismi, le "barbe finte" e le loro famiglie in ansia, e poi Gianni Letta, certo, instancabile maestro di Palazzo, e di voli da organizzare in mezzora, e di quattrini da racimolare e mettere in valigia. E Berlusconi, sì, pure lui. Polo l’ha visto ricevere la notizia, il sorriso che gli si spegneva in volto: e non era il nano pelato e cattivo delle vignette di Vauro, né il miliardario con la bandana, ma un presidente del Consiglio nel pallone, un uomo impietrito di fronte a decisioni ora difficilissime da prendere, l’interesse nazionale, il dubbio di essere stato "fatto fesso", come titolò proprio il Manifesto, sotto la foto di Craxi, a proposito di Ustica.

E insomma, ognuno a suo modo ha partecipato a questa storia, ognuno secondo la sua natura e la sua autonomia. Ed è già in questo semplice dato di fatto, in questa umile verità che si coglie il dono più amaro e prezioso del sacrificio di Nicola Calipari. Che il cuore l’ha lasciato, laggiù, per compiere la sua missione, per salvare una vita, senza chiedersi di chi fosse.

"Un amico" dicono adesso al Manifesto, una persona gentile, perbene, leale, generosa, un professionista discreto, una figura di grande moralità. Il "liberatore" di Giuliana. Lui, un poliziotto, uno sbirro, uno dei servizi segreti: "Gente diversa da noi, che parla un’altra lingua e usa altri mezzi" ha scritto Polo. Nel dicembre del 2000 esplose una bomba davanti alla porta della redazione. Era un giovane fascistoide, anche un po’ bizzarro. Ma non mancarono - per dire gli automatismi - quelli che tirarono in ballo i servizi segreti, sia pure deviati.

"Noi - si è trovato ad ammettere anche il direttore di Liberazione (appunto) Piero Sansonetti - abituati a considerare gli agenti segreti delle persone sospette, o addirittura degli avversari, dei nemici". Ma la vita pubblica, a volte, sembra che si diverta a incrociare destini privati, riannodare fili, ribaltare convinzioni. Così "stavolta abbiamo imparato - è ancora Sansonetti - che anche nei servizi segreti c’è gente di grande valore, che crede nell’onore, nello Stato, che è fedele ai princìpi e a se stessa. Fino alle conseguenze estreme, fino al più nobile, al più assoluto, al più straordinario dei gesti".

Più luminosa, in effetti, la lezione offerta da Calipari non potrebbe rifulgere. E’ il dolore che ha aperto gli occhi e spostato l’orizzonte della comprensione al di là dei codici della politica: perché le persone, dopo tutto, valgono più dei propri rinsecchiti convincimenti post-ideologici. Della passione e morte di questo servitore dello Stato si coglie il senso spirituale e religioso, l’implicito richiamo alla croce, al dono estremo di sé. Così come, al culmine della laicità, quel salvataggio e quel corpo crivellato a poche centinaia di metri dall’aeroporto di Bagdad riattualizzano il celebre motto di Voltaire: non condivido la tua opinione, ma sono pronto a dare la vita perché tu possa esprimerla.

Chi ha conosciuto Nicola Calipari, peraltro, non si stupirebbe affatto di sapere che anche lui ha comprato qualche volta il Manifesto, e non per studiare il "nemico", ma come tanti attratto dall’incisiva fantasia della prima pagina, o per trascorrere qualche concentratissima ora su "La Talpa libri". Nel 1986, il Manifesto fu il primo a documentare un traffico d’armi con l’Iraq di Saddam Hussein. Qualche anno dopo, ai tempi della prima guerra del Golfo, da quelle pagine si levò un invito alla diserzione. Nel 1998 Pintor pubblicò per giorni e giorni sotto la testata la stessa foto di un iracheno incenerito: "È inutile? È puerile? È noioso? - si chiedeva - Può darsi, ma se un giorno migliaia di civili venissero tecnologicamente inceneriti, almeno non li avremo sulla coscienza".

La stessa coscienza che oggi porta la redazione a ringraziare lo Stato. Non è mai stato un quotidiano conformista, o macellaio, o peggio cannibale, il Manifesto. Ma elegante, severo e perfino aristocratico nel modo in cui si schierava facendo pesare il proprio giudizio. Pier Paolo Pasolini ha scritto a suo tempo di "grigiore dell’ascetismo, tanto più ascetico quanto più "rivoluzionario"". Un giornale di grandi maestri della sinistra: la grazia inarrivabile di Pintor, la profondità della Rossanda, l’eclettica e disincantata onestà intellettuale di Parlato. Una specie di club giacobino, una autentica palestra di talenti. Mai remissivo comunque, il Manifesto, mai accomodante con il potere, con le guerre, con i corpi separati dello Stato, e quest’ultimo più o meno da intendersi come una somma di rapporti di classe.

Chissà se ancora, dopo Giuliana, dopo Nicola. Chissà che questa cattiva storia non si risolva nel suo contrario, o almeno in un buon proponimento che come il polline, scriveva Pintor, "non fiorisce mai ma profuma l’aria".

http://www.repubblica.it/2005/c/sez...