Home > La sindrome del trasformismo

Ritualmente il ceto politico elabora, nelle difficoltà, una cosmesi esorcistica dei fatti. La "teoria del complotto" è il metodo più collaudato, facile all’uso, buono in tutte le stagioni. Da destra (Fini, Berlusconi) fino alla sinistra radicale (Giordano) - appena alle spalle di Walter Veltroni - è un coro: c’è una manovra in corso contro la politica per screditarla e i verbali di Stefano Ricucci, pubblicati con due anni di ritardo, ne sono la "prova regina". L’argomento imbarazza per la sua fragilità e offende l’intelligenza di chi cede alla tentazione di adoperarlo.
È utile ripetersi. Due anni fa - per una convergenza di interessi diversi e opposti che trovano conveniente agire in concerto con accordi sotto banco che danneggiano i mercati e i risparmiatori e pregiudicano una corretta informazione dell’opinione pubblica - nasce un intrigo che vuole ridisegnare la geografia del potere politico, finanziario, mediatico del Paese. Sono in palio due grandi banche (Antonveneta, Bnl); la conquista del Corriere della Sera e dei giornali del Gruppo Riffeser (Resto del Carlino, Nazione, Giorno).
Con una coerente simmetria, in caso di successo i due poli avrebbero conquistato - la destra - una banca al Nord e un grande gruppo editoriale; la sinistra, una banca nella Capitale e quotidiani diffusi nelle sue maggiori aree di consenso (Toscana, Emilia-Romagna).
L’intrigo salta per la legge del market abuse, approvata nella più assoluta inconsapevolezza dal Parlamento nella primavera del 2005 perché consente - ma il Parlamento ne sottovaluta l’esplosività - investigazioni molto invasive e che la procura di Milano promuove. Un anno fa Stefano Ricucci è arrestato. Lo interrogano in sette occasioni. Venti giorni fa, con l’avviso di conclusione delle indagini, tutti gli atti dell’istruttoria sono stati messi a disposizione dei dieci e passa indagati e dei venti e passa avvocati. Venti giorni fa.

Veltroni, Berlusconi, Fini, Giordano dovrebbero rispondere a questa domanda: quando si doveva dar conto della minuziosa ricostruzione affidata dal "furbetto" ai pubblici ministeri, se non oggi quando quelle carte hanno perso il loro carattere segreto e sono entrate nel circuito processuale della discovery?
Suggerire una "tempistica" sospetta, ingrassare il fantasma della manovra storta, evocare il complotto di "poteri forti" e senza volto - rifiutandosi all’ostinazione dei fatti - è insipienza o malafede, ma quel che conta è altro. Il gergo sgrammaticato, scelto dalla politica, alleva confusione, nasconde un imbroglio.
Sembra che, quasi "a freddo", il ceto politico voglia resuscitare con passi da acrobata il conflitto tra il potere politico e l’ordine giudiziario, la contrapposizione tra ceto politico e informazione per aumentare il "rumore", sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione. Che non interpella la magistratura o il rilievo penale dei comportamenti né la moralità o l’immoralità dei rapporti tra politica e affari.

L’intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Prodi, D’Alema e Gianni Letta con un poco nobile codazzo di banchieri, avventurieri della finanza, astuti nouveaux entrepreneurs racconta con efficacia balzacchiana la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi, la disponibilità a lasciarsi catturare di ognuno; la divaricazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico.
L’intrigo rappresenta, si può dire allora, il ritorno sulla scena della politica italiana del trasformismo, di quella sindrome antica quanto lo Stato unitario e che - ci eravamo illusi - il bipolarismo avrebbe dovuto liquidare.
È questo il "caso" di cui si dovrebbe discutere, dunque - del ritorno del trasformismo e della sconfitta del bipolarismo. Non di bubbole complottistiche. Infatti, nei retroscena ricostruiti da Stefano Ricucci, la politica italiana si mostra con la sua faccia forse più autentica e appare prigioniera di quell’unico metodo di governo (consociativo, trasformistico) escogitato per tenere insieme il Paese e ricondurre a provvisoria solidarietà partiti maggiori e minori, nuovi o rinnovati, maggioranza e opposizione, lobby, ceti, corporazioni.
Le mosse di Berlusconi, D’Alema, Fassino, Letta, Prodi (che non hanno alcuna rilevanza penale e che sarebbe sciocco e inutile giudicare moralisticamente) mostrano un paesaggio indistinto e nebbioso, dove si assemblano interessi confliggenti in nome di una politica legata a una dimensione di esclusivo potere, praticata come puro esercizio di autorità, come appropriazione-distribuzione di risorse pubbliche, come manipolazione occulta di ogni trasparente meccanismo democratico.

È un paesaggio dove - conviene ripetersi - si fanno largo "affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi" e nessuna idea. È una scena che svela come la politica italiana corra il pericolo di diventare indifferente al merito delle questioni e degradarsi ad apparenza e spettacolo. Importa poco qui sapere se questo eterno paradigma della nostra politica sia o non sia, come alcuni sostengono, un carattere nazionale, o addirittura un segno antropologico, o la secolare inclinazione a fare a meno di fedi e di ideologie in nome dell’adattamento e della sopravvivenza o una degenerazione fiorita per difetto di moralità. I retroscena dell’intrigo sembrano confermare che il trasformismo è l’unica arte di governo, il solo modello politico, la sola prospettiva che consente di sterilizzare, sotto il banco, i conflitti e le profonde fratture che attraversano il Paese e la storia nazionale.
(18 giugno 2007)
Messaggi
1. La sindrome del trasformismo, 18 giugno 2007, 16:15
Link di un mio vecchio articolo del 23 Dicembre 2005, significativamente intitolato :
"Tre scalate, un unico regista"
http://triburibelli.org/sito/modules/MyAnnonces/index.php?pa=viewannonces&lid=16907
P.S. L’avevo pubblicato anche su BellaCiao, era stato addirittura messo sulla colonna centrale, ma poi nella foga censoria degli amministratori di questo sito dipanatasi alcuni mesi fa, tutti i miei vecchi articoli sono stati cancellati.
K.
2. La sindrome del trasformismo, 19 giugno 2007, 17:48
Giù da Latorre .....
"Io che passo il mio telefonino a D’Alema? Impossibile. Non è nello stile del presidente. Da quando non sono più il suo assistente, non gli ho mai passato il telefonino. E’ un fatto impossibile" (Nicola Latorre, Ds, Il Giornale, 2 gennaio 2006).
Consorte: "Senti, hai parlato con Massimo?"
Latorre: "Sì, ma lui domani deve andare a Massa Carrara (...). Partiamo. Se vuoi ti passo Massimo".
Consorte: "Dai, passamelo".
D’Alema: "Lei è quello di cui parlano tutti i giornali...".
Consorte: "Guardi, la mia più grande sfiga... Io volevo passare inosservato (...)".
D’Alema: "Di quanto hai bisogno ancora?".
Consorte: "Di qualche centinaio di milioni di euro (...)".
D’Alema: "Dai, vai avanti... Facci sognare!" (telefonata intercettata il 7 luglio 2005).
3. La sindrome del trasformismo, 21 giugno 2007, 09:14
L’aveva chiesto lui ....
"Spero che i testi delle telefonate vengano resi pubblici, in modo che tutti possano constatare che si tratta di conversazioni puramente informative e che non è niente altro che uno scambio di opinioni" (Piero Fassino, l’Unità, 12 agosto 2005).
"E’ uno scandalo che telefonate private, dove non c’è nulla, finiscano spiattellate sui media. Così non si lede il diritto di alcuni esponenti politici, ma si lede la Costituzione e uno Stato di diritto a difesa delle garanzie di riservatezza che valgono per tutti" (Piero Fassino, Ansa, 12 giugno 2007).
"Il problema è capire perché adesso, per la terza volta torna di nuovo alla ribalta della cronaca politica la questione delle intercettazioni. E’ un attacco politico e di un’aggressione a noi, perché siamo il principale partito del centrosinistra e perché stiamo contribuendo alla costruzione del Partito democratico. Si punta a indebolire chi vuole una politica più forte. Dobbiamo far vincere la politica rispetto a chi vuole ridurre tutto a un enorme immondezzaio" (Piero Fassino, Ansa, 14 giugno 2007).
"La magistratura è ricorsa a procedure quanto meno discutibili e permeabili. Noi non invochiamo alcun privilegio nè alcuna misura legislativa per i parlamentari, ma invochiamo misure per tutti i cittadini. Le conversazioni telefoniche sono una questione privata per tutti. E le trascrizioni delle telefonate non sono in grado di trasmettere il tono e il timbro della voce. Insomma diventano infedeli" (Piero Fassino, Ansa, 14 giugno 2007).
"C’è stata una palese violazione di fatti privati che ogni cittadino deve vedere rispettati. E che, invece, con le procedure della magistratura di Milano, non sono stati rispettati" (Piero Fassino, Ansa, 15 giugno 2007).