Home > La spia nel fianco
di GUGLIELMO RAGOZZINO
Cosa aveva in mente Silvio Berlusconi quando il 12 gennaio scorso promise di andare dai magistrati a dire tutto quello che sapeva? Cosa sapeva e soprattutto, chi glielo aveva detto? L’occasione per dirla in breve, era quella di un incontro in televisione con Fausto Bertinotti che gli aveva detto più o meno così: se lei sa qualcosa di illecito avvenuto tra Ds e Unipol, la vada a dire ai magistrati. E Berlusconi promise che sarebbe andato. Arrivato in procura deluse le attese. «Non so niente di penalmente rilevante», disse. E farfugliò di pranzi tra il presidente delle Assicurazioni generali con esponenti politici. La cosa finì lì. Molti pensarono che Berlusconi, alla sua maniera, aveva ottenuto per un paio di giorni i titoli dei quotidiani. Adesso possiamo immaginare un’altra storia. Da ricco imprenditore aveva forse comprato (o da massimo responsabile dei servizi, forse era stato messo al corrente) di intercettazioni ad effetto nello scandalo bancario. In procinto di farne uso, tutto giulivo, si sarebbe vantato con i suoi. E i vari Pierferdinando Casini e Beppe Pisanu e Gianni Letta, terrorizzati, gli si sarebbero attaccati alla falde della giacchetta scongiurandolo di lasciar stare, per il bene della destra. E anche per il bene della repubblica.
Questa occasione mancata e il rischio, evitato per un capello, di una grave crisi istituzionale, tornano alla memoria nel momento in cui esplode il caso delle intercettazioni professionali che mettono insieme le strutture di intelligence dello stato, il sistema oligopolistico delle telecomunicazioni, le case di spionaggio private, i pubblici funzionari da queste stipendiati. Si delinea, con il caso Storace, un sistema di informazioni, raccolte e poi vendute a qualche interessato per essere tenute nascoste, in una forma assai simile al ricatto; o al contrario, per essere divulgate, e usate come una clava sull’avversario politico (o sul rivale di partito) e pertanto pagate profumatamente. Un sistema perfetto. Finanziato in parte dallo stato, ma non con denari messi in bilancio, noti in parlamento; autorizzato, in parte, dalla magistratura, per controllare i cattivi, o i possibili devianti.
Un sistema che una volta superata la fase di incertezza del debutto, ha saputo divenire autonomo, si è molto allargato, è stato capace di procedere con le proprie gambe (altri direbbe: con le proprie orecchie). In breve è diventato un potere nel potere, una macchina apparentemente fuori controllo. Da mesi, o meglio da anni , saltano fuori notizie e soprattutto colloqui privati, resi pubblici senza che nessun magistrato lo abbia autorizzato. Servono solo a suscitare scandalo e riprovazione pubblica, a troncare carriere bancarie o politiche, a spostare il consenso. E’ roba che si vende e si compra, a caro prezzo. Si delinea la società del ricatto, potente, inarrestabile: una specie di mafia dai contorni imprecisati.
I giornali, per concludere, hanno pieno diritto di pubblicare le informazioni che ricevono, soprattutto in alcuni momenti di passaggio. Il compito di scavare nel letame, cercando, è la gloria di tutta una tradizione del giornalismo (i muckrakers degli antichi tempi, il Washigton Post che rivela il torbido del Watergate). Ma non basta. E’ buona norma cestinare le lettere anonime. Ed evitare le provocazioni, i messaggi falsi, controllando l’autenticità delle fonti; e il fine ultimo del gioco in cui si finisce per entrare. Solo compiuto l’esame, pesate la questioni di libertà e giustizia, pubblicare.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Marzo-2006/art6.html
Messaggi
1. > La spia nel fianco, 15 marzo 2006, 07:44
La cosa piu’ grottesca dopo il polverone delle false accuse e della falsa visita in procura e del falso dossier Mitrokin e’ il governo, che, di fronte allo Storace-gate, rinuncia a fare una indagine parlamentare perche’ "Storace non ha niente da dire"! E quando mai il colpevole ha qualcosa da dire?
viviana