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La tassa che si paga per il deficit democratico

Publie le domenica 15 giugno 2008 par Open-Publishing

La tassa che si paga per il deficit democratico

di Anna Maria Merlo

su Il Manifesto del 14/06/2008

L’Irlanda oggi, come la Francia e l’Olanda nel 2005. I popoli chiamati ad approvare per referendum un trattato europeo rispondono sistematicamente di no. Con una sola eccezione: gli spagnoli, nel 2005 (ma si trattava di un referendum soltanto consultivo).
Gli argomenti del fronte del no irlandese sono stati più o meno gli stessi - anche nel fondo nazionalista - di quelli francesi e olandesi. Evidentemente, la lezione del 2005 non è stata capita dalle alte sfere di Bruxelles e dei governi, che hanno commesso gli stessi errori di allora.

Il no rivela un fondo pessimista: nel 2005, gli spagnoli erano in un momento di crescita, soprattutto civile e sociale, la Francia invece si era già avvitata nella depressione, in quello che alcuni a destra chiameranno «declinismo», e l’Olanda aveva paura di perdere autonomia e benessere. L’Irlanda, come l’Olanda - «piccoli» paesi - temono di annegare in un grande insieme tecnocratico, mentre la Francia - paese «grande» - temeva di perdere l’influenza del passato.

Le ragioni del no irlandese sono però contraddittorie: sospetto verso la riforma istituzionale che non darà all’Irlanda più di un commissario ogni quindici anni, timore di veder declinare la «tigre celtica» a causa di una futura - e per ora lontana - armonizzazione fiscale penalizzante per il paradiso del dumping delle tasse, angoscia per il riavvicinamento tra Nato e Unione europea. Anche gli anti-abortisti hanno portato il loro contributo al rifiuto.

GLI IRLANDESI EGOISTI?

Bernard Kouchner, il goffo ministro degli esteri della Francia, paese che con la presidenza Ue da luglio dovrà gestire la crisi «post nil» irlandese, ha ingiunto: ma come fa a votare no un paese che si è arricchito grazie ai soldi dell’Unione? Solito riflesso delle élite che dettano al popolo cosa deve fare, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

L’Irlanda ha in effetti ricevuto l’equivalente di 40 miliardi di euro dall’Unione europea dal ’73, da quando ne fa parte. Negli anni ’90, i contributi europei sono arrivati fino al 3% del prodotto interno lordo irlandese. Nel ’73 il Pil pro capite dell’Irlanda era inferiore a un terzo della media dell’Unione, oggi è al secondo posto, dopo il ricco Lussemburgo (al 130% rispetto alla media). L’Irlanda ha usato bene gli aiuti comunitari, e adesso che la crisi comincia a farsi sentire, non vuole pagare per i nuovi paesi, con un riflesso di egoismo tipico del momento politico.

LA DEMOCRAZIA DEI VETI?

Si può chiamare democrazia una situazione in cui lo 0,25% della popolazione blocca gli altri 480 milioni? C’è chi dice, come Daniel Cohn Bendit, che è «una follia» sottoporre a referendum un testo come quello del trattato di Lisbona, molto tecnico, praticamente illeggibile. Difatti una delle argomentazioni per il rifiuto irlandese era che il testo era oscuro - a differenza della Francia del 2005 dove il Trattato costituzionale, più leggibile, era stato spulciato fin nei minimi dettagli dai cittadini.
«La gente si è sentita presa in giro» ha riassunto il movimento People Before Profit, fautore del no. Cohn Bendit sottolinea anche un’altra anomalia: il «no» non costa nulla agli irlandesi, è un atto gratuito, in apparenza, anche se l’Irlanda che rappresenta l’1% della popolazione della Ue mette in ginocchio tutta la costruzione (tra astensione e chi ha votato sì, è lo 0,25% che ha bloccato tutto).

Ma il no irlandese solleva una vera questione democratica. Contradditoriamente, l’Unione è percepita a un tempo come troppo autoritaria e troppo assente: c’è il caro-petrolio e Bruxelles blocca le iniziative nazionali (pur discutibili), mentre impone quote e regole mal vissute. In questi giorni, cosa hanno percepito i cittadini dell’Unione? Che l’orario di lavoro è portato legalmente fino a 65 ore e che per gli immigrati viene imposta la direttiva «ritorno», la «direttiva della vergogna». L’Unione europea ha garantito la pace, la sicurezza alimentare, la prosperità, la circolazione di cittadini e studenti, ma chi si ricorda della polizia alle frontiere, dei permessi di lavoro difficili da avere, delle diffidenze nazionaliste? C’è un deficit democratico che i cittadini fanno pagare alle élites ad ogni occasione.

E ADESSO?

Non si può dire che i no francese e olandese abbiano risolto qualcosa. E così sarà anche per l’Irlanda. Adesso ci saranno delle elucubrazioni giuridiche, lunghe e estenuanti, per trovare un’uscita dalla crisi. Giuridicamente, intanto, resta in vigore il trattato di Nizza.
La presidenza francese parte con il piombo nelle ali e il populismo di Nicolas Sarkozy, colorato di anti-europeismo, ne uscirà rafforzato.