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Le Borse oscillano ma la recessione si sente

Publie le sabato 15 novembre 2008 par Open-Publishing

Le Borse oscillano ma la recessione si sente

di Fulvio Lo Cicero

ROMA – Si chiude una settimana in cui le Borse hanno accusato momenti di euforia a momenti di passione, come accade sempre nei periodi di crisi. I rimbalzi segnano l’attivismo di investitori che sfruttano i “saldi di fine stagione” ma poi i dati congiunturali contribuiscono di nuovo a deprimere gli indici e si ricomincia con la volatilità. Ieri sera il Nasdaq a Wall Street è volato oltre il 7%, dopo che, a poche ore dalla chiusura perdeva oltre il 2%. Inevitabilmente, gli indici di Piazza Affari seguono a ruota quelli del colosso americano ed oggi Milano ha fatto segnare un +1,2% (in calo dopo la diffusione dei dati negativi di Wall Street).

Oggi, a poche ore dalla chiusura, gli indici americani sono ancora in forte calo: più del 4% il Nasdaq e poco più del 3% il Dow Jones. Ma i dati quantitativi non lasciano presagire nulla di buono per l’immediato futuro. L’Istat rimarca che il Pil destagionalizzato (cioè reso omogeneo rispetto agli altri) è diminuito dello 0,5% rispetto al secondo trimestre e dello 0,9% rispetto al primo. La crisi riguarda tutti i settori produttivi, con un calo generalizzato della produzione agricola, industriale e dei servizi. La recessione può considerarsi di tipo “tecnico”, ci dicono gli statistici, in quanto nel nostro Paese perdura da più di sei mesi. Negli Usa il Pil nel terzo trimestre è calato dello 0,1%, nel Regno Unito e in Germania dello 0,5%.

Gli effetti della recessione si faranno sentire soprattutto per le famiglie e, dunque, per quanto riguarda i consumi. Rosario Trafiletti e Elio Lannutti, responsabili di due fra le principali associazioni di tutela dei consumatori, denunciano che “la recente crisi finanziaria ha contribuito ad aggravare la drastica diminuzione del potere di acquisto delle famiglie che hanno subito una ricaduta negativa pari a 1.827 euro annui, sia per gli effetti diretti che per quelli indiretti”.

Ma la crisi pervade tutti i settori e gli stessi analisti cominciano a mostrare stupore per la sua pervasività e forza. “La debolezza italiana” afferma Marco Valli di Unicredit Mib “avviene in un analogo contesto europeo ma noi soffriamo di più per le criticità strutturali del nostro Paese, che riguardano soprattutto l’industria”. La diminuzione dei valori è piuttosto omogenea e riguarda un po’ tutte le variabili macroeconomiche ma, constata Carmela Pace di MPS, “i consumi sono quelli che hanno contribuito maggiormente al calo”. Il timore che segna le analisi tecniche è che l’attuale recessione possa assomigliare all’ultima attraversata dal nostro Paese nel biennio 1992-1993 (quando il Governo Amato fu costretto ad una finanziaria da 100 mila miliardi di lire), quando si registrarono ben sei trimestri consecutivi di contrazione del Pil. Le stime degli analisti sono piuttosto concordi nel porre l’Italia un gradino più in alto rispetto agli altri Paesi per quanto concerne i livelli di decrescita. Secondo Unicredit, ad esempio, il Pil italiano dovrebbe calare dell’1% nel 2009, a fronte di una media europea pari allo 0,7%.

Un’Italia strutturalmente più debole rispetto alle altre nazioni, ma questo è un dato risaputo. Ad esempio, la Germania sta scontando una crisi altrettanto grave perché è venuto a mancare all’improvviso il supporto delle esportazioni, ma i valori macroeconomici fondamentali sono superiori a quelli italiani, soprattutto per ciò che riguarda la capacità competitiva delle imprese, il costo della manodopera e la produttività dei fattori.

Come sempre l’Italia sconta, nei momenti di crisi, così come in quelli di crescita, l’assenza di politiche di investimento nei settori ad alta tecnologia (quindi investimenti in Ricerca e sviluppo e in capitale umano) e di un progressivo potenziamento dei livelli di istruzione e specializzazione delle giovani generazioni, come dimostrano abbondantemente i tagli ulteriori operati dal Governo e che stanno portando in piazza studenti, docenti e famiglie.