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Le altissime ondate della tempesta perfetta porteranno Obama alla Casa Bianca ?

Publie le martedì 4 novembre 2008 par Open-Publishing
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martedì 4 novembre 2008

La prima seduta del mese di novembre sui mercati azionari statunitensi è stata letteralmente vissuta in surplace, con oscillazioni degli indici che si sono mossi di pochissimo al di sopra della parità, con analisti ed operatori che sembrano trattenere il fiato in attesa che dalle urne emerga stanotte il nome del nuovo inquilino della Casa Bianca e, almeno si spera, una chiara maggioranza nei due rami del Congresso, tale da consentire a chi dovrà fare i conti con la disastrosa eredità degli otto anni di George W. Bush di poter muovere tutte le leve del potere, senza dovere temere agguati parlamentari sulle scelte radicali che sono assolutamente necessarie per evitare che la tempesta perfetta si trasformi nella più grave recessione del dopoguerra, se non addirittura di tutti i tempi.

Come fanno i bravi amministratori delegati appena nominati alla guida di una società, il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, farebbe bene a dire subito tutta la verità sullo stato dell’Unione e, purtroppo, dell’intero pianeta, utilizzando peraltro gli strumenti lasciatigli in eredità dal rampollo del clan dei Bush in maniera molto più radicale, non tanto in termini quantitativi, quanto, piuttosto, dal punto di vista di quel necessario e radicale cambio del top management delle principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense che, come ricordo sempre, continua ad essere la costola principale del mercato finanziario globale che, al momento, è quasi un eufemismo dire che è completamente allo sbando.

Il problema, infatti, non sta tanto nella dotazione del fondo di salvataggio approvato di recente dal Congresso, ma nell’utilizzo delle somme stanziate, ed in buona parte già impiegate dall’ex (?) investment banker e, si spera ancora per pochissimo, ministro del Tesoro, Hank Paulson, chiedendo ed ottenendo non solo la cacciata dei responsabili del disastro attuale, ma anche che vengano adottate regole molto più stringenti volte ad evitare che si ricreino in futuro le cause per una nuova e semmai ancora più disastrosa crisi finanziaria, anche se sembra un po’ paradossale scrivere questo mentre la tempesta perfetta è ancora, dopo quindici mesi di attività, ancora in corso e tuttora in grado di spazzare via, alla prossima ondata, il precario equilibrio consentito dallo sforzo finanziario veramente gigantesco dei governi e delle autorità monetarie dei maggiori paesi industrializzati.

Certo, la prossima riunione del G20 a Washington sarà ancora formalmente presieduta da Bush, ma sarà fortissima l’influenza del suo successore, soprattutto se risponderà al nome di Barack Obama, un nome che, al di là delle affermazioni di facciata e degli stessi finanziamenti alla campagna elettorale, i banchieri e gli altri protagonisti del mercato finanziario temono moltissimo, soprattutto se indirizzerà la sua scelta forse più importante, quella del nuovo ministro del Tesoro, verso uomini che sono vere e proprie bestie nere dei teorici della finanza allegra, quali il Leone di Omaha, Warren Buffett, o quel castigamatti che risponde al nome di Paul Volker, un uomo che, a dispetto dell’età, ha mostrato di avere, anche in questi terribili mesi, una visione lucidissima delle vere cause della tempesta perfetta e, soprattutto, uno che fu costretto a lasciare la guida della Federal Riserve per il semplicissimo motivo che, di fronte alla crisi del 1987, non avrebbe certo inondato il mercato di liquidità, ma avrebbe lasciato tranquillamente fallire i responsabili di quella bolla speculativa!

Come è noto anche ai bambini, a quella conferenza dei venti paesi maggiormente industrializzati, che spero proprio recuperi in extremis la Spagna di Luis Zapatero, si scontreranno la visione europea, che fa perno sul rinato Gordon Brown ed i suoi più fidati consiglieri che hanno dimostrato nei fatti di conoscere dall’interno il magico mondo dell’investment banking al punto da individuare i primi rimedi efficaci, e quella americana incarnata dall’ultimo erede del clan dei cespugli, un uomo letteralmente nelle mani di Big Business, Big Pharma, Big Oil, Big Finance, per non parlare di quel complesso di interessi e poteri che ruota attorno alla macchina bellica statunitense, che, in realtà, fa maggiormente conto su quel good fellow di Dick Cheney, che può considerarsi a tutti gli effetti come uno di loro.

Solo se la nuova amministrazione compirà una rivoluzione copernicana rispetto a quella visione ideologica neoliberista ormai svuotata di tutti i punti di riferimento nella finanza e nell’industria a stelle e strisce, solo allora sarà possibile che dal prossimo summit possano venire indicazioni utili, e mi auguro molto precise e stringenti, per consentire agli addetti ai lavori di gettare le basi di un nuovo e più giusto, nonché più simmetrico, ordine e economico internazionale, meno dollarocentrico e che, soprattutto, individui dei meccanismi che considerino deficit e surplus strutturali deviazioni da correggere mediante un approccio non troppo diverso da quella Clearing Union illustrata inutilmente dal mai troppo compianto John Maynard Keynes in quella conferenza di Bretton Woods che vide, purtroppo, il trionfo della posizione americana, in larga parte basata sulla centralità di un dollaro ancorato a quel relitto barbarico dell’oro, un ancoraggio del tutto basato sul gentlemen agreement che prevedeva che nessuno avrebbe effettivamente chiesto la conversione dei dollari al cambio di 35 dollari per oncia e che venne prontamente abbandonato da Richard Nixon a ferragosto del 1971, non appena Charles De Gaulle chiese, ed ottenne, l’equivalente in oro di un miliardo di dollari!

Temo che molto, ma molto difficilmente la montagna partorirà qualcosa di più rilevante del classico topolino, anche se ho qualche speranza che una chiara e sonante affermazione del partito democratico, peraltro possibile solo ove la maggioranza dei cittadini statunitensi renda noto attraverso il voto di averne le tasche piene del più grande processo di redistribuzione del reddito in favore dei più ricchi mai verificatosi nella più che bicentenaria storia degli Stati Uniti d’America, possa consentire ai potenti della Terra un a assunzione di responsabilità simile a quella che si verificò tanti anni orsono in occasione degli accordi di Kyoto.

Marco Sarli - Responsabile Ufficio Studi Uilca

http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/

Messaggi

  • Sull’onda della tempesta perfetta, Barack Obama conquista la Casa Bianca, la Camera ed il Senato!

    Come si usa dire nel gergo delle dealing rooms, “buy the rumor, sell the news”, copione puntualmente seguito dai mercati azionari europei alla notizia che il sogno di Barack Hussein Osama, figlio di un keniota e di un’americana, uomo di colore e sino a tre anni orsono noto solo come avvocato delle cause dei diseredati, si è trasformato in realtà, consentendogli di divenire il primo afroamericano ad aver acquisito il diritto di abitare alla Casa Bianca, con un contratto di quattro anni rinnovabili, ove ce la faccia nuovamente al prossimo election day, per ulteriori quattro, un risultato che, nonostante i disastrosi otto anni di presidenza di Bush Jr. e la patetica performance di Mc Cain e di Barracuda Pailin, sino al mese di settembre dell’anno di disgrazia 2008 sembrava veramente difficile da conseguire.

    In una puntata di qualche giorno fa, avevo azzardato il pronostico della vittoria del giovane senatore di Chicago, in gran parte per l’effetto drammatico sul morale dei cittadini americani legato a quel fallimento sventato in extremis dell’intero sistema finanziario a stelle e strisce descritto con grande accuratezza dal numero uno del Fondo Monetario Internazionale, il francese Strauss Kahn, per un attimo dimentico delle sue complesse vicende extraconiugali, vicende per le quali è stato assolto solo perché non era davvero il caso di procedere ad un repentino cambio della guida di uno dei pilastri del sistema uscito da Bretton Woods e che verrà sottoposto ad un processo di, speriamo, radicale revisione già a partire dall’attesissimo vertice del G20, dal quale pare sia ancora esclusa la Spagna di Jose Luis Zapatero (tralascio gli altri nomi del giovane premier spagnolo perché sono veramente troppi).

    Credo sinceramente che nessuno sia al corrente delle vere qualità del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, al di là di quanto è stato possibile vedere in questi due anni di estenuante campagna elettorale, ma concordo pienamente con l’analisi di Federico Rampini pubblicata oggi da La Repubblica, soprattutto quando afferma che per la stragrande maggioranza degli operatori di Wall Street, l’uomo trasuda letteralmente fiducia, sì proprio quella fiducia senza la quale non serviranno assolutamente a niente anche i 4 mila miliardi di dollari stanziati dai governi e dalle banche centrali dei principali paesi industrializzati, non fosse altro che il semplicissimo motivo che, a parere di molti se non di tutti, l’ingrediente magico che può consentire di finire nel burrone preconizzato da Strass Kahn è rappresentato proprio da un recupero, forte e significativo di fiducia nelle istituzioni finanziarie.

    E’ altresì evidente che non bastano certo il carisma e la parlantina del giovane avvocato di South Chicago per uscire dal meldown finanziario e dai drammatici riflessi che questo sta avendo sull’economia reale statunitense e globale, in quanto è necessario un equo ma deciso accertamento delle responsabilità individuali dei top bankers e dei vertici delle altre entità a pieno titolo protagoniste di quel casinò a cielo aperto che, almeno secondo il presidente della repubblica francese ed il suo omologo tedesco, è divenuto da lunga pezza il mercato finanziario globale.

    Già, perché oltre all’introduzione di regole certe ed esigibili da parte dei governi e delle autorità monetarie, nonché una radicale revisione delle norme su cui è attualmente basato un ordine monetario internazionale del tutto bancocentrico, quello che risulta indispensabile per recuperare, almeno in parte, la fiducia dei risparmiatori/investitori consiste proprio nel non lasciare nelle sole mani dello sceriffo Cuomo e dei suo tanti altri colleghi impegnati su questo fronte caldissimo di indagini, quanto un chiaro input politico che miri ad evitare la tentazione di operare il classico colpo di spugna ed a favorire un accertamento delle responsabilità a tutti i livelli, incluse quelle dei regolatori e delle agenzie di rating!

    Se fossi nei panni dei possibili indagati non mi farei troppe illusioni sulla scarsa incisività delle parole pronunciate in campagna elettorale dal neo presidente degli Stati Uniti d’America, certamente meno forti di quelle pronunciate dallo sconfitto negli ultimi comizi quando si è giocato il tutto per tutto, anche perché credo che Obama lascerà volentieri al nuovo segretario di stato al Tesoro, soprattutto se la sua scelta cadrà su persone come Summers, Volker o Buffett, l’onore e l’onere di portare avanti una campagna moralizzatrice nell’ambito del Big Finance, anche perché sa benissimo che gli basta lasciare le briglia sciolte sul collo di due di questi tre personaggi per potersi disinteressare completamente del problema, questo perché so pochissimo di Summers, mentre so per certo Volker e Buffett sarebbero visti con vero terrore dai vertici delle diverse entità operanti nel mercato finanziario statunitense, un terrore aumentato dalla estrema misura con la quale i due si sono espressi sul da farsi.

    Non credo proprio che i due possibili candidati abbiano gradito il niet espresso dall’ex(?) investment banker Hank Paulson alla richiesta di aiuto volta a favorire il merger tra General Motors e Chrysler, dopo aver elargito a piene mani quasi la metà dei fondi previsti dal piano di salvataggio recentemente approvato per mettere una pezza ai conti più o meno disastrosi delle prime 30 banche operanti negli Stati Uniti e mentre la lista delle banche postulanti aiuto si è allungata a ben 1.800 banche di piccole emdie dimensioni, anche se va detto che tale forma di intervento è certamente da preferire a quella prevista dal suo documento iniziale e che prevedeva di acquistare a prezzi del tutto fuori mercato i titoli tossici che ancora sono in corpo alle banche.

    D’altra parte, non capitava da lunghissimo tempo che un presidente democratico potesse contare su una vera maggioranza sia alla Camera dei rappresentanti che al Senato, il che spunta di molto le armi dei vari gruppi di pressione sui congressisti, circostanza che non è certamente sfuggita ad Obama che è, altresì, consapevole del fatto che la sua impostazione dovrà pesare sin dal G20 che inizierà i suoi lavori venerdì della prossima settimana!

    Marco Sarli - Responsabile Centro Studi UILCA

    5 Novembre 2008