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Le armi: speranza oltre la morte

Publie le venerdì 1 dicembre 2006 par Open-Publishing

di Alessandro Ambrosin

Non si dovrebbe mai esprimere un’opinione scontata quando si tratta di analizzare il dolore degli altri. Nel suo ultimo libro, scritto prima di morire, Susan Sontag ha messo in luce le diverse implicazioni dell’iconografia specifica dei luoghi in cui imperversa la guerra. Implicazioni che vanno a ripercuotersi sull’opinione pubblica.

Le immagini servono da un lato a confermare la drammatica brutalità di una guerra in atto, generando le più disparate riflessioni e contribuendo al consolidamento delle coscienze dei dissidenti, mentre dall’altro - per mezzo di una continuità sequenziale- creano l’effetto contrario.

Senza il benché minimo stupore, proprio perché inflazionate, diventano immagini cinicamente crude, ma che al contempo appartengono ad una realtà troppo lontana dalle nostra, dalle abitudini ed i pensieri di noi occidentali. Diventano una “normalità anormale” che passa quasi inosservata e si perde nell’oblio delle nostre fragili certezze.

Eppure quando parliamo di guerre l’incidenza della distruzione di cose e persone è dettata da strumenti di morte che le accompagnano indissolubilmente: le armi. Strumenti incontrastati ed iper-tecnologici di prevaricazione sul prossimo.

La progettazione di armi, studiata meticolosamente, non incide esclusivamente sull’annientamento delle genti, ma porta con sé una serie di conseguenze complementari: dai problemi sui diritti umani all’inquinamento nei luoghi di produzione, fino agli alti incentivi economici implicati dalla necessità del mantenimento di un mercato che contribuisce sostanzialmente alla crescita del Prodotto Interno Lordo dei paesi che tali armi producono.

Senza remore alcune, il capitale della morte avanza indisturbato, travolgendo e trasfigurando ogni sorta di morale, sia essa politica, religiosa o del buon senso comune; morale che dovrebbe distinguere la razza umana come la più evoluta del pianeta.

Si è aperto il 29 novembre a Ciampino -in provincia di Roma- con un filmato di Emergency, un dibattito sulla riconversione bellica industriale. Organizzato da Carlo Cefaloni, dell’ Associazione Teresio Olivelli, il confronto pubblico -vista la numerosa presenza di Associazioni e singoli cittadini- ha dato luogo ad interventi significativi che hanno messo in luce gli aspetti più reconditi inerenti alle fabbriche della morte.

All’incontro hanno partecipato Alberto Castagnola, un economista della “rete Lilliput”; Alberto Sciatore, appartenente alla Cisl Alenia; Gianmarco Marchioratti, direttore della Scuola di Pace; ed Edoardo Longobardi, portavoce della “rete Tuscolana” per la pace.

L’Italia si attesta al settimo posto nel mondo per la spesa militare. Addirittura prima di Israele. È seconda solo agli Stati Uniti per la produzione e l’esportazione di armi leggere, che -come ammesso dall’ultimo Small Arms Survey- sono molto più letali di altri tipi di armamenti .

Uno degli epicentri della produzione di armi è la regione Lazio. Dalla Valle del Sacco ai monti Lepini, fino a Colleferro, le produzioni belliche aumentano esponenzialmente e rappresentano la principale fonte di guadagno per questi luoghi. Il problema è che l’ ambiente ne risente in maniera enorme, soprattutto nella zona di Colleferro e della Valle del Sacco, in prevalenza a causa delle lavorazioni chimiche della polvere da sparo.

La Simmel di Colleferro esporta all’estero il 70% della sua produzione: munizioni di vario genere, missili e le famigerate cluster bomb. I conti delle industrie belliche non sono mai in rosso, ma al contrario gravitano in un giro d’affari miliardario che non conosce la parola crisi. Ed è proprio per il loro rendimento economico che le fabbriche della morte non trovano mai ostacoli.

All’ultima assemblea della NATO Bush ha chiesto ulteriori finanziamenti per le spese militari, senza dimenticare che nel 2004 Ciampi e Fini, durante un viaggio in Cina, chiesero l’eliminazione dell’embargo esclusivamente per i prodotti bellici.

Se la convenzione di Ginevra, stipulata a inizio secolo, era deputata a garantire il contenimento delle distruzioni, la tutela delle popolazioni e la riduzione limitata dei danni, ora è miseramente decaduta.

Oggi ci troviamo davanti ad un quadro internazionale deprimente, una situazione che non mostra affatto la possibilità di un miglioramento oggettivo perché manca una reale contrapposizione al sistema consolidato di potere.

La gran quantità di denaro che tali industrie riescono a mettere in movimento influisce positivamente sui PIL nazionali, che sono direttamente proporzionali all’aumento delle commissioni per gli armamenti.

Questo meccanismo meramente economico resta sicuramente uno dei punti cardine del processo industriale capitalista, un processo che rimpingua le casse nazionali dei paesi ad alta efficienza militare.

Scardinare un sistema del genere non è il solo passo da fare per sconfiggere la produttività bellica, ma occorre anche sviluppare un lavoro di de-condizionamento mediatico che aiuti a trovare la giusta consapevolezza sugli effetti delle armi, un impegno in cui le forze politiche, sindacali e sociali si possano riconoscere come modello cooperativo responsabile. Serve un percorso comune.

Gli stessi sindacati denunciano una difficile concertazione con l’imprenditoria bellica, perché dove esiste un alto profitto diventa difficile stabilire un confronto. La politica europea è stata fondata sulla costruzione di una sicurezza comune fin dal 1990. Di fatto tale evento ha cambiato la costituzione materiale della NATO trasformandola da, organizzazione eminentemente difensiva e con limiti di azione geografici, in uno strumento di intervento bellico preventivo in qualsiasi parte del globo.

Se Bush senior parlava qualche anno fa di “guerre stellari”, e il suo successore Bush junior fu il primo a parlare di “network militari”, oggi la strategia bellica fa riferimento a grandi architetture, come quelle spaziali, navali, della comunicazione e delle nuove tecnologie militari. Il tutto per creare un modello che abbracci più campi e che diventi inevitabilmente invulnerabile.

Le stesse tecnologie che noi oggi usiamo normalmente, come i gps, non sono altro che il frutto di ricerche tecnologiche avanzate che sono sperimentate in ambito militare per rendere più efficiente il soldato nel campo di battaglia.

L’integrazione di tali “segmenti costitutivi”, in campo tecnologico, visti i molteplici punti collimanti tra scopi militari e civili, potrebbero aprire una prospettiva mirata ad una riconversione più veloce che troverebbe comunque un mercato di richiesta altissimo. Il progetto Galileo a Roma nasce con questi propositi: una riconversione industriale che trovi la giusta sinergia all’interno del mercato civile senza abbattere gli utili.

Nonostante le buone intenzioni, questa fiorente globalizzazione dell’industria bellica ha aperto anche ampie scappatoie nelle norme che regolano l’esportazione delle armi, consentendo vendite a favore di chi viola i diritti umani e di paesi soggetti ad embargo.

Diventa quindi necessario un provvedimento teso ad una riconversione delle fabbriche di armi e delle leggi internazionali che facilitino questo passaggio, creando le condizioni di possibilità per un controllo serrato.

Da gennaio un progetto della regione Lazio, in collaborazione con la provincia di Roma, si sta impegnando per una riconversione industriale. E’ stato presentato di recente un disegno di legge sulla riconversione dell’industria bellica che verrà depositato a breve alla Camera ed al Senato dai parlamentari Francesco Martone (senatore indipendente per il PRC) ed Elettra Deiana (deputata, PRC). Frutto di un lavoro di scrittura collettiva, il disegno di legge intende promuovere una inversione di tendenza della politica industriale e produttiva del nostro paese, produzione che negli ultimi anni è cresciuta nell’ordine del 70%.

E’ palese che una politica per la pace richieda una determinante inversione di tendenza non solo sul piano politico, ma anche su quello industriale.

Forse un barlume di speranza potrebbe riaccendere gli animi. Realizzare un mondo migliore è ancora possibile.