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Le lacrime di Gaza

Publie le sabato 17 gennaio 2009 par Open-Publishing

Le lacrime di Gaza

di Marco Sferini

Prendete una delle tante foto che arrivano da Gaza. Ad esempio quella che "il manifesto" pubblicava ieri, Giovedì 15 Gennaio 2009, in ultima pagina a corredo di un articolo - molto toccante - di Alessandro Portelli. In penombra c’è un bambino palestinese che appoggia la testa al muro e si volta di lato. Piange. Ha il viso contratto in una smorfia, come se lì, davanti a quel muro lo avessero preso a pugni nello stomaco. La didascalia dice: "Il pianto di un ragazzino palestinese durante un funerale che si è svolto ieri a Gaza". Lacrime fresche, di poche ore fa, provocate da qualche bomba dell’esercito israeliano o da qualche colpo di fucile dei soldati. Le agenzie dicono che i civili in fuga sono bersaglio degli uomini di Tahal.

Una donna stava portando con sé i suoi ragazzi via dalla casa pericolante. Aveva costruito artigianalmente una bandiera bianca come salvacondotto per passare il campo di fuoco. Ma non è servito a niente mostrarsi imbelli, disperati, tali e quali nella tragedia e nel massacro di Gaza: gli israeliani l’hanno centrata alla testa con una mitragliata.
Non risparmiano nessuno, neanche i fuggiaschi che trovano riparo nelle postazioni dell’Onu, nei suoi palazzi o i feriti ricoverati presso la Mezzaluna o la Croce rossa.

Se persino Massimo D’Alema, che notoriamente non è un pacifista e non può certo essere definito un simpatizzante di Hamas, sostiene apertamente, e in altrettanto aperto contrasto con il suo partito, che "in Italia c’è una campagna pro-Israele che non ha paragoni al mondo" aggiungendo che "è violenza sproporzionata a Gaza", c’è da credere che il governo di Olmert, le forze armate di Barak e Livni questa volta hanno davvero passato il segno, hanno creato un conflitto sulla base di un espediente, da buoni allievi di George W. Bush che speriamo di non rivedere mai più nelle cronache della vita e della politica americana e mondiale... tra qualche giorno.

La sproporzione c’è: e c’è sia nel campo dell’informazione che viene da Gaza, sia in quello dell’aggressione armata. Il terzo esercito del mondo per forza militare e consistenza numerica in rapporto ai suoi cittadini non è in grado di occupare l’intera Striscia di Gaza in due, tre giorni? Manca Moshe Dayan, il "grande" stratega militare della guerra dei Sei Giorni? No, non manca proprio nulla. Ma c’è invece sul tappeto una tattica ben studiata, quella di tentare proprio un’operazione di terrore nei confronti del milione e mezzo di palestinesi che vivono nel lembo di terra martoriato. Forse per farne dei cittadini di serie "c" di un "grande Israele". Forse per avere come interlocutore solamente Al Fatah e non anche Hamas.

Ma credo sia vera l’analisi di Uri Avnery: Hamas potrà anche essere distrutto militarmente, ma nella coscienza dei palestinesi vive come sinonimo di resistenza, di unità nazionale, di rappresentanza sentimentale oltre che politica. Dunque Hamas vince, perchè in questi anni è diventato, là a Gaza, un tuttuno con il popolo: ha fanatizzato moltissimi giovani, ha introdotto anche l’elemento islamista con qualche tendenza jihadista, ha gestito la costruzione delle scuole, ha sopperito ai bisogni sanitari della gente, ha procurato loro molto spesso le condizioni di sopravvivenza all’embargo israeliano, creando una speranza in quella prigione a cielo aperto che era divenuta Gaza.

La guerra di Israele non fa che dare forza al fanatismo, che fare del processo di pace la prima grande vittima di queste settimane di massacri, di omicidi generalizzati. Sono oltre 1.000 i morti, di cui quasi 300 sono bambini. Non è terrorismo questo? Non è la manifestazione della voglia di alimentazione dell’esasperazione per generare una spirale di violenza che autorizzi sempre più vaste ed efferate ritorsioni "legali" da parte delle truppe di Tsahal?

Chi produce e alimenta questa politica è un criminale contro l’umanità. Chi sostiene che ciò che fa Israele oggi è un atto di difesa legittimo è in aperta malafede e contribuisce a deformare la verità, ad ingannare le persone.

Le intenzioni di Theodor Herzl sono state superate da un moderno concepimento dell’esistenza di un Israele che non sia testimonianza della giusta sconfitta dell’antisemitismo in tutto il mondo, ma semmai una potenza da espandere, un piccolo grande stato imperialista che trova le sue colonie nei residui dei territori palestinesi occupati dal 1967. Non più una rivendicazione di diritti, ma una pericolosa sedimentazione di fondamentalismo.

Per questo molte volte torna di moda sui giornali e in tv leggere e sentire la parola "antisionista". Il suo sinonimo sociale, politico e culturale è, purtroppo, la destra di Livni, quella di Bibi Netanyahu. La loro parola d’ordine è tutta nella distruzione di Gaza, della sua popolazione: e non importa se per arrivare al loro fine ultimo si deve intimorire anche l’Onu, dicendo tra le righe che le bombe al fosforo bianco che hanno colpito la sede dei rifugiati delle Nazioni Unite sono state solo un "tragico errore"... Non importa, perchè ciò che fa un governo, e soprattutto un governo come quello di Israele, è e non può non essere "legale".

Vorrei tanto poter asciugare qualche lacrima di quel ragazzo palestinese. Vorrei potergli dire che la vendetta non gli servirà a niente. Ma come potrei dirglielo oggi, mentre attorno a lui c’è solo vendetta, solo rancore, solo odio, solo violenza e terrore? Un amico mi ha scritto: "Quando ai ragazzi si insegna solo la guerra, dimenticano cos’è la pace.". E’ forse il peggiore degli oblii, la più vile delle amnesie ed è quella più diffusa.