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Le sorelline dell’Onda travolgono il corteo
di Daniela Preziosi
Non i numeri straordinari dell’anno scorso alla manifestazione delle donne di ieri a Roma. Ma la novità dell’associazione nazionale dei centri antiviolenza. Le voci del movimento: in un anno 126 donne uccise quasi tutte da mariti o fidanzati, non è un problema di ordine pubblico Sono contro il governo, ma non insultano le ministre Rispettano le madri, ma a distanza. Si dicono femministe
«Lesbica? No..., ma ci attraversano tanti desideri diversi, tanti sentimenti diversi....». Femminista? «Femminista». Separatista? «No. Ehm: un conto è dire che questa manifestazione è solo di donne, che ci siamo prese uno spazio pubblico solo per noi. Ma queste donne poi fanno tante altre cose in luoghi dove ci sono anche gli uomini». Vuoi dire che il separatismo è una scelta datata? «No. Che è rispettabile». Va bene, ma i vostri compagni all’università come l’hanno presa, un corteo di movimento alla quale non erano invitati? «Alcuni bene, altri se ne fregano». Donatella, 27 anni, capello corto, studente di Lettere un tantino fuori corso (le mancano dieci moduli, dice, tradotto in esami sono 4 o 5 dice, con aria comprensiva come spiegasse alla nonna) è una ragazza dagli occhi grandi e appena meno che abbaglianti per via di un’apposita frangetta, piazzata là per smorzare quella sua luce salentina. E’ di Miggiano, culla di taranta, in molte mappe neanche un punto sulla cartina. Ama la scrittrice Goliarda Sapienza, le piace Madonna «icona gay e lesbo, massì, ma qui ci contaminiamo, e può succedere che con le altre ci scambiamo le icone». Collettivo La mela di Eva, Donatella c’era anche l’anno scorso. E’ è una delle migliaia di ragazze che sfilano a chiusura del corteo «contro la violenza maschile». Universitarie, soprattutto, ma ci sono anche le sorelline minori dei licei. Un corteo nel corteo, in pratica, quelle che «la crisi non la paghiamo». Per come sono vestite, per come si muovono, perché fanno manifestazioni da un mese, perché ballano, ballano e ballano per tutto il corteo. Per come si salutano, intraducibile a parole, ma ci proviamo: se i ragazzi dell’Onda lo fanno alla maniera dei surfisti, loro raddoppiano, uniscono i mignoli e i pollici. E’ una citazione del femminismo anni ’70, indici e pollici uniti, simbolo di autodeterminazione del corpo.
Di quel femminismo sanno quello che basta per portare rispetto e segnalare distanze. Va bene la definizione ’femministe e lesbiche’ perché le seconde pretendono di essere visibili e nominate, il linguaggio dice ma anche cancella. Antonella, anche lei di Lettere, 22 anni: «La nostra non è una manifestazione separatista, è ’non mista’. E del resto viene da mesi di mobilitazioni all’università. Un mese fa, il salto, così si agganciano alle ’sommosse’ che organizzano il corteo nazionale: «Abbiamo deciso di fare un’assemblea di sole donne, e poi di aderire a questo corteo». Perché, spiega Marta, di Fisica - una delle dj del camioncino e passa tutto il pomeriggio a far ondeggiare le altre - «le donne sono le prime a pagare la crisi e le politiche della destra: fra le disoccupate le ultime a trovare lavoro, fra le precarie le prime a perderlo, come mamme a stare a casa perché a scuola i figli non hanno il tempo pieno». E le ministre contestate, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, vittime o carnefici?: «Carnefici... ma vittime pure loro, poverine, non riescono ad a andare oltre». Ma gli slogan, tutti, anche i più duri, quelli che suonano sulle rime vecchie dell’autonimia operaia, stanno alla larga dalle ministre. L’anno scorso hanno assaltato il palco con le ministre del centrosinistra - che davano le spalle alla manifestazione e parlavano alle telecamere - quest’anno le ragazze attaccano il governo Berlusconi e non vanno leggeri su Veltroni e sulla Cgil (presenti in piazza le metalmeccaniche della Fiom). Quest’anno di parlamentari non ce n’è, qualche ex passeggia con loro, di politiche neanche (qualche amministratrice, ma sta compostamente negli striscioni dei centri antiviolenza), telecamere quasi zero. Il Palazzo è a una distanza siderale.
Loro la politica la fanno senza deleghe, ma persino questa espressione è datata, se applicata a loro: occupano, manifestano, organizzano assemblee e discutono con i loro compagni. Che capiscono? «Mica sempre, ma neanche le donne capiscono sempre. Io per esempio sto in questa parte del corteo perché qui si respira, non si parla solo di violenze e di stupri». Serena, Antropologia di Bologna (ma lei è di Trento) porta uno striscione con Marta, di Scienze Politiche (ma lei è di Mantova) e Mauro (di Padova). Slogan polemico «Femminist* non separatist*». Mauro, soprattutto, è polemico: «Sulla violenza contro le donne il maschile è metà della problematica, e deve fare la sua parte, anche in un corteo come questo». Vuole ’aggiungere la sua sfumatura’, fa parte di «inversamente proporzionale», uno dei tanti gruppi che si stanno cominciando a vedere all’interno degli studenti in movimento di tutta Italia. «Piccoli gruppi di autocoscienza», spiegano. Già sentito, obiettiamo, con l’idea un po’ disarmante che non c’è altra strada che ricominciare sempre d’accapo, con il piccolo gruppo. Disarmante. No, replicano, non l’hai mai sentito. «Sono gruppi Lgbtqe». Per gli amanti del genere significa lesbo-gender-bisex-trans-queer. Bontà loro, stavolta ci hanno aggiunto anche la ’E’ di etero.