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Le toghe rosso sangue ed i visi da non dimenticare

Publie le mercoledì 6 gennaio 2010 par Open-Publishing
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Tira una brutta aria in certi posti della Calabria, dove alcuni appetiti rischiano di rimanere con la bocca asciutta se vanno in porto alcune sentenze. Fra un pò potrebbe riprendere attività l’industria dei cadaveri.

La ‘ndrangheta è un pò che fa un sacco di soldi senza spargere molto sangue, perchè è strutturata diversamente dalle altre mafie e perchè è messa meglio con la cocaina , in pole position nelle gare del mondo globalizzato del crimine.

Le ‘ndrine hanno funzionato meglio di altre forme organizzative.

Però in questi mesi c’é fermento per delle decisioni che potrebbero far perdere un sacco di soldi e la bomba davanti al Tribunale di Reggio Calabria é stato un avviso annunciato da mesi.

L’altro giorno mi è arrivato tra le mani un libro di un giornalista calabrese che mi ha fatto pensare.

Spesso ci capita di ricordare il viso di Falcone e Borsellino, ma gli altri?

Sono tanti, troppi i giudici caduti per colpa delle mafie o del terrorismo ed il cui viso e la cui storia non ricordiamo più.

Ho avuto un moto di rabbia verso me stesso perché pur sforzandomi non ricordavo più bene il viso di Rocco Chinnici e di Ciaccio Montalto, mentre la faccia di Rosario Livatino mi sfumava via , almeno in parte.

Come quando dopo tanti anni non riesci a ricordare bene più il viso di un amico che non vedi da allora.

Ma per questi tre uomini non doveva succedere: non posso non ricordare bene il loro viso. Non va bene.

Loro no, sono stati ammazzati. Certo sapevano che poteva accadere, hanno accettato il rischio per far funzionare la giustizia in posti dove il favore è merce ed il diritto è sconosciuto e ci si parla col fucile a pompa. In posti dove ancora i muli cacano molto lentamente sul selciato ed il risultato rimane lì per giorni fino a solidificarsi e divenire arredo urbano.

I vecchi ti guardano di sguincio, quando entri nel bar, come un savoia venuto ad occuparsi di fatti che non lo riguardano.

Certo a Livatino non glielo ha ordinato il dottore di fare il giudice, ma insomma aveva studiato e si era sacrificato per questo. E poi era la sua terra. Poteva accadergli di fare anche altro dopo la laurea e poteva accadere che il caso decidesse per lui tanti anni prima, quando era all’Ufficio del Registro di Girgenti, facendocelo rimanere lì. Il caso.

Ma non fu un caso quando la stidda lo fece massacrare sulla strada statale 640 : aveva trovato molti riscontri contro la tangentopoli siciliana ( così i giornalisti la chiamarono dopo la sua morte ) ed usava bene lo strumento della confisca dei beni.

Serio, riflessivo, sensibile, il “giudice ragazzino“ – così lo aveva sfottuto/intimidito il vecchio maiale Cossiga qualche tempo prima – aveva fatto un gran lavoro rompendo molte uova nel paniere della stidda e dei suoi riferimenti politici.

Forse ha ragione S.B. a considerarli una razza particolare. Sicuramente sono una razza diversa dalla sua, i giudici.

LA CONOSCENZA RENDE LIBERI

per favorire l’incontro di idee anche diverse
Le toghe rosso sangue ed i visi da non dimenticare

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Tira una brutta aria in certi posti della Calabria, dove alcuni appetiti rischiano di rimanere con la bocca asciutta se vanno in porto alcune sentenze. Fra un pò potrebbe riprendere attività l’industria dei cadaveri.

La ‘ndrangheta è un pò che fa un sacco di soldi senza spargere molto sangue, perchè è strutturata diversamente dalle altre mafie e perchè è messa meglio con la cocaina , in pole position nelle gare del mondo globalizzato del crimine.

Le ‘ndrine hanno funzionato meglio di altre forme organizzative.

Però in questi mesi c’é fermento per delle decisioni che potrebbero far perdere un sacco di soldi e la bomba davanti al Tribunale di Reggio Calabria é stato un avviso annunciato da mesi.

L’altro giorno mi è arrivato tra le mani un libro di un giornalista calabrese che mi ha fatto pensare.

Spesso ci capita di ricordare il viso di Falcone e Borsellino, ma gli altri?

Sono tanti, troppi i giudici caduti per colpa delle mafie o del terrorismo ed il cui viso e la cui storia non ricordiamo più.

Ho avuto un moto di rabbia verso me stesso perché pur sforzandomi non ricordavo più bene il viso di Rocco Chinnici e di Ciaccio Montalto, mentre la faccia di Rosario Livatino mi sfumava via , almeno in parte.

Come quando dopo tanti anni non riesci a ricordare bene più il viso di un amico che non vedi da allora.

Ma per questi tre uomini non doveva succedere: non posso non ricordare bene il loro viso. Non va bene.

Loro no, sono stati ammazzati. Certo sapevano che poteva accadere, hanno accettato il rischio per far funzionare la giustizia in posti dove il favore è merce ed il diritto è sconosciuto e ci si parla col fucile a pompa. In posti dove ancora i muli cacano molto lentamente sul selciato ed il risultato rimane lì per giorni fino a solidificarsi e divenire arredo urbano.

I vecchi ti guardano di sguincio, quando entri nel bar, come un savoia venuto ad occuparsi di fatti che non lo riguardano.

Certo a Livatino non glielo ha ordinato il dottore di fare il giudice, ma insomma aveva studiato e si era sacrificato per questo. E poi era la sua terra. Poteva accadergli di fare anche altro dopo la laurea e poteva accadere che il caso decidesse per lui tanti anni prima, quando era all’Ufficio del Registro di Girgenti, facendocelo rimanere lì. Il caso.

Ma non fu un caso quando la stidda lo fece massacrare sulla strada statale 640 : aveva trovato molti riscontri contro la tangentopoli siciliana ( così i giornalisti la chiamarono dopo la sua morte ) ed usava bene lo strumento della confisca dei beni.

Serio, riflessivo, sensibile, il “giudice ragazzino“ – così lo aveva sfottuto/intimidito il vecchio maiale Cossiga qualche tempo prima – aveva fatto un gran lavoro rompendo molte uova nel paniere della stidda e dei suoi riferimenti politici.

Forse ha ragione S.B. a considerarli una razza particolare. Sicuramente sono una razza diversa dalla sua, i giudici.

Silvio Berlusconi tu non vali neanche una unghia incarnita del piede di Rosario.....CONTINUA SU LA CONOSCENZA RENDE LIBERI

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