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Legge marziale in Iraq, che fa l’Italia?
di Federica Fantozzi
Il ministro della Difesa Antonio Martino risponderà mercoledì alla Camera all’interrogazione presentata dai Ds sull’introduzione della legge marziale in Iraq e il suo impatto su compiti e natura della missione italiana. Il ministro non risponderà in aula - poiché l’appuntamento settimanale con il question time è stato cancellato dopo la bagarre sulla Finanziaria - bensì in Commissione Difesa, senza diretta tv né limiti di tempo.
A riproporre la questione saranno il diessino Marco Minniti - primo firmatario dell’interrogazione - e il dielle Giuseppe Molinari. Al governo si chiede un «chiarimento» sugli obiettivi della missione del nostro contingente dato che la legge marziale introduce «un elemento di sostanziale novità nel quadro dell’impegno italiano in Iraq». I deputati della Quercia, in breve, vogliono sapere se il mutato stato di cose sia «compatibile con la risoluzione Onu, il diritto internazionale, e se non sia invece incompatibile con i compiti assegnati dal Parlamento ai soldati italiani».
Roberta Pinotti - che ha sottoscritto il documento insieme ai colleghi Pisa, Ruzzante, Angioni, De Brasi, Lumia, Luongo e Rotundo - taglia corto su ogni sospetto di strumentalità dei quesiti: «L’oggettivo aggravarsi della situazione non garantisce protezione sufficiente ai nostri soldati. C’è un problema di regole d’ingaggio e di catena di comando». Non che si tratti di una novità assoluta: «Abbiamo sempre sottolineato che, finita la guerra ufficiale, ne era cominciata un’altra, e che era falso parlare di missione umanitaria. Ora la legge marziale mette il sigillo formale su una situazione già evidente nei fatti». E Minniti sottolinea che si tratta del primo caso di truppe italiane impegnate in zone dove la legge marziale.
L’opposizione tuttavia non sembra orientata a chiedere un nuovo dibattito parlamentare sulla questione irachena prima della conferenza internazionale del Cairo, ritenendo per ora «improduttiva» un’ennesima richiesta di ritiro.
«Servirebbe a poco - spiega il capogruppo dello Sdi Ugo Intini - perché sappiamo che il governo non lo farà. Ma bisogna metterlo in mora almeno su un punto: inviti pubblicamente gli Usa alla moderazione, nel momento in cui a Falluja è in corso una strage di civili e Russia, Cina, Onu manifestano il loro allarme. Sono stupefatto dalla passività dell’esecutivo. Questo silenzio è inaccettabile».
Ds e Margherita attendono che Palazzo Chigi prenda posizione per bocca del ministro Martino. «No al ritiro ad ogni costo - sintetizza la Pinotti - ma neanche far finta di niente». «Il governo batta un colpo» esorta il capogruppo dielle Pierluigi Castagnetti, che condivide la preoccupazione espressa da Javier Solana sullo slittamento delle elezioni irachene: «A quel punto il nostro contingente rimarrebbe intrappolato». Anche il Verde Paolo Cento sottolinea la necessità di «chiarire il ruolo dell’Italia e dei nostri militari in Iraq in questa occupazione militare, in aperta violazione con l’articolo 11 della Costituzione».
A invocare il ritiro delle truppe Oliviero Diliberto del Pdci («A Falluja si sta per compiere un massacro, chiediamo la sospensione delle ostilità») e il Verde Alfonso Pecoraro Scanio («La missione umanitaria è una farsa evidente e una missione di guerra non è mai stata autorizzata dal Parlamento. Il governo imbelle dica cosa vuole fare»).
Mentre il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti propone «a tutte le forze pacifiste di riprendere con decisione una mobilitazione di massa per la sospensione immediata dei bombardamenti a Falluja, per il ritiro e per avviare con la conferenza un percorso di pace».




