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Lettera a Luigi Pintor

Publie le venerdì 6 giugno 2008 par Open-Publishing

Lettera a Luigi Pintor

di Pierluigi Sullo

Questa sera alle 19 nella sede di Carta, in via dello Scalo di San Lorenzo 67 a Roma, verrà inaugurata la sala intitolata a Luigi Pintor, destinata ad ospitare incontri, convegni, corsi, riunioni, presentazioni di libri e mostre. Oltre agli interventi di Pierluigi Sullo e Valentino Parlato, ci saranno letture di alcuni testi di Pintor con brani musicali eseguiti da Fòols associazione culturale, e la presentazione della videointervista «Azione è uscire dalla solitudine» di Stefano Grossi.
Pubblichiamo la lettera che trovate su Carta settimanale in edicola da venerdì 6 giugno.

Caro Luigi, lo so che avresti sollevato un sopracciglio. Ma che ci vuoi fare, le persone hanno le loro debolezze, soffrono di nostalgia e tendono a scivolare nel sentimento, tanto più se i pensieri forti, la dura constatazione della dura realtà del capitale, insomma la sinistra che fu, in questo nuovo secolo tende ad evaporare. In questi giorni, per coincidenza, il giornale a cui hai dedicato la vita, il manifesto, si rinnova un’altra volta, segnale di vitalità in un panorama di macerie. E noi di Carta, figlioli prodighi senza vitello grasso, compiamo il modestissimo gesto di intitolare a te la sala di incontri che abbiamo creato nella sede del nostro giornale.

Tu avresti sollevato il sopracciglio e messo su la faccia che hai nella fotografia con cui illustreremo la Sala Luigi Pintor. Era il 25 aprile del 1994, pioveva e la folla si apriva come il Mar Rosso per lasciar passare te, noi e il nostro misero striscione, e acclamavano, applaudivano, ti stringevano la mano, con tuo grande imbarazzo. Avevamo suscitato una speranza, ecco la ragione di tanto affetto. Non l’ho più dimenticato, e quando metto le dita sulla tastiera per una frazione di secondo penso alle tue righe, che pubblicammo in copertina per proporre quella manifestazione e che cominciavano con le parole «Si potrebbe..». E penso anche al tuo ultimo editoriale [il manifesto l’ha ripubblicato qualche giorno fa, nell’anniversario della tua scomparsa]: «Individui, ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d’istinto ed entrano in consonanza con naturalezza… scopo è reinventare la vita in un’era che ce ne sta privando in forma mai viste».

Perché ripenso a quelle parole? Perché così mi dico che per andare oltre il mondo ingiusto in cui viviamo bisogna volerlo, e sembra una cosa banale da dire ma è la fonte di tutto, nasce dal subbuglio che si sente nello stomaco quando vediamo lanciare una molotov su un campo rom, o un uomo in divisa picchiare una persona inerme, o incrociamo per strada una vecchietta evidentemente povera e sola… E basta, qui si scivola. E però, ripensando a quelle parole, so anche che se ho l’arroganza di scrivere su un giornale, allora devo avere l’umiltà di rivolgermi non a militanti, non a caratteri stereotipati, non a categorie sociologiche, non ad atomi ma ad individui. So che, se c’è una speranza di alzare un argine allo tsunami di idiozie e sadismi che scende dalle vette del potere economico e politico, e perfino di immaginare un altro modo di vivere insieme, è proprio lì che si trova, nel riconoscersi quasi d’istinto, nell’entrare in sintonia con naturalezza, qualunque cosa si sia o si creda di essere, comunisti o preti di periferia, ragazzi precari o migranti «clandestini».

Mi rendo conto di non stare scrivendo precisamente a te. Né tu né io crediamo nell’al di là e il Luigi Pintor a cui parlo è quello che si è inciso nella mia memoria. Come le troppe persone che amavo e che sono nel frattempo scomparse, quel Luigi convive con me, gli pongo domande e lui risponde con le espressioni che il tempo ha selezionato e depositato nei miei neuroni. Perciò abbiamo creduto bene intitolare la sala in quel modo: vedi mai, ci siamo detti, che un filo, magari un cavo telefonico, si possa gettare tra il passato e il futuro, per cui del secolo terribile che è finito, e che per tanti aspetti abbiamo sperato si chiudesse in fretta, alcuni segnali possano continuare ad arrivare alle nostre riceventi. Voler cambiare il mondo, e cercare di farlo insieme alle persone che soffrono, e che perciò sono le più sagge, è il senso che vorremmo tutelare, del Novecento e del comunismo di quell’epoca.
Scusaci, Luigi, per la nostra goffaggine.

P. S. Parrebbe proprio che la nostra maglietta clandestina stia riscuotendo un certo interesse. Individui, non atomi, chiedono di indossarla. Guardate l’ultima pagina e la controcopertina, e ordinatela. Sarà disponibile entro dieci giorni.

Carta