Home > Lettera ai valsusini
di Pierluigi Sullo
Cari valsusini, per quel che conta la redazione di questo giornale vuole esprimervi tutta la sua ammirazione. Tutto quel che possiamo fare per dare una mano, da lontano, già cerchiamo di farlo - in questo stesso numero del settimanale e nel sito di Carta - ma se c’è qualcosa che voi ritenete utile, fatecelo sapere, magari per mezzo della nostra e vostra amica, Chiara Sasso. Ma perché ci agitiamo tanto per una vicenda “locale”? Al lettore che si ponesse questa domanda, risponderemmo che in Val di Susa, come sullo Stretto di Messina, o nella laguna veneziana, si gioca una finale di campionato. Non che poi, dovessero perdere le comunità della Val di Susa che resistono alla linea ferroviaria ad alta velocità, non ci saranno altri campionati. Al contrario, questo tipo di conflitto durerà molto, nel tempo, perché per affermare un altro modello di civiltà, che non trituri i luoghi e le società locali, occorrerà molto tempo. E’ quel che dicono, nella nostra rivista mensile che esce giusto questa settimana, teorici e pratici della “decrescita” [parola scandalosa], come Tonino Perna, Mauro Bonaiuti, Maurizio Pallante, Paolo Cacciari, e così via.
Però accade che la resistenza della Val di Susa, iniziata tredici anni fa, arrivi al dunque, al tentativo di impedire le prospezioni geologiche che sono la premessa dello scavo vero e proprio del mega-tunnel progettato da uno Stranamore dell’ingegneria civile, nel momento in cui buona parte del paese si domandi: e adesso? Milioni di cittadini, dal 2001 ad oggi, da quando Berlusconi vinse le elezioni e una nuova società esordì nelle strade di Genova, hanno contribuito a disegnare e sperimentare cambiamenti profondi. Prima di tutto nel determinare ciò che la sensibilità comune considera necessario: le parole “pubblico” e “comune” sono stare riscattate dall’inferno dei reazionari in cui il liberismo trionfante le aveva gettate, e questo è avvenuto su molti temi, dalla conoscenza alla casa, dal lavoro alla città... Questa spinta, in più, ha investito il modo stesso di decidere se una cosa o l’altra tutelano il bene comune: nelle elezioni locali di ogni tipo, nelle primarie, nei nuovi modi di mettersi “in rete”... Oggi, questi milioni di cittadini si stanno chiedendo se, sconfitto Berlusconi, chi gli succederà vorrà interpretare questi cambiamenti, questa nuova “opinione pubblica” in azione, questo elettorato che non si limita a delegare.
Ecco perché la vicenda della Val di Susa è esemplare. Da una parte, abbiamo una valle, i sindaci, le parrocchie, comunità intere che comunicano - con le parole, con una fin qui irriducibile resistenza nonviolenta, dunque efficace, in grado di fermare mille poliziotti e carabinieri - quanto questo genere di “modernità”, il treno superveloce, la corsa dello “sviluppo”, sia nocivo e illusorio. Il tipo di progresso di cui abbiamo bisogno è quello che rispetta i luoghi e la coesione sociale, la storia e le economie locali. Ed è qui lo spartiacque fondamentale tra buon vivere e crescita economica, tra marketing elettorale e democrazia. Per questo, ha scritto di recente Paolo Cacciari su questo giornale, come in Val di Susa in centinaia di altri luoghi le comunità locali resistono ad autostrade, treni ad alta velocità, super-ponti e super-tunnel, termovalorizzatori, insomma a tutto ciò che, divorando ulteriormente il territorio, vuole trasformare in profitto le conseguenze della crescita infinita di automobili, trasporto delle merci, produzione di rifiuti, cementificazione.
Dall’altra parte, abbiamo il grande capitale italiano e transnazionale che appunto vuole ad ogni costo sfruttare le nuove occasioni di profitto. L’Unione europea, la cui visione è, nel caso dei grandi “assi” di trasporto da una parte all’altra del consistente, del tutto coerente con la direttiva Bolkestein sulla privatizzazione dei servizi pubblici. Ma abbiamo anche che la presidente della Regione, già ambientalista e promotrice della democrazia partecipativa [che è anche una moda], investe i sindaci e cittadini della valle paragonandoli a “terroristi”, mentre il sindaco di Torino non vede altro “sviluppo” per la città, dopo la grande industria, se non gli “eventi” come le Olimpiadi invernali o le “modernizzazioni” come la Tav, e perciò scrive “manifesti” sul giornale della Fiat.
Ecco dunque la domanda: quando si romperà, nella cultura dell’Unione, il nesso tra crescita e benessere sociale? O in altre parole: quanto saldo è il legame di complicità con imprese di ogni tipo?