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Lettera di don Vitaliano

Publie le lunedì 11 aprile 2005 par Open-Publishing

don Vitaliano Della Sala

Beatissimo Padre,

avrei voluto scriverti prima, ma ero sicuro che una mia lettera
non ti sarebbe mai giunta tra le mani, si sarebbe fermata tra quelle
di qualche tuo solerte collaboratore. Oggi sono sicuro che potrai
finalmente leggermi e ascoltarmi, leggere e ascoltare il mio cuore.

Ti ho voluto bene, ho ammirato il tuo coraggio nel difendere
sempre i poveri e la pace; oggi sono addolorato per la tua morte, come
sono addolorato ogni volta che muore un uomo o una donna, come sono
stato addolorato per la morte di mio padre. Non sono angosciato e non
condivido lo strepito che sta facendo "la folla" e i troppi potenti
che dicono di piangerti; non credo nell’angoscia nazionale raccontata
dai giornali e dal "salotto buono" italiano di Bruno Vespa,
preoccupato solo dell’audience; non credo nemmeno nelle lacrime dei
tanti in piazza S. Pietro, che in questo modo scaricano
collettivamente altre angosce e altre paure, preoccupati
esclusivamente di immortalare sul display del loro telefonino
l’immagine del tuo corpo esanime. I cristiani non strepitano di fronte
alla morte; noi cristiani crediamo nella resurrezione dei morti, nella
vita oltre la morte, e siamo certi che tu ora sei vivo, come sono vivi
tutti coloro che «ti hanno preceduto nel segno della fede e dormono il
sonno della pace», non importa se poveri e sconosciuti.

Forse ti faranno presto santo e noi tutti potremo considerarci
privilegiati per aver potuto vedere, sia pure purtroppo soltanto
attraverso la televisione, come sono gli occhi e il sorriso dei santi.
Aggiungeranno il tuo nome all’elenco delle migliaia di uomini e donne
che tu, forse esagerando, hai canonizzato. I potenti sfileranno, come
in passerella, accanto alla tua salma muta; quegli stessi potenti che
causano le povertà sulle quali tu ti sei chinato; quegli stessi
potenti che scatenano le guerre contro le quali tu ti sei, a volte,
scagliato: se non hanno raccolto la tua sfida quando eri vivo, non
illuderti, non lo faranno neanche ora che sei morto.

Ti hanno definito "il grande" e forse è vero, ma sarei ipocrita
se mi accodassi a tutti quelli che stanno straparlando bene di te,
perché così conviene. Sai bene quello che il Vangelo dice: «Guai
quando tutti diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i
loro padri con i falsi profeti» (Luca 6, 26). Tu non sei stato un
falso profeta, ma uno che ha saputo dire con coraggio quello che
pensava. Ma, sotto il tuo pontificato è stato tolto a tanti cattolici
il diritto di parlare: hai giustamente combattuto il comunismo
illiberale che avevi subito nella tua Polonia, ma hai voluto una
Chiesa che rispecchia molto quel regime oppressivo.

E’ strano, ti hanno sempre applaudito ipocritamente i potenti,
dopo che tu li avevi bacchettati; e i giovani, che realisticamente
usano gli anticoncezionali, ti hanno sempre acclamato dopo i tuoi
discorsi di chiusura in campo morale, continuando senza eccessivi
scrupoli di coscienza a disobbedirti. Attorno a te c’è stata una
specie di isteria collettiva: più pretendevi dalla gente e più ti
acclamavano. Il segreto è stato probabilmente un efficiente ufficio
stampa, capace di gestire in maniera magistrale la comunicazione della
tua immagine e delle tue gesta.

Oggi la Chiesa, a conclusione della tua esperienza terrena,
sembra una di quelle case di un set cinematografico: la facciata bella
e completa che nasconde il vuoto. Ti dico questo perché ti voglio bene
e voglio bene alla nostra Chiesa, voglio il bene della Chiesa, e il
volere bene esclude l’ipocrisia e l’ossequio vile.

Qualcuno dovrebbe raccontare alle folle plaudenti le
contraddizioni del tuo pontificato, la tua, legittima, visione
tradizionalista della Chiesa, il tradimento verso il Concilio Vaticano
II; il tuo esserti circondato di collaboratori reazionari, che la dice
lunga sulle aperture di facciata del tuo pontificato; qualcuno
dovrebbe spiegare la tua visione del potere, l’accentramento di potere
nelle tue mani, e in quelle del tuo entourage, che c’è stato sotto il
tuo pontificato e la mancanza di collegialità con l’episcopato;
qualcuno dovrebbe spiegare ai rappresentanti delle altre confessioni
cristiane e a quelli delle altre religioni la tua idea di ecumenismo
come riconoscimento dell’unica verità posseduta esclusivamente dalla
Chiesa cattolica; qualcuno dovrebbe spiegarci come mai ti sei
scagliato con forza contro la guerra in Iraq e hai provocato la guerra
in Jugoslavia quando il Vaticano ha riconosciuto per primo
l’indipendenza della Croazia, e perché non hai mai detto che ogni
guerra, la guerra in sé è ingiusta; qualcuno dovrebbe dirci che hai
sbagliato clamorosamente strategia quando, contribuito a far crollare
i regimi comunisti dell’est europeo, ti aspettavi, soprattutto per la
tua Polonia, un prevalere dei valori cristiani nella vita di quei
Paesi e invece ha prevalso il consumismo e il "neoliberismo sfrenato",
ha prevalso quello che i tuoi predecessori definivano «imperialismo
capitalista del denaro».

Non avveniva da molto tempo che nella Chiesa ci fosse tanto
terrore ad esternare le proprie idee. In questi ultimi anni, si sono
rafforzati i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana,
che parla di diritti dell’uomo all’esterno, ma non li rispetta al suo
interno. Hai dichiarato un numero elevatissimo di santi, ma al tempo
stesso hai ignorato l’inquisizione attuata nei confronti di teologi e
sacerdoti. I nuovi santi, strumentalizzati politicamente e
commercialmente con spese ingenti e conseguenti profitti per la Curia,
sono soprattutto pie suore e fondatori di ordini religiosi che spesso
di "eroico" non hanno nulla. Uomini e donne (anche donne appartenenti
a ordini religiosi) che si sono distinti, per il loro pensiero critico
e per la loro energica volontà di riforme, sono stati invece trattati
con metodi da Inquisizione. Qualcuno dovrebbe raccogliere i frammenti
di storia di tutti i provvedimenti disciplinari, dei processi canonici
o delle precisazioni dottrinali, emanati dal Vaticano negli ultimi
venticinque anni contro quei sacerdoti, teologi e religiosi che hanno
adottato un approccio molto più ampio e flessibile nel trattare la
delicata questione dei rapporti tra annuncio evangelico, strutture
religiose, contesti storico-sociali e norme morali. Ne emergerebbe,
tra l’altro, la storia del tentativo di difendere la visione della
Chiesa come istituzione - gerarchica, autoritaria e centralista -
tutta tesa a tradurre il messaggio rivoluzionario del Vangelo in norme
morali e giuridiche. Nel Vangelo c’è una parabola nella quale Gesù
paragona il Regno di Dio, quindi la Chiesa, a un granello di senape,
il più piccolo tra semi che però diventa un albero frondoso, «e fa
rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua
ombra»: paradigma della Chiesa-altra che sempre più cattolici sognano
e si impegnano a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina,
non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, una «Chiesa degli
esclusi e non dell’esclusione», come ama affermare mons. Jacques
Gaillot, vescovo degli esclusi ed a sua volta vescovo escluso perché
rimosso dalla sua diocesi di Evreux, in Francia.

Nei tuoi ultimi giorni terreni ci hai, invece, dato grandi
insegnamenti; ci hai dimostrato come si soffre e si muore da
cristiani, ci hai insegnato che la morte, quando arriva, deve trovarci
vivi. E’ stata forse la tua lezione più alta. Mi resterà sempre
impresso nella memoria il tuo urlo silenzioso, alla finestra del tuo
apostolico appartamento l’ultima volta che ti sei affacciato, quando
hai capito che non saresti mai più riuscito a parlare. Allora, in quel
tuo silenzio straziante, ho ascoltato le urla di dolore di tutto il XX
secolo e di tutti i poveri del mondo. In quel momento mi sei parso
grandissimo e ti ho amato.

Ti saluto, nella certezza che tu, ora, non ti arrabbierai per
quello che ti ho scritto, perché abiti nel "mondo della verità", come
dicono gli anziani delle mie zone, e leggi nel mio cuore tutto
l’affetto che provo per te e per la nostra Chiesa. Sicuramente,
invece, si arrabbieranno i tuoi collaboratori e i miei diretti
superiori; ma non importa, da te ho imparato che bisogna sempre dire e
amare «lo splendore della verità». Arrivederci in Paradiso.
Don Vitaliano
parroco rimosso di Sant’Angelo a Scala (Av)