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Lettera di un operaio

Publie le lunedì 17 dicembre 2007 par Open-Publishing

Hanno detto che gli impiegati e quanti non hanno sfilato a Torino non hanno sentito questo grave problema come gli operai, non credo sia vero.. tutti siamo stati toccati da questa tragedia. Sappiamo che ci sono tanti che escono da casa per lavorare e non tornano piu’. Si deve lavorare per vivere non per morire. Tanti hanno dimostrato sensibilita’, contribuendo alle raccolte per le famiglie di questi operai morti e speriamo che tutti possano essere piu’ attenti per il futuro anche se la fame di lavoro e’ grande e fa perdere ai lavoratori molti dei diritti che i nostri nonni o genitori avevano conquistato anche per noi.
Ivo

Salve, sono un operaio.

Si’ esistiamo ancora, ma non abbiate paura: io sono gia’ morto.

Oggi sfilerete per la mia citta’ con il lutto al braccio, osserverete qualche minuto di silenzio e deporrete fiori per ricordare me e i miei tre compagni di lavoro scomparsi in quell’inferno di fabbrica. Ma noi eravamo gia’ morti, bruciati nell’animo dall’indifferenza.

Non potete immaginare cosa voglia dire lavorare per sedici ore consecutive tra il rumore, la puzza di combustibile e un calore che ti scioglie le ossa e ogni pensiero. Dopo una decina di ore non capisci piu’ quello che stai facendo. Vai avanti per inerzia con gesti automatici e a morire nemmeno ci pensi. Perche’ morire lavorando e’ la cosa piu’ assurda che ti possa succedere. Magari ci scherzi su col caposquadra, che ti lancia un’occhiata paterna e bonaria prima di dirti «Badola, torna a lavorare!», perche’ ha la commissione da terminare e in fretta. Gia’, le commissioni. Qui parlavano tanto di smantellamento, eppure continuavano a dirottare su Torino tante di quelle lavorazioni che ho ormai perso il conto. Ufficialmente, pero’, stavamo smantellando. Cosi’, qualcuno di noi si ritrovava pure a fare le pulizie. Altro che operai specializzati. Schiavi a ore, ecco cos’eravamo.

Capita poi un giorno che per il sovraccarico di lavoro scoppi un tubo pieno di olio lubrificante. Quei tubi che ti avvolgono come un boa per tutta la fabbrica, ma mica ci pensi che potrebbero stringerti in un atroce finale. L’olio si e’ incendiato quasi subito e, ve lo assicuro, vedere i propri amici, i propri compagni di sudore, quelli di cui conosci mogli, figli… vederli arsi vivi, beh, ti uccide ancor prima di essere morto. Per me e’ stato cosi’, almeno. Non mi sono nemmeno accorto che stavo facendo la loro stessa fine.

E’ strano, sapete? Dopo i primi istanti di dolore, in cui vorresti strapparti il cuore, non senti piu’ nulla. Il fuoco purifica, ma soprattutto ti brucia tutte le terminazioni nervose della pelle e non senti piu’ dolore. Almeno cosi’ dicevano i medici mentre cercavano di staccarmi i vestiti, che si erano ormai fusi sulla mia pelle. Un paio di giorni di agonia e poi via, nemmeno il tempo per una lacrima. Tanto non l’avrei sentita rigarmi la faccia.

Ora e’ finita, ho timbrato il cartellino per l’ultima volta mercoledi’ 5 dicembre. Avevo 26 anni ed ero operaio. Non esistevo prima e tra qualche giorno non esistero’ piu’.

Emanuele Menietti

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da

Masada

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