Home > Libano: problemi nuovi per il movimento
di Raffaele K Salinari *
Il comando italiano dei Caschi blu Onu in Libano ha implicazioni significative per il movimento pacifista
italiano che, al di là delle manifestazioni in favore della pace in Medio oriente, dovrà ora dimostrare
un livello di vigilanza e maturità politica decisamente all’altezza del “nuovo” ruolo internazionale
ed europeo del nostro paese. Il primo ordine di problemi è proprio sulla definizione di questa
novità, che alcuni segmenti del movimento giudicano assolutamente inconsistente, se non addirittura
consonante alla politica dell’amministrazione americana in medio oriente. Noi crediamo invece
che la decisione di schierare truppe italiane sotto egida Onu rappresenti un seppur fragile rafforzamento
dell’unica istituzione multilaterale ancora operativa, e che dunque da questo si debba ripartire
per un’azione di critica costruttiva nei confronti della politica estera del Governo Prodi.
Da questa prospettiva un aspetto dirimente per una auspicata “novità” è certamente quello delle
regole di ingaggio e dunque sui termini operativi della missione. A questo proposito non ci si può
accontentare di salutare genericamente il cambiamento della politica internazionale dell’Italia, ma
bisogna entrare nel merito dei problemi: chi disarma Hezbollah deve essere il governo libanese in
piena autonomia e sovranità; in caso Israele o Hezbollah violino la tregua bisognerà intervenire
con lo stesso rigore; i corridoi umanitari per le Ong internazionali vanno attivati da subito togliendo
il blocco israeliano al Libano; bisogna assicurare - infine - che la tragica commistione tra umanitario
e militare non si ripeta come in Iraq ed Afganistan, che cioè le due tipologie di intervento restino
separate benché coordinate a livello politico attraverso un luogo istituzionale.
Strettamente collegata a questo è la domanda: chi paga? Anche qui è d’obbligo fare chiarezza, e
va fatta decisamente su un punto molto dolente che non vorremmo si presentasse all’orizzonte
quando appunto si tratterà di trovare le coperture finanziarie per la missione di pace in Libano. La
missione di pace non è una missione per distribuire aiuti umanitari e dunque non deve assolutamente
gravare sui fondi della cooperazione allo sviluppo. I due capitoli devono essere tenuti separati.
Lo diciamo preventivamente dato che in passato le missioni “umanitarie” in Iraq e anche in
Afganistan sono state finanziate con quei fondi, sottraendoli alla loro specifica destinazione.
L’umanitario torni ad essere indipendente dalle logiche politiche; quella del Libano è un’occasione
per cambiare le cose anche in questo senso. Dunque non solo contrarietà per l’aumento delle
spese militari, quindi subito il ritiro dall’Afganistan per compensare l’impegno in Libano, ma nessuno
storno dei fondi per la cooperazione con la scusa dell’umanitario per la pace. E infine, ma non
meno importante, per qualificare realmente una novità nella politica estera italiana ed europea, bisogna
da subito affrontare il vero nodo medio orientale e cioè la questione palestinese.
E allora crediamo che il nostro paese debba impegnarsi affinché vengano inviate truppe per garantire
i “confini” di Gaza e la sovranità del Governo palestinese, che vadano fatte pressioni su Israele
affinché liberi i ministri del Governo nazionale, e che applichi tutte le risoluzioni Onu sui confini e
sul rientro dei profughi palestinesi. Non dimentichiamo che se l’Italia vuole giocare realmente un
ruolo chiave nella zona, e dunque in coerenza con la missione di pace, ma anche come arma di
pressione, sarebbe bene sospendere l’accordo militare con lo stato ebraico.
Su tutto questo è dunque obbligo aprire da subito un chiaro dibattito all’interno del movimento per
la pace, ma anche tra chi intende fattivamente partecipare alle azioni umanitarie in Libano. Se già
ora si capiscono le divisioni interne al movimento, sarà allora bene andare a un chiarimento deciso
che possa ovviamente tenere la piattaforma della convergenza più ampia e aperta possibile ma
non impantanata dai veti incrociati di chi gioca sempre al “più uno”. Sarebbe esiziale infatti non
giocare un ruolo attivo in questa fase e limitarsi a generiche dichiarazioni pro o contro, senza entrare
nel merito della missione, lasciando alla politica la possibilità di giocare sulle nostre divisioni.
* Presidente Terre des Hommes