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Sono passati sessant’anni dal 25 aprile del 1945, data che segna la liberazione delle principali città del Nord Italia dal dominio nazi-fascista e la fine di fatto della seconda guerra mondiale in Italia.
Questa data segna un discrimine tra gli anni della dittatura fascista e la costruzione di un paese democratico-borghese. Da lì seguiranno la fine della monarchia, l’instaurarsi di una Repubblica parlamentare e l’elaborazione di una Costituzione democratico-borghese, basata sul(lo sfruttamento del) lavoro (salariato), che interpreta e incarna i valori borghesi nati dalla guerra di Liberazione e dalla Resistenza (8/9/1943- 25/4/45).
In Italia il regime fascista, al quale le disfatte militari avevano fatto perdere l’appoggio delle stesse classi dominanti, e già minato alle fondamenta dai primi scioperi operai (Fiat di Torino; Pirelli, Borletti, Falck di Milano, tra l’8 e il 13 marzo), era caduto il 25 luglio 1943 in seguito ad una congiura della monarchia, che mirava a sostituirlo con una dittatura militare capace di portare il paese fuori dalla guerra mantenendo il pugno di ferro sul proletariato. Il nuovo capo del governo nominato dal re è infatti il maresciallo Pietro Badoglio il quale, però, non sapendo come evitare una dura reazione tedesca alla sua progettata defezione dall’alleanza con la Germania, e volendo impedire, contro di essa, la mobilitazione delle masse popolari, l’8 settembre 1943 lascia il paese in balia delle forze tedesche, fuggendo coi suoi ministri e con la Corte nell’Italia meridionale già occupata dalle forze anglo-americane, poco dopo che è stata resa nota al mondo la capitolazione dell’Italia. Contro le forze di occupazione tedesche, e contro una repubblica fascista costituita da Mussolini, responsabili di mille atrocità, si battono gruppi partigiani di diverse tendenze politiche. E’ il periodo che verrà chiamato della “resistenza” (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945), guidata dal Comitato di liberazione nazionale (Cnl). Ma all’interno del Cnl vi sono tensioni, contrasti e strategie divergenti, tra chi vuole salvare la monarchia e chi mira ad instaurare la repubblica. Le tendenze sinceramente comuniste (i gruppi internazionalisti di Torino, Milano, Asti, Casale Monferrato, Sesto San Giovanni, Parma, Firenze, Bologna; Stella Rossa di Torino; Bandiera Rossa di Roma; ecc.), verranno sistematicamente soffocate e i militanti rivoluzionari perseguitati e assassinati anche dagli stessi partigiani togliattiani Tra i tanti ricordiamo: Fausto Atti, ucciso il 27/3/45 a Trebbo di Reno (Bologna) da partigiani del pci; e Mario Acquaviva, ucciso a Casale Monferrato da un sicario del pci l’11/7/45.
Tra il 1 e l’8 marzo 1944 gli operai delle fabbriche del nord attuano uno sciopero generale contro gli occupanti tedeschi e per una pace immediata. Nella primavera del 1945 le armate anglo-americane raggiungono il Po: i nazi-fascisti, stretti in una morsa, sono sconfitti. Primo capo del governo dell’Italia liberata dall’occupazione tedesca è il capo partigiano Ferruccio Parri, del cui ministero fanno parte tutti e sei i partiti che hanno partecipato alla resistenza anti-fascista, e cioè quello liberale, quello democratico del lavoro, la democrazia cristiana, il partito d’azione, il partito socialista e il partito “comunista” italiano. Col 25 aprile 1945, nel mentre si chiude la parabola fascista dell’imperialismo italiano, si apre la parabola democratica dell’italo-imperialismo.
Se oggi fascisti e antifascisti si ritrovano insieme ciò avviene non perché il berlusconismo abbia rimosso la Resistenza, i fatti storici non si possono cancellare; ma perché fascismo e antifascismo rappresentano due modi diversi o contrapposti di perseguire gli stessi interessi borghesi, la medesima affermazione dell’italo-imperialismo. Il movimento partigiano nel suo insieme, fu uno schieramento patriottico a favore di una coalizione imperialistica (l’anglo-americana-francese appoggiata dalla Russia) contro l’altra (la nazi-fascista dell’asse Germania-Giappone-Italia). È naturale che i due tipi di borghesi, di controrivoluzionari e di anticomunisti si ritrovino insieme a difesa dello stesso interesse (la difesa dell’italo-imperialismo), anche se non è escluso che possano ritornare quanto prima a scannarsi da sponde opposte in nome della patria, della libertà o della civiltà occidentale. Quindi su questo terreno l’opera di mistificazione compiuta dal governo Berlusconi non è tanto più perniciosa di quella svolta dal governo D’Alema, per non andare più indietro nel tempo.
Ricordiamo, pertanto, questo 25 aprile per attrezzarci meglio nella lotta proletaria contro l’italo-imperialismo, non per piagnucolare contro il revisionismo storico. Nell’immediato, rintuzziamo sul nascere gli attacchi dello squadrismo fascista, formando i comitati proletari di auto-difesa e di attacco alla borghesia e ai suoi scagnozzi.




