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«Libertà di stampa in pericolo»
di Carlo Lania
I direttori dei giornali di fronte al rischio di chiusura per i tagli. «Sistema iniquo, si finanziano le società quotate in borsa»
Oggi daranno voce alle loro preoccupazioni nella maniera che conoscono meglio, cioè attraverso una serie di editoriali e articoli. Per il futuro, invece, non escludono iniziative comuni. Sì perché una cosa è sicura: a prescindere dalle diverse posizioni politiche, spesso contrapposte, in Italia una serie di giornali rischiano di chiudere a causa dei tagli ai contributi statali per l’editoria, decisi dal governo con il decreto legge sulla manovra fiscale approvato dalla Camera.
Testate storiche o più giovani, di destra o di sinistra, legate a partiti politici o a cooperative di giornalisti, ma anche all’editoria no-profit, la cui sopravvivenza è messa a rischio dalla soppressione voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti del cosiddetto diritto soggettivo a ricevere i contributi. Una decisione che subordina la certezza di avere finanziamenti quasi sempre vitali a una generica disponibilità delle risorse messe a disposizione ogni anno dal governo.
Una vera mannaia per testate come il manifesto, l’Unità, il Secolo d’Italia, Liberazione, il Corriere Mercantile, l’Avvenire e per decine di giornali minori. I cui direttori, tutti giustamente preoccupati, in queste ore ragionano sulle possibili conseguenze che la riduzione dei finanziamenti potrebbe portare. «Se anche il Senato approverà il decreto legge così com’è chiudiamo, c’è poco da dire», spiega senza mezzi termini il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti. «Certo che siamo preoccupati anche noi», gli fa eco dal fronte opposto il direttore del Secolo Flavia Perina, mentre Mimmo Angeli, direttore del Corriere Mercantile, definisce «una tragedia» la sola idea di dover rinunciare a finanziamenti indispensabili.
Oggi con un breve editoriale Sansonetti spiegherà ai suoi lettori la situazione, che riassume così: «Chiudere per decreto i giornali più deboli è un colpo alla libertà di stampa, resterebbero praticamente solo i giornali di Confindustria. Ma non solo: significherebbe anche abolire allo stesso tempo la sinistra politica, visto che dopo il risultato elettorale non avrebbe più alcun modo per esprimersi».
Particolare che non sfugge a Perina: «Il centrodestra ha un problema in più, che è quello di tutelare le fonti di informazione politica dopo che l’espulsione di una parte della sinistra dal parlamento ha dato vita a una sorta di democrazia limitata». Per il direttore del Secolo, però, c’è solo un modo per uscire dalla crisi: «Occorre costruire un recinto di tutela per i quotidiani di informazione politica che hanno un ruolo reale. Non si possono mettere sullo stesso piano, manifesto, Secolo, Liberazione, oppure Europa e la Padania con organi di stampa legati a organizzazioni di categoria, e lo dico con tutto il rispetto per queste testate».
Una parte importante della partita si giocherà a ottobre, quando la discussione su come riformare la legge sull’editoria entrerà nel vivo. «E’ chiaro che qualcosa va fatto», spiega il direttore di Avvenire, Dino Boffo. «Come giornale non abbiamo alcun problema a discutere di nuovi criteri di razionalità per i contributi. Chiediamo solo che sia rispettata la dignità dei soggetti coinvolti e che ci vengano fatte delle proposte presentabili». Come altri direttori, anche Boffo contesta i criteri che oggi governano la distribuzione dei contributi. «Trovo inaccettabile - dice - che i soldi destinati alla libertà di stampa finiscano anche a società quotate in borsa, che poi distribuiscono i dividendi ai soliti ricchi».
Anche l’Avvenire oggi dedicherà al problema un editoriale e una pagina interna. «Il sistema è iniquo», prosegue Boffo. «Occorre salvaguardare i diritto soggettivo di chi è in regola e controllabile secondo parametri oggettivi». Un concetto che trova d’accordo anche il direttore del Corriere Mercantile. «Bisogna recuperare risorse che fino a oggi sono state buttate al vento finanziando giornali fantasma, cooperative fasulle e editori che rappresentano solo se stessi», spiega infatti Mimmo Angeli. Ma può esserci una volontà politica dietro la decisione del governo? Angeli non crede: «Penso piuttosto che sia tutta opera di Tremonti, non credo che Berlusconi sia d’accordo.
Se il decreto dovesse essere approvato senza modifiche rischieremmo di ritrovarci in un regime di quasi monopolio, con solo poche testate: Corriere delle sera, Repubblica, Stampa, Sole 24ore e poche altre». «Bisogna concentrare i finanziamenti sui giornali che producono davvero informazione e non sono solo macchine per fare affari», aggiunge Perina. «Credo che bisogna impegnarsi a gestire in maniera bipartisan la riforma che il governo ha promesso di presentare entro al fine dell’anno. E quel giorno - conclude il direttore del Secolo - ciascuno sarà chiamato a fare le sue scelte».
su Il Manifesto del 23/07/2008