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Lo salvi chi può
di Andrea Scarchilli
Sì della conferenza dei capigruppo al cambio di calendario: Montecitorio approverà prima il lodo Alfano, poi passerà a discutere il decreto sicurezza. La maggioranza non ha annunciato modifiche all’emendamento salva premier. Restano da verificare l’andamento dei lavori parlamentari connesso a quello dei processi in cui è coinvolto Berlusconi. La maggioranza muove una pedina nel complicato scacchiere della giustizia.
La conferenza dei capigruppo ha deciso, a maggioranza (contrari Partito democratico e Italia dei valori) di modificare il calendario dei lavori in aula, e in particolare, dare la precedenza al lodo Alfano (che doveva iniziare a essere discusso negli ultimi giorni del mese) rispetto al decreto sicurezza, già approvato dal Senato. Il decreto contiene anche il contestatissimo emendamento blocca processi, quello che dà la precedenza ai processi con pena di almeno dieci anni di carcere e stoppa per un anno gli altri, compreso quello in cui è coinvolto, a Milano, Silvio Berlusconi per corruzione in atti giudiziaria. Il voto finale sul lodo Alfano, che garantisce uno scudo per le quattro più alte cariche dello stato, è previsto tra mercoledì e giovedì. L’opposizione ha chiesto che non vengano contingentati i tempi della discussione, visto che si tratta di una norma di "eccezionale rilevanza politica". Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha convocato la giunta per il regolamento per verificare se esiste la possibilità di accogliere la richiesta.
L’anticipazione del lodo Alfano non è stata accompagnato da un ritiro "ufficiale" dell’emendamento blocca processi. La maggioranza aspetta, e la mossa di oggi non è, come si è detto, un viatico per la ripresa del dialogo. Si intrecciano, piuttosto, la strategia parlamentare (con l’obiettivo di allontanare il Pd dall’Udc) con la necessità di conoscere gli sviluppi processuali delle vicende in cui è implicato il premier. Non è un caso che, in questo frangente, il più ascoltato dalla maggioranza sia Niccolò Ghedini, luogotenente perfetto nel campo da battaglia che è diventata la garanzia di immunità del presidente del Consiglio. Ghedini, infatti, difende le sorti di Berlusconi sia in Tribunale da avvocato personale, sia in Parlamento in qualità di deputato membro della commissione Giustizia.
La richiesta, accolta, della maggioranza è un cuneo piantato tra l’Udc e il Partito democratico, che negli ultimi giorni parevano esser riusciti a stabilire un fronte comune. Patto in cui, nelle intenzioni del segretario del Pd Walter Veltroni, lo scudo crociato avrebbe dovuto passo dopo passo sostituire un’Italia dei valori con cui la divergenza ha superato, con le divisioni registrate al momento dell’organizzazione della manifestazione di domani di piazza Navona, il livello di guardia. La maggioranza sembra accogliere quanto chiesto dal leader Udc Pier Ferdinando Casini in un’intervista al "Corriere della Sera" di oggi (lunedì). Questa era la proposta dell’ex presidente della Camera: "La maggioranza deve togliere dal decreto sicurezza la norma folle con la quale per bloccare un processo se ne bloccano centomila". In cambio, l’opposizione "deve dichiarare la propria disponibilità a dare la corsia preferenziale al lodo Alfano". Appunto, la maggioranza ha offerto all’opposizione di manifestare questa disponibilità, ma senza farsi carico del ritiro dell’emendamento salva premier. Rimane nel dubbio, a confondere le opposizioni e disarcionare il fronte unito. Nel pomeriggio di oggi, il segretario dello scudo crociato Lorenzo Cesa ribadiva a Sky Tg24 la disponibilità del suo partito a discutere subito il lodo Alfano, addirittura esteso ai parlamentari.
Dunque, la richiesta di inversione da un lato è una palla avvelenata per l’opposizione. Dall’altro, ed è quello che più conta, è a costo zero. Approvare subito il lodo Alfano renderebbe superfluo l’emendamento al decreto sicurezza. La successione è già messa a punto. Sì della Camera in settimana allo scudo per le quattro cariche dello stato, a seguire nuovo approdo a Montecitorio (con emendamenti già discussi nelle commissione riunite) del decreto sicurezza, che sarebbe approvato senza problemi prima della scadenza del 24 luglio, magari con l’ausilio della fiducia. In sostanziale contemporanea, il Senato si occuperebbe del secondo passaggio dello striminzito lodo. Quanto al ritiro o meno del contestato emendamento, poco dipenderà dall’atteggiamento dell’opposizione. Molto di più, dall’udienza di giovedì, in cui si saprà se il giudice Nicoletta Gandus sarà ricusato dal processo Mills. In caso affermativo i tempi del procedimento si allungherebbero, e l’emendamento sarebbe del tutto superfluo. Potrebbe allora essere addolcito, magari con una semplice indicazione di principio sui processi da fare subito. Peraltro inutile, perché già ampiamente contenuta in più di una circolare del Csm ai magistrati, ma necessaria per non dare l’idea di un passo indietro troppo vistoso. Nel caso la richiesta di ricusazione venga respinta, si tratterà di confrontare i tempi parlamentari con quelli del processo. Se le sorti del lodo saranno incerte e rischierà di non vedere la luce prima delle ferie, sì all’emendamento in versione strong. Se invece lo scudo starà viaggiando spedito, si potrà cambiare il blocca processi e renderlo meno vincolante, come detto. In caso di modifiche all’emendamento, sarà necessario un nuovo passaggio al Senato di tutto il decreto. La Lega Nord ha ricevuto, in questo senso, ampie rassicurazioni che i tempi saranno rispettati.
Le Aule sono diverse, insomma, e la partita si gioca tra Montecitorio, Palazzo Madama, il Palazzo di Giustizia di Milano (quello del processo Mills) e la quarta sede, cambiata oggi. Il processo in cui è coinvolto l’ex direttore generale della Rai Agostino Saccà si sposta da Napoli a Roma. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari Luigi Giordano, per la felicità del Cavaliere, vista la presunta ostilità minore della Procura della capitale. L’atto era scontato, visto che le conversazioni incriminate sono partite dalla città eterna. Saranno i magistrati di Roma, quindi, a pronunciarsi sul destino delle intercettazioni. Le sei sulle quali i pm partenopei avevano chiesto che fosse dato il via libera alla richiesta in Parlamento. E le altre, quelle di cui si è tanto vociferato, la cui pubblicazione metterebbe in imbarazzo in premier. Queste, i pm volevano fossero distrutte perché non hanno, dicono, attinenza con l’indagine.
aprileonline