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Lo spettro della scissione deforma il nostro dibattito
Publie le venerdì 5 dicembre 2008 par Open-PublishingLo spettro della scissione deforma il nostro dibattito
di Maria Campese
La fase che stiamo attraversando è molto difficile, con un Parlamento in cui è assente una opposizione di sinistra, con un governo delle destre deciso e determinato ad attaccare il mondo della cultura e della conoscenza, e le istituzioni democratiche, e a smantellare i diritti, i servizi, ciò che di buono il governo Prodi era pure riuscito a fare e che il nostro Partito è stato incapace di pubblicizzare: i tagli alle agevolazioni fiscali per le energie rinnovabili sono un esempio.
Gli elementi positivi della fase sono: i movimenti della scuola e dell’università, e la posizione assunta dalla Cgil.
Molto negativo, invece, il ruolo svolto (o non svolto?) dal Partito Democratico, tutto preso da vicende interne, dalla discussione sulla collocazione internazionale, ma con l’incapacità di produrre opposizione nel Parlamento e nella società.
Anche l’interlocuzione aperta dal P.D. con l’U.D.C. per la costruzione delle alleanze alle prossime amministrative, parla di un partito che sposa pienamente una collocazione centrista.
A tal proposito Vannino Chiti, alcuni giorni fa, ha affermato che ci sono più compatibilità programmatiche con l’Udc che con le forze politiche della sinistra.
Nella discussione odierna è stato detto che il segretario ha fatto l’elenco degli ingredienti ma non ha detto qual è la ricetta per cucinarli.
Dissento da questa affermazione. In passato abbiamo contestato la modalità con la quale la linea politica veniva calata dall’alto. Abbiamo affermato che andava ridato un ruolo alla Direzione del Partito, ed è quindi questo il luogo in cui va elaborata la linea politica, come pratica collettiva.
Oggi è stato anche affermato che ci sono opzioni strategiche diverse all’interno del Prc. Anche questo non ci aiuta a riavviare il Partito.
Un Partito stanco, provato, anche offeso per come Liberazione rappresenta il nostro dibattito interno e manifesta un punto di vista molto distante dal sentire del corpo del Partito, preoccupato di come una parte consistente del partito lavori a delegittimare il lavoro svolto dalla restante parte.
Il lavoro messo in campo ha dei limiti, indubbiamente, ma scontiamo il non-lavoro politico degli ultimi anni.
Ricordo a noi tutti che il Partito, dall’entrata nel governo del 2006, non ha prodotto lavoro politico.
La riprova di ciò l’ho avuta il 19 novembre in occasione dell’attivo nazionale sull’ambiente: sono intervenuti alcuni nostri amministratori che hanno dichiarato che era la prima volta, in quasi 4 anni, che venivano convocati.
Non solo. Gli elenchi dei nostri compagni impegnati sui territori nel Partito, nelle istituzioni, nei movimenti e nell’associazionismo sono tutti da costruire. Le iniziative ed il lavoro politico sui territori quasi inesistenti.
Con ciò non sto affermando che non si sia lavorato affatto. Sto affermando che il lavoro è stato concentrato nella elaborazione teorica a livello centrale, senza che a questa abbia partecipato tutto il corpo del Partito, e senza che sia stata collettivizzata ai diversi livelli.
Come andiamo avanti?
Nel nostro dibattito c’è un convitato di pietra: lo spettro della scissione, non come accusa ma come timore che ci indebolisce.
E’ questo il cancro che rischia di consumare il Partito.
Vi sono territori in cui si stanno accelerando determinati processi, in cui ci si sente già fuori (’oltre’) Rifondazione Comunista.
Siamo deboli, fragili, e stiamo lavorando a consegnarci, mani e piedi legati, alle forze anticomuniste.
Proviamo a mettere da parte i risentimenti e cerchiamo di trovare nella elaborazione politica e nel lavoro comune il luogo di una condivisione strategica: la costruzione dell’alternativa di società.
Non sono le sigle il punto, ma gli obiettivi politici da raggiungere.
Vanno costruiti i coordinamenti territoriali delle opposizioni, ma non a partire dal ceto politico come è stato per l’arcobaleno (progetto bocciato dall’elettorato!).
Va incrementato il lavoro nelle piazze: è chiaro non solo la vendita del pane, ma iniziative sul caro-vita, ambiente, lavoro, precarietà, diritti, salute, cultura e conoscenza.
Va costruita la nostra proposta politica; dobbiamo lavorarci tutti insieme, coinvolgendo pezzi di società direttamente interessati da queste problematiche.
Se non abbiamo una nostra proposta politica come possiamo ritenere che ci siano, o meno, compatibilità programmatiche?
O assumiamo, in virtù dell’unità, ciò che dovesse emergere come “senso comune”dalle altre forze politiche?
Quando si afferma: sono i contenuti che contano, si parte con una piattaforma definita da confrontare con le altre forze della sinistra o ci si muove condividendo la definizione dei contenuti con le altre forze politiche?
E’ chiaro che la verifica delle compatibilità, in quest’ultimo caso, ha esito scontato.
Ritengo si stia privilegiando il lavoro fuori da Rifondazione Comunista, mentre nel confronto interno si spacca il capello in quattro.
Tutto ciò non aiuta a rafforzare Rifondazione Comunista ma la indebolisce, e poiché la costruzione della sinistra avrà esito positivo solo se Rifondazione Comunista ne è il motore, stiamo rendendo un cattivo servizio a tutta la sinistra.