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Era molto affollata la via D’Amelio il giorno del massacro.
“Devo fare in fretta, devo fare in fretta ...Ho capito tutto. E’ una corsa contro il tempo quella che faccio. La mafia si muove in fretta” diceva.
Sapeva che sarebbe stato ucciso. Che quel che sapeva era troppo pericoloso per la mafia e i suoi portavoce politici. Che lo Stato non lo avrebbe protetto.
Deve essere allucinante realizzare ogni giorno che si sta dedicando tutta la propria vita allo Stato, che si fa un lavoro pericolosissimo che imprigiona tutto quel che sei e che fai, che devi piegare a quel rischio ogni elemento della tua vita, gli spostamenti, l’abitazione, la famiglia… che devi vivere come in una prigione, e quello Stato che servi e a cui doni tutto e’ intriso di quello stesso crimine che combatti e quello stesso Stato che ti prende tutto puo’ comandare di prenderti la vita.
E devi anche vedere le piazze che osannano chi puo’ ordire la tua morte o che, per vincere, si e’ piegato da tempo al compromesso coi datori di morte, coi signori del Male, con la turpitudine fatta organizzazione: la mafia. Mentre muori, quelli stessi che hai tentato di difendere stanno dalla parte degli assassini, perche’ non capiscono, perche’ vogliono non capire, perche’ gli interessi si sono bevuti l’anima.
E, se apri la radio, devi anche sentire membri della Chiesa osannare i mandanti degli assassini e chiedere di votare per loro. Anche questo ti tocca di vedere.
E magari sei di dx come Borsellino, o moderato come Falcone, o di sx come Impastato, ma il colore non conta perche’ la mafia non ha colore o, se ne ha, e’ solo il colore della morte.
Paolo Borsellino non era una toga rossa, aveva simpatie per AN come capita a molti Magistrati o membri dell’esercito che in AN vagheggiano un ordine dello Stato e un attaccamento ad antichi valori patrii e familiari che risulta inesistente nei vertici di questo partito, ma quella delle toghe rosse e’ solo un’invenzione di Berlusconi che vi etichetta tutti quelli che sono avversari dei suoi reati e che sono nemici di quella mafia di cui, giovane e ambizioso, accetto’ patti e denari. Borsellino fu ucciso non certo perche’ comunista ma perche’ onesto, caso che puo’ capitare a persone di idee opposte.
Paolo Borsellino veniva da una famiglia di destra, da studente si era iscritto al FUAN, di cui fu rappresentante. Il MSI voto’ per Borsellino nelle elezioni per il presidente della repubblica.
Era un palermitano, nato povero nello stesso quartiere di Falcone e Buscetta.
Di grande intelligenza e volonta’ si laureo’ a soli 22 anni in legge col massimo dei voti, per divenire poi giudice. Parte subito da una zona scomoda: pretore a Mazara del Vallo, poi pretore a Monreale, infine a Palermo sotto la guida di Rocco Chinnici.
Le loro indagini portano all’arresto di 6 mafiosi, ma arriva anche la morte di Emanuele Basile e la famiglia Borsellino comincia a vivere sotto scorta.
E’ il 1980, si costituisce il pool antimafia, dove lavorano, sotto la guida di Chinnici, tre magistrati (Falcone, Borsellino, Barrile) e due commissari (Cassara’ e Montana). Tutti i componenti del pool chiedono espressamente l’intervento dello Stato, che non arriva.
Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici nell’esplosione di un’autobomba e pochi giorni dopo arriva da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool vuole una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Tommaso Buscetta, che descrive una mafia, di cui non si sapeva nulla, in maniera dettagliata. Nel 1985 vengono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l’uno dall’altro, i commissari Montana e Cassara’. Falcone e Borsellino cominciano a vivere asserragliati nella foresteria del carcere dell’Asinara, dove preparano l’istruttoria per il maxiprocesso. Non solo lo Stato li ignoro’ ma dovettero pagarsi di tasca loro l’abitazione in carcere.
Il 19 dicembre 1986 Borsellino viene trasferito alla Procura di Marsala. Nel 1987 Caponnetto lascia il pool per motivi di salute e tutti si aspettano la nomina di Falcone, ma il CSM dice di no e il pool teme di essere sciolto.
Borsellino parla e racconta quel che accade alla procura di Palermo, rischia il provvedimento disciplinare e solo grazie all’intervento di Cossiga si decide di indagare su cio’ che succede al palazzo di Giustizia, il Palazzo dei veleni.
Il 31 luglio il CSM convoca Borsellino che rinnova accuse e perplessita’.
Meli diventa (per anzianita’) capo del pool e Borsellino torna a Marsala, dove riprende a lavorare alacremente. Si dibatte sulla Superprocura e su chi porne a capo. Falcone va a Roma per prendere il comando della direzione affari penali e preme per l’istituzione della Superprocura. Intanto Borsellino torna a Palermo.
Il 23 maggio 1992 nell’attentato di Capaci perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta. Due mesi prima della sua morte aveva rilasciato un’intervista a RaiNews 24, ma essa risulta di 30 minuti, non di 50. Aveva parlato dei legami tra la mafia e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia, facendo riferimento, tra gli altri, a Dell’Utri, Mangano e Berlusconi.
Il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino si reca con la sua scorta in via D’Amelio, dove vive sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche 5 persone della scorta.
Pochi giorni prima di essere ucciso, in un incontro di Micromega, Borsellino aveva detto che era un "condannato a morte".