Home > Lo zolfo di Mirafiori
da "Il Manifesto" del 19/5/07

Mirafiori, i cortei interni che ieri hanno ripercorso il fabbricone della Fiat nello sciopero contro la manomissione delle pensioni non traggano in inganno. Non portano materia per nostalgici di passate stagioni di lotta ma un ben più pesante carico simbolico gettato fra le gambe del presente. E una grande responsabilità. Là dove c’è ancora una possibilità di presa di parola visibile, quasi una felice congiunzione di unità di luogo, tempo, azione da rappresentazione classica, gli operai di Mirafiori dicono infatti di una insofferenza ben più generale. Dietro di loro traspare l’umor sulfureo che condividono col vasto mondo fratturato di prestatori d’opera, contorsionisti del lavoro precario, dispersi nei territori e a quanto pare più indecifrabili per la «politica». In verità , l’affare pensioni parla a tutti. In questione non è solo la sorte di donne e uomini d’età - cui è doveroso riconoscere civile dignità nella vita tarda, con reddito connesso, nelle attuali società di capitalismo onnivoro che succhia direttamente creatività sociale, non solo nei luoghi canonici della produzione. E loro creatività hanno diffuso e diffondono, in primis le donne. In questione è un imbroglio sul futuro, per giovani e meno giovani. E’ questo governo che lo perpetra, proprio nel dirsi sollecito sul domani dei prossimi cinquant’anni della «popolazione»: tanto sollecito da decidere che da oggi tutti dovranno stare peggio. Questo è l’aumento dell’«età pensionabile», così come la «revisione dei coefficienti» - ossia abbassare subito le pensioni per donne e uomini dalle «carriere lavorative» discontinue, ossia milioni di di lavoratori. L’imbroglio del futuro sulle «pensioni» rivela perciò il suo proprio carattere di «affare» sul presente: succhiare soldi da operai e prestatori d’opera per riversarli a favore delle imprese e del mercato finanziario. Ovvio, perciò, il sostegno a Prodi e Padoa Schioppa dei leader imprenditoriali, Montezemolo in testa. Peccato che i dati confermino che non esistono realmente pensioni «anticipate» in Italia, che ad abbassarne la media sono esattamente le imprese che continuamente buttano fuori lavoratori non più che cinquantenni - cieche rispetto al know how , al sapere di cui si privano. L’accordo per la mobilità lunga - prepensionamenti - preteso dalla Fiat ne è fulgido esempio: taccia dunque lo sconveniente grido padronale. Né vale, da parte della rissosa maggioranza politica, invocare le richieste di «riforma delle pensioni» che verrebbero all’Italia dall’Unione europea. Sappiamo che l’iniziativa parte sempre dai governi nazionali, che a Bruxelles è chiesta una risposta di «sostegno». La conclusione, oggi, vista anche la performance del governo rispetto al pubblico impiego - il disdire accordi già presi - è una sola. Se il traballante Prodi deve cadere, meglio che cada sul lavoro, sulle pensioni.