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«Lunedì riparte la protesta dei detenuti. Signori, per favore evitiamo il silenzio»

Publie le domenica 17 ottobre 2004 par Open-Publishing

Le ragioni della mobilitazione nazionale spiegate da Vittorio Antonini, dell’associazione Papillon

di Sabrina Deligia

«Per favore, signori, evitiamo che sul carcere scenda nuovamente il silenzio. Ad un mese dai fatti di Regina Coeli, va lentamente sfumando l’attenzione del mondo politico e dei mass media sui drammi quotidiani del carcere. Anche i recentissimi casi di suicidio e di malasanità vengono liquidati con poche righe, quasi a involontaria dimostrazione che persino qua dentro ci sono morti di seria A e morti di serie B». Comincia così la lettera aperta firmata Papillon, indirizzata ai parlamentari e a tutti i consiglieri regionali, provinciali, comunali e municipali d’Italia. E’ l’appello alla vigilanza sullo sciopero dei detenuti che parte lunedì. Una protesta pacifica. Sciopero della fame, del carrello, dei lavoranti e così via. Una mobilitazione necessaria, racconta Vittorio Antonini a Liberazione, costruita in mesi di ragionamento, carcere per carcere, detenuto per detenuto, lettera per lettera.

Non a caso, spiega l’ergastolano per fatti politici, in alcune galere è partita la "censura" della posta. Ma la "traduzione" della protesta è passata come sempre attraverso le sbarre e i muri più o meno spessi dei 205 istituti di pena presenti sul territorio nazionale. Il muro del silenzio è stato anche questa volta sfondato dall’interno, una tradizione di Papillon di cui Antonini, 48 anni, in carcere dal 1985, è uno dei fondatori. L’associazione è nata nel 1996 come esperienza all’interno della biblioteca centrale di Rebibbia nuovo complesso, il carcere più grande d’Italia. Oggi esistono una cinquantina di circoli Papillon, aperti (si fa per dire) laddove è stato possibile, laddove l’istituzione carceraria lo ha permesso.

Avere un permesso per creare un’associazione culturale non è un gran segno di civiltà, ma d’altra parte i diritti dietro le sbarre non sopravvivono. Per dirla con Antonini: nelle oltre duecento galere italiane i diritti delle persone sono "sospesi a tempo indeterminato", poiché tutto si può dire tranne che dietro le sbarre vengano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi, tanto meno la tutela della salute.

Lunedì parte la protesta, l’annunciato sciopero nazionale dei ristretti. Con quali modalità e quali richieste?

E’ necessario ricordare, avere bene in mente, che la nostra sarà una protesta pacifica e articolata alla quale aderiranno migliaia di detenuti. Si parte con lo sciopero della fame. Ma a piccoli gruppi, di sette, al massimo dieci persone per carcere che a rotazione di una settimana non toccheranno cibo. A seguire ci sanno altre forme di lotta come lo sciopero del carrello, quello dei lavoranti, il prolungamento delle ore d’aria e altro ancora. Ci siamo organizzati in questo modo per resistere a lungo e senza esasperazioni, anche per dare la possibilità di adesione a tutti anche alle realtà più piccole, più sconosciute. C’è molta rabbia e molta sofferenza in carcere, ma a differenza del passato, abbiamo imparato ad organizzarci in modo pacifico, è importante perché fuori le mura carcerarie c’è chi non aspetta altro che passi falsi per fare tabula rasa di quel poco che abbiamo conquistato in questi anni.

Quali rivendicazioni? Che differenza c’è con le altre mobilitazioni, penso soprattutto a quella nazionale del 2002, che ha visto l’adesione dei detenuti rinchiusi in oltre cento diversi istituti?

Oggi è maggiore l’incazzatura, soprattutto perché nonostante l’allora grande mobilitazione dentro e fuori dal carcere, che coinvolse la Chiesa, le associazioni i partiti, ma partorì il topolino dell’indultino, noi ripartiamo da un dato certo: l’indultino è stato una truffa ai nostri danni. Dilatato il fumo ideologico che ha accompagnato la sua istituzione, i dati hanno evidenziato che si è trattato di uno specchietto per le allodole. Non c’è un solo dato che dimostri il miglioramento della vivibilità in un singolo carcere, dal più piccolo al più grande, in ogni regione. Tra i detenuti è aumentata la sfiducia nelle istituzioni. Chiediamo un reale ed immediato provvedimento di indulto e amnistia, che ristabilisca un minimo di equilibrio e di vivibilità nelle carceri italiane ed una serie di riforme che portino all’applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini in tutti i tribunali di sorveglianza e per tutti i detenuti, siano essi italiani o stranieri, malati o in buona salute, ristretti in sezioni normali o in carceri e sezioni speciali. Come una serie di provvedimenti per limitare l’uso, e anzi l’abuso, della custodia preventiva.

Cosa vi aspettate dal mondo fuori dal carcere?

Non stiamo chiedendo la luna nel pozzo, bensì atti che affrontino concretamente la drammatica realtà del carcere prodotta da un sovraffollamento inaccettabile e da troppe illegalità. Non sarà certo una battaglia facile, ma il silenzio calato sul dramma in cui la popolazione carceraria italiana è costretta a vivere, è un crimine umanitario. La nostra lotta è una forma di resistenza alla compressione dello stato del diritto messa in campo in Italia da una offensiva reazionaria. La lotta per un indulto generalizzato, per le riforme dell’ordinamento penitenziario italiano, sono parte della battaglia che in questi anni i movimenti stanno costruendo contro lo stravolgimento dello stato di diritto. Chiediamo che la "questione carcere" diventi parte delle altre lotte che attraversano la società. Ai parlamentari chiediamo di raccogliere le nostre ragioni e di trasformarle in proposte di legge.

Cosa leggi nella minacciata privatizzazione delle carceri?

Legare agli interessi economici la soluzione del sovraffolamento significa affossare sul nascere qualsiasi possibilità di riforma del nostro sistema penale e penitenziario.

http://www.liberazione.it/giornale/041016/LB12D6D0.asp