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Luxuria vince, bene. Ma dei reality non me ne frega niente

Publie le giovedì 27 novembre 2008 par Open-Publishing
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Luxuria vince, bene. Ma dei reality non me ne frega niente

di Angela Scarparo

A me piace Luchino Visconti. Mi piace Giotto. Mi piacciono Ingmar Bergman e P.T. Anderson. Mi piace Christina Stead. Maria Teresa Nessi pure mi piace. Credo che mi piaccia questa roba perché a casa mia, nell’ordine, a) il tipo di film alla Visconti o alla Bergman erano considerati un chiummo (pesante), b) l’arte una cosa da vedersi quando si andava in vacanza d’agosto e c) i libri una cosa di cui non si doveva abusare.
"Lascia questo libro e vai a giocare!", era una delle frasi preferite da mio padre, appassionato giocatore di tennis. Era la frase preferita anche dai suoi amici appassionati e albertosordiani almeno quanto lui. Questo lo dico per dire che era un fattore culturale quello dell’antipatia nei confronti dei libri, non una fisima paterna, fattore che io vedo purtroppo ancora molto diffuso in Italia.

Scusate se comincio parlando di me, questo pezzo sulla vittoria di Vladimir Luxuria all’Isola dei famosi, ma è che devo arrivare a dire che io e il televisore sono un po’ di anni che lo detesto. Parlo dell’elettrodomestico non di quello che c’è dentro. Ognuno ha la sua storia, e non è una cosa di moralismo la mia. Adesso vi spiego. Nella mia giovinezza, come in quella di molti altri e altre, il televisore era varie cose. Il modo di rilassarsi di mio padre. Il sottofondo della vita infelice di mia madre. Era, il televisore, quell’essere che mi costringeva a gridarle dall’altra stanza, "Ma’! Abbassa! Mamma, abbassi sto cacchio di coso?". "Cosa?", chiedeva lei, che non aveva sentito, per via del volume. "Il televisore! Abbassa!". E lei abbassava. Mia madre era infelice e il televisore non la aiutava a guarire. Anzi. Adesso lo guardo se mi capita, il televisore. Ma preferisco Zurlini, Cassola, la Cialente la Ginzburg. E non me ne frega niente che fanno vecchia o snob, queste cose, queste letture, i miei gusti. A me piacciono queste cose. Come, devo ammetterlo, mi piace Vladimir.

Quando ho saputo che aveva vinto L’isola dei famosia me ha fatto piacere. Mi piace perché Vladimir è sì, un tipo di donna del sud. Ma è spiritosa, autonoma, che giudica da sè. Io credo che se non avesse vinto L’isola dei famosi, Vladimir avrebbe vinto comunque, da qualche altra parte. In questo senso credo siano abbastanza panzane quelle di chi dice, "Mah, bello! Ha vinto la diversità!" Ha vinto Vladimir, punto e basta. Come l’anno scorso aveva vinto Lory Del Santo, anche un tipo di donna originale e autonoma. Io Vladimir l’ho vista per la prima volta alla Mucassassina alla fine degli anni ’80. Non l’ho conosciuta. Solo vista.

E mi è piaciuta. Era ai miei occhi, l’incarnazione perfetta di certi personaggi alla Petra Von Kant, la protagonista di Le lacrime amare di Petra Von Kant. Poi ho saputo di lei come parlamentare di Rifondazione e l’ho sempre apprezzata per la calma e l’intelligenza delle sue argomentazioni. Due anni fa l’ho anche conosciuta di persona e non è cambiato il mio giudizio su di lei. Io non sono di quelle e quelli che dicono, "Non ci doveva andare al reality!", e neanche di quelli e di quelle che dicono, "Sì, ci doveva andare per parlare della condizione dei trans, dei diversi!". Io credo che una come Marlene Dietrich abbia fatto molto per la diversità, così come Fassbinder o Violette Leduc. Non ci vedo niente di eversivo nel partecipare a un reality, ma neanche di roba che bisogna giudicare con moralismo. Però c’è una cosa.

Io credo che chi ha davvero vinto l’altra sera è il modello televisivo berlusconiano.

E io questo, anche se a a volte me lo dimentico lo voglio tenere presente. Non giudico gli altri. Io Berlusconi non lo amo. Per tante cose, molte delle quali sono le stesse per cui non lo amate voi che mi state leggendo. Ma a Berlusconi io non posso perdonare soprattutto una cosa. Far finta che ciò che io amo non esista, volerlo dimenticare. Visconti per molti di noi è diventato un ricordo di scuola, Fassbinder è morto, Fellini è diventato un ferro vecchio e Giotto è tornato a essere, come era per mio padre, una cosa che si vede se si capita ad Assisi. Vladimir ha fatto bene ad andare all’isola se ci voleva andare e io sono contenta che abbia vinto. Ma a me dei reality non me ne frega niente.

Messaggi

  • Da militante di Rifondazione, non posso non premetterlo vista la penosa e unilaterale copertura politica appiccicata da Liberazione, credo il miglior commento piu’ intelligente sia stato quello della Rangeri sul Manifesto. Per quanmi riguarda, credo che la scelta di Vladimir, rispettatale come scelta personale, sia stata infarcita di significati impropri che hanno coinvolto tutta Rifondazione e come tale la ritengo deprimente.

     Allego il commento di Norma Rangeri.

    IL NAUFRAGIO DI VLADIMIR

    di Norma Rangeri
    il manifesto 26 nov 2008

    Dalla Muccassassina, locale romano simbolo della trasgressione, all’Isola dei famosi, cuore televisivo del conformismo popolare, passando per il Parlamento. È la parabola, davvero spettacolare, di Vladimir Luxuria, ieri deputato transessuale di Rifondazione comunista, oggi metafora incarnata del vertiginoso precipizio di un comune sentire. La sua è la classica vittoria di Pirro, il successo di chi alza la coppa del trionfo come fosse la bandiera rossa del transgender mentre in realtà sventola le mutande di Valeria Marini (messe come fascia per i capelli) nella pantomima che la incorona per meglio annullarne l’identità.
    Non c’è bisogno di scomodare i sacri testi (le note di Giorgio Agamben a «I commentari della società dello spettacolo» di Debord) per convincersi di come «nella piccola borghesia planetaria, nella cui forma lo spettacolo ha realizzato parodisticamente il progetto marxiano di una società senza classi, le diverse identità che hanno segnato la tragicommedia della storia universale, stanno esposte e raccolte in una fantasmagorica vacuità». Gli italiani stanno vivendo da quasi un ventennio l’egemonia sociale, prima ancora che elettorale, di un berlusconismo, che riceve sempre nuove conferme da una classe politica di sinistra affollata di uomini, donne e transessuali convinti di cavalcare una tigre che se li è già mangiati.
    In una delle sue incursioni marziane, Adriano Celentano propose, tra i filmati shock, un piccolo «Blob» con scene dall’Isola dei famosi: vallette in tanga che si strappavano i capelli insultandosi, per la gioia del pubblico voyeur. Un concentrato di sessismo, conformismo e luoghi comuni, ovvero il nocciolo duro dei reality.

    La povera Luxuria (in senso lato vista la sontuosa vincita) è entrata nello show come un volantino stampato («parlerò di problemi sociali e politici»), e ne è uscita come una donnetta da ballatoio. Il massimo della popolarità lo ha infatti raggiunto con la spiata di un flirt tra una bella argentina (Belen Rodriguez) e un rubacuori del jet-set (Rossano Rubicondi), marito di Ivana Trump. «Vi siete baciati» svela Luxuria. «Dici questo perché sei invidiosa di me che sono una donna vera», ribatte Belen. Altro che «rottura del tabù dell’eterosessualità», come scrive Liberazione. Semmai l’incoronazione della reginetta del pettegolezzo nazionale, il trionfo del perbenismo, l’apoteosi del meccanismo conformista che spinge la macchina della televisione italiana. Viceversa, dovremmo sostenere che Cristiano Malgioglio o Platinette sono i portabandiera della libertà sessuale, il Costanzo show la barricata della rivoluzione di genere e il Billionaire di Briatore l’avanguardia dell’emancipazione femminile.
    Nella puntata finale, mentre la regia inquadrava le maxi-tette di Mara Venier e della stessa Ventura, la conduttrice sottolineava il bel momento con il suo stile: «A proposito di tettame e di fisicame, qui c’è una che ci batte tutte, è lei, la nostra Pamela Prati!!!!».

    Tette , culi e famiglia, ecco gli ingredienti sopraffini dell’Isola. Suggellati dalla Foggia in festa per la vincita del suo illustre concittadino. Per ricevere Luxuria i ragazzi della sua città hanno già preparato un bel rap: «Sei bbona, sei tosta». Una vera rivoluzione, ma all’incontrario.