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Ma, per la stampa, l’Iraq c’è ancora?
di Bianca Cerri
02 Dec 2004
Solo Fadhil Badrani, corrispondente iracheno della BBC, ha usato termini abbastanza chiari, ma se fosse dipeso dai suoi colleghi europei o americani, la gente continuerebbe a credere che i marines stiano proteggendo Fallujah e il resto dell’Iraq. Se un giorno la città sarà ricordata per il suo sacrificio non sarà certamente per merito della stampa internazionale, mentre possiamo dire già oggi che l’indifferenza verso la sua distruzione fa capire chiaramente che i giornalisti indipendenti sono ormai una specie in via d’estinzione.
E’ sorprendente scoprire come i media riportino con disinvoltura che il Ministro della Sanità del governo Allawi “non ritenga necessario” intervenire sulle emergenze o che “i campi profughi continuino ad essere ‘regolarmente’ setacciati dalle forze militare americane".
Nel frattempo, impera la formidabile retorica con cui lettori ed ascoltatori vengono raggirati sulla morte dei militari Usa, che, secondo l’Associated Press ad esempio, sarebbero tutti “eroi caduti per il loro paese”. Nei giorni in cui viene celebrato più di un funerale, si ricorre a qualche variante sugli uomini e sulle donne che “si immolano per il bene degli altri”, ma, per quanto riguarda gli iracheni, bisogna ormai accontentarsi dell’aggettivo “insorgenti”, termine con il quale le testate hanno unificato i civili.
L’International Tribune sintetizza la drammatica realtà di un popolo costretto a vivere asserragliato nel proprio paese accusando gli iracheni di essere praticamente dei "vigliacchi che temono persino di aprire la finestra di casa per paura di essere colpiti”. I feriti lasciati morire in mezzo alla strada perché non esiste più nulla per curare nessuno vengono ignorati da “Le Monde” che lamenta unicamente “la mancanza di chirurghi a Fallujah”.
L’assenza di qualsiasi forma di empatia della stampa di tutto il mondo nei confronti dei civili sembra quasi suggerire che la guerra è, ahimè, un evento triste e bisogna pur rassegnarsi al fatto che i civili siano le vittime predestinate. Usa Today, per rassicurare i lettori molto impressionabili, si è affrettato a scrivere che “almeno 30.000 persone non si sono fatte sorprendere e sono riuscite ad allentarsi dalla città di Fallujah”.
Altri giornali chiedono le opinioni di un testimone iracheno solo quando ciò può risultare utile per continuare a far credere che gli unici atti violenti siano opera degli “insorgenti”. Il resto delle cronache è completamente dedicato alle strategie dell’esercito Usa già adottate o a quelle ancora da adottare per “liberare il paese”.
Il Boston Globe assieme a qualcuno tra i giornali nostrani trepida per “il fuoco incessante che costringe i marines a rispondere agli attacchi”. In un panorama tanto desolante ci resta forse il tempo di porci una domanda: ma la stampa riflette veramente i sentimenti della gente?. E quanti di voi si riconoscono nell’indifferenza e nella crudeltà espressa dalle cronache di guerra? Vi interessa, almeno emotivamente, la tragedia di un popolo aggredito o preferite essere aggiornati sull’efficienza dell’esercito Usa?
Visto che la stampa è sostenuta dai lettori, potete ancora chiedervelo e, soprattutto, rispondervi.
http://www.reporterassociati.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=4757




