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MALA TEMPORA CURRUNT: RIFLESSIONI SUL TRAMONTO DELLA "CIVILTA’ OCCIDENTALE"

Publie le domenica 4 febbraio 2007 par Open-Publishing

Lucio Garofalo

di Lucio Garofalo

Medio Evo prossimo venturo... Tempi di fanatismo, crudeltà, irrazionalità e intolleranza, incombono sia ad Occidente che ad Oriente.
Nuove profezie apocalittiche e nuovi timori millenaristici si affacciano all’orizzonte della storia. Qualcuno ha persino indicato e previsto con precisione matematica la data della fine del mondo che, a quanto pare, i Maya (che furono senza dubbio un popolo molto intelligente e progredito, capace di grandi scoperte astronomiche e matematiche) seppero già calcolare e individuare nell’anno 2012. Su Internet stanno letteralmente proliferando i siti e i blog che si occupano esclusivamente, o quasi, di tale argomento. Da più parti si paventa l’affacciarsi di un nuovo, inquietante periodo di barbarie e di oscurantismo, che parrebbe approssimarsi alle porte del nostro futuro. In tal senso, il catastrofismo, specie quello di origine ecologista, trova un terreno assai fertile per crescere e prosperare... e per terrorizzare la gente.

Ma dobbiamo davvero preoccuparci e prepararci ad un futuro apocalittico? Siccome non sono un profeta, né un mago, ma un semplice osservatore della realtà storica, consegno ai posteri l’ardua sentenza...

Di certo, affiorano alcuni segnali evidenti che inducono a ragionare e riflettere meglio sulla natura della crisi e sulla decadenza di un mondo imperniato troppo sulle certezze (rivelatesi per quello che in realtà sono, ovvero fragili illusioni) della scienza e del progresso tecnologico, incentrato sui dogmi assolutistici della nuova religione pagana: il liberismo economico-capitalistico, il consumismo sfrenato di un’economia che ha divorato e dissipato tutte le risorse naturali e ambientali della Terra, depredando popoli ed ecosistemi che per millenni sono rimasti perfettamente integri e vergini... Fino a quando non è comparso l’uomo bianco occidentale!

Lo stato di irreversibile putrescenza in cui versa l’odierna società tardo-capitalistica su scala planetaria, è talmente palese da non poter essere negato da nessuno, nemmeno dai fautori più fanatici e incalliti della globalizzazione economica neoliberista. Le classi dominanti non sono più in grado di proporre, imporre e propugnare alcun serio e credibile valore etico-spirituale, nessuna visione o idea di società e di progresso che possa infondere nell’animo delle giovani generazioni una piena fiducia nell’avvenire, tranne l’esaltazione acritica del presente, eccetto l’offerta continua e crescente, ma destinata fatalmente ad esaurirsi, di valori e beni effimeri per antonomasia, legati al consumismo puramente materiale, all’usa & getta, per cui esse (le classi dirigenti) sono soltanto lo specchio più grottesco e patetico del declino e della decomposizione sociale.

La realtà mostra in modo incontrovertibile che l’attuale modello di sviluppo capitalistico-borghese imposto per secoli dall’occidente con la violenza delle armi, del ricatto alimentare, della propaganda mediatica, ecc., attraversa una fase di profonda crisi strutturale e ideologica, per cui non riesce più a convincere, essendo incapace di sedurre ed attrarre la gente che abita sul nostro pianeta, in modo particolare i giovani e i popoli del Sud del mondo. Basti pensare a quanto sta accadendo negli ultimi anni in un vasto continente come l’America Latina, scosso e rinvigorito da forti spinte rivoluzionarie anticapitaliste ed antimperialiste. Si pensi a quanto accade altrove, in Africa, in Medio Oriente, nell’Estremo Oriente, in Nepal...

Ma cosa potrebbe fare ciascuno di noi? Non so gli altri, ma per quanto mi riguarda nutro alcune convinzioni e alcune speranze. Io sono un insegnante. Forse nel mio ambito specifico di competenza, potrei contribuire a promuovere e sollecitare una presa di coscienza critica da parte dei giovani? Non inseguo certo l’assurda pretesa, che sarebbe semplicemente ingenua e velleitaria, di cambiare il mondo con la mia professione quotidiana, anzi. Tuttavia, qualcosa si potrebbe cominciare a fare, anzitutto nelle scuole. Ecco un esempio concreto e praticabile.

Detto con molta franchezza, auspico che un bel giorno, anche nelle scuole pubbliche italiane si approdi finalmente all’adozione di un autentico e necessario spirito laicista, ovvero ad un approccio di tipo relativistico e interculturalistico nell’interazione dialettica tra docenti e discenti, vale a dire nel processo didattico-educativo che dovrebbe costituire il rapporto centrale e privilegiato all’interno delle dinamiche socio-relazionali esistenti nella scuola, sebbene prevalgano sempre più altri interessi e altre mansioni professionali, dunque altri momenti relazionali. Come, ad esempio, gli incarichi legati all’esecuzione delle cosiddette "attività aggiuntive", delle "funzioni strumentali", dei "progetti di arricchimento" (ma arricchimento per chi?). Tutti elementi e ruoli organizzativi che, nell’attuale stato, assolutamente osceno ed obbrobrioso, degli stipendi retribuiti agli insegnanti italiani (i più miserabili d’Europa), emanano inevitabilmente un subdolo fascino seduttivo derivante dal profumo-fetore dei fondi economici aggiuntivi, che attraggono i docenti distraendoli dal loro compito primario, ossia la crescita e l’educazione delle giovani generazioni. Questo spirito di apertura, di tolleranza e di liberalismo etico-spirituale e civile, rappresenta una preziosa linfa vitale, una forma mentis estremamente importante e proficua per la formazione culturale e per la piena emancipazione intellettuale e morale della personalità umana.

Infatti, io credo che non arrecherebbe alcun danno ai nostri studenti se cominciassimo a far conoscere e ad analizzare le ragioni degli altri, ossia di quelle genti e quelle culture a noi estranee e distanti, in particolare di quelle culture e di quei popoli tradizionalmente reputati "inferiori", "arretrati", "incivili", "sottosviluppati", eccetera, per dimostrare e far comprendere che invece non lo sono affatto e che avrebbero molto da insegnarci. Come, ad esempio, avrebbero potuto trasmetterci utili e proficui insegnamenti i popoli pre-colombiani degli Aztechi, dei Maya, degli Incas, in tanti ambiti dello scibile umano, come la matematica, l’astronomia, l’architettura, e via discorrendo. Purtroppo, quei popoli sono stati sterminati e annientati brutalmente, la loro cultura e il loro sapere sono stati irrimediabilmente cancellati e sepolti nell’oblio dall’uomo bianco occidentale.

Un simile progetto educativo sarebbe certamente attuabile mediante l’introduzione nel curricolo formativo di una disciplina ben precisa, incentrata sull’insegnamento storico e antropologico-culturale delle principali confessioni religiose presenti nel mondo, mediante le quali sarebbe possibile far conoscere e studiare adeguatamente le altre culture e gli altri popoli della Terra. E non, invece, quella noiosissima "pizza" che viene imposta ed inculcata ai nostri allievi, assai più simile ad un insegnamento confessionale e neocatechistico affidato a figure pseudo-specialistiche nominate direttamente dalle curie vescovili (un fatto gravissimo e vergognoso!) all’interno di un contesto pubblico nazionale che dovrebbe avere il segno della laicità, ossia un’impronta di totale autonomia da qualsiasi forma di controllo, di intrusione e di ingerenza esercitata da parte delle gerarchie vaticane nella sfera delle istituzioni statali, quindi anche nella vita delle scuole statali.

Sono convinto che questa sia l’interpretazione più corretta e più accettabile dell’Umanesimo laico, che formerebbe la spina dorsale della cultura e della storia della cosiddetta "civiltà occidentale", se davvero esistesse ancora (e se davvero è mai esistita) una "civiltà occidentale", la cui storia è comunemente (ed erroneamente) concepita come una linea di crescente progresso che prende l’avvio dalla filosofia e dalla civiltà greco-romana classica e giunge sino ad oggi, attraversando in modo particolare i due momenti storici che hanno segnato e generato una rivoluzione culturale della società: la rivoluzione culturale umanistico-rinascimentale del 1400-1500 e la rivoluzione culturale illuministica realizzatasi nel XVIII secolo.

Questa visione è esattamente quella di uno sviluppo idealistico-spiritualistico che in realtà cela una grave distorsione e mistificazione storica, mentre sottindende e tradisce un altro tipo di sviluppo e di espansione, di ordine economico-materiale e colonialista, compiuto da parte del mondo cosiddetto "occidentale", una spinta storico-politica di orientamento profondamente eurocentrico e cristianocentrico. Mi riferisco al processo di affermazione e di espansione violenta ed imperialistica delle principali culture e potenze europee nel corso della storia universale.

Si pensi alla Grecia ellenistica di Alessandro Magno e alla Roma imperiale, nell’antichità classica; si pensi ai regni romano-barbarici nell’Alto Medioevo, da cui sono successivamente scaturiti i primi stati nazionali europei, la Francia, l’Inghilterra, la Spagna e il Portogallo, nell’epoca moderna, imitati più tardi dall’Olanda, dalla Russia, dall’Austria e dalla Prussia, che hanno figurato e partecipato con le altre potenze all’opera di spartizione economico-territoriale dell’Europa e del mondo durante il 1600 e il 1700, fino alla nascita e alla costituzione della Germania e dell’Italia nel XIX secolo, che è stato il secolo d’oro del colonialismo europeo, in modo particolare dell’imperialismo britannico, e via discorrendo, fino a giungere alle forme più contemporanee di imperialismo e colonialismo e alle tragiche esperienze del totalitarismo nazi-fascista del XX secolo.

Mi riferisco altresì a quello stato federale-imperiale che rappresenta oggi il diretto discendente dello strapotere economico-imperialistico europeo, vale a dire gli Stati Uniti d’America, la cui giovane storia è contrassegnata da orrendi misfatti e crimini perpetrati contro l’umanità, a cominciare da quello che costituisce il genocidio più efferato e più dimenticato della storia: l’eccidio di massa operato a scapito dei pellerossa. Senza voler ignorare o sminuire le atroci brutalità, le scelleratezze e gli infami delitti consumati a danno dei popoli dell’Africa (quando l’America bianca necessitò di forza-lavoro a bassissimo costo ebbe inizio la più spaventosa tratta di schiavi che la storia ricordi) e, successvamente, a danno degli Afroamericani, nonché degli altri popoli oppressi e sfruttati dai bianchi nordamericani e dalle società bianche occidentali.

Per tali ragioni, il razzismo è insito e istituzionalizzato nella storia, nella cultura e nella società dei bianchi occidentali. In tal senso, il razzismo non è solo e non è tanto un comportamento individuale, quanto soprattutto un fenomeno sociale e istituzionale, che appartiene intimamente alla storia e alla cultura del mondo bianco occidentale. Una storia che è in sintesi un percorso di violenze, di crimini, di raggiri, di ruberie, di mistificazioni, poste in essere contro il resto dell’umanità. Finché la nostra società si ostinerà ad ignorare il razzismo istituzionalizzato in essa latente, le tragiche colpe dell’occidente non saranno giammai definitivamente espiate, né svaniranno i sensi di colpa che turbano la coscienza sporca dell’occidente. Ma è pur vero che il rifiuto o la rinuncia a fare qualcosa di concreto e significativo contro il razzismo istituzionalizzato presente nella nostra società, si spiega e si comprende chiaramente col fatto che la società bianca occidentale trae il suo benessere e la sua opulenza economica proprio dall’esistenza del razzismo stesso, che serve a legittimare e giustificare lo sfruttamento materiale dei popoli del Terzo Mondo. Senza questo razzismo istituzionalizzato e questo sfruttamento economico, la società bianca occidentale scomparirebbe.

In effetti, oggi la società bianca occidentale sta tramontando proprio perché sta venendo meno il suo predominio storico nel mondo. Non a caso, stanno emergendo nuove grandi potenze economico-politiche sulla scena globale, quali la Cina e l’India, destinate inevitabilmente a sconvolgere gli equilibri e i rapporti di forza internazionali. Questo è ormai un dato di fatto palese e inoppugnabile, che dobbiamo finalmente riconoscere e constatare, per poi prendere atto delle conseguenti ripercussioni sul nostro tenore di vita materiale, che verrà messo fortemente in discussione, com’è giusto che accada, dato che in passato è accaduto a tantissimi altri popoli e ad altre civiltà... per colpa nostra.

Con questo articolo mi piacerebbe lanciare una proposta: così come avviene ogni anno per richiamare l’olocausto compiuto dal regime nazista (non solo a danno del popolo ebreo, ma anche contro zingari, slavi, omosessuali, portatori di handicap, comunisti, anarchici e dissidenti vari) si potrebbe fissare, simbolicamente, un "giorno della memoria" riservato al genocidio perpetrato dagli U.S.A., ossia un’intera giornata del calendario da dedicare alle rievocazioni, ai dibattiti e alle riflessioni su ciò che è stata un’operazione di estinzione cruenta e sanguinosa del glorioso popolo dei nativi nordamericani, ferocemente massacrati, stuprati e cancellati dall’esercito yankee, sia fisicamente che culturalmente, in seguito alle cosiddette "guerre indiane" combattute nella seconda metà del XIX secolo.

Come spesso è accaduto in passato (si pensi a Roma nei confronti di Cartagine) i vincitori scrivono, o meglio, riscrivono la storia, falsificandola e rettificandola a proprio vantaggio. Così si è verificato nel caso dei pellerossa del Nord America, la cui storia è stata raccontata, descritta e divulgata attraverso il cinema western, che ha celebrato ed esaltato come "epica" la progressiva conquista del West, ossia degli sterminati territori occidentali del continente nordamericano, sottratti con la forza delle armi e con mille trucchi ed inganni ai legittimi abitanti indigeni, le tribù dei pellerossa (appunto), da parte dei pionieri, dei colonizzatori e dei soldati bianchi, mistificando e alterando la verità storica.

Da questi scippi, massacri e raggiri, che sono stati completamente occultati e distorti, hanno tratto la loro origine i numerosi miti e cliché, ovviamente fallaci, legati alla cosiddetta "epopea western": dallo stereotipo del cowboy solitario, onesto e coraggioso, al luogo comune dell’indiano selvaggio e crudele. La mitologia cinematografica hollywoodiana ha riproposto lo schema manicheo di sempre, vale a dire la facile e semplicistica equazione "bianco = buono" e "indigeno = selvaggio = malvagio", un modello che si ripete e si rinnova da secoli in tutte le occasioni in cui i bianchi occidentali si sono incontrati e scontrati con gli esponenti di altre culture e di altri popoli, considerati "inferiori" o "sottosviluppati", per cui sono stati sottomessi con la forza delle armi, con astuti stratagemmi o con altri strumenti coercitivi e fraudolenti.

L’occidente bianco è sempre stato sconvolto e turbato dall’idea della violenza, quando ad usarla sono gli altri, ossia i pellerossa, i Cinesi, i Cubani, i Vietnamiti, i negri, gli Arabi, gli islamici, e via discorrendo. Ma le violenze e le atrocità delittuose dei bianchi occidentali, dove le mettiamo? Il punto è questo: chi detiene il potere detta legge e decide chi sono i "buoni" e chi sono i "cattivi". E’ sempre stato così, sin dai tempi più antichi. I Romani erano abili ed esperti maestri in questo campo, come ci insegnano Giulio Cesare e gli altri storici e conquistatori latini.

L’ignobile violenza della guerre, delle stragi, delle rapine, dei falsi trattati di pace, eccetera, è sempre stata dissimulata e camuffata sotto vesti ipocrite e posticce, sbandierando di volta in volta nobili principi ideali e morali assolutamente inesistenti, quali ad esempio i valori della "fede religiosa" (si pensi soprattutto all’epoca delle Crociate in Palestina), della "civiltà" e del "progresso" (si pensi alle conquiste coloniali nel Nuovo Mondo, ovvero nelle Americhe, in Africa, in Asia), oppure della "libertà" e della "democrazia" in tempi per noi più recenti e più noti.
Ogni riferimento alla guerra in Iraq, o alle altre guerre attualmente in corso nel mondo, è puramente casuale... amen!