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Venerdì 22 Gennaio 2010
[articolo di Alessandra Mecozzi pubblicato oggi, 22 gennaio 2010, sul "Manifesto"]
Sindacalisti ben vestiti e ben pasciuti versus migranti invisibili e schiavi; sindacati "concertatori" che vietano lo sciopero a lavoratori e lavoratrici immigrati: immagini volgari e non realistiche, ma che rischiano di fare presa su una opinione pubblica, compresa quella dei migranti, confusa e sempre più preda del senso di impotenza e del bisogno insoddisfatto di riferimenti, parole chiare, principi fermi. Una deriva rischiosa e, questa sì, reale.
La discussione, talvolta il balbettio sindacale intorno alla proposta del 1 marzo - giornata senza migranti, porta purtroppo a pensare questo.
E c’è invece bisogno di uno scatto, contro la deriva, la decomposizione sociale che ultima la vicenda sconvolgente, in tutti i suoi aspetti, di Rosarno, ha messo in luce. E, come ho sentito oggi in una bella discussione di delegati e delegate, sindacalisti della fiom del coordinamento migranti, la voglia e la capacità per questo scatto tra i le migranti, c’è. E ci vengono in aiuto esperienze di altri paesi. Il 1° maggio di 4 anni fa negli Stati Uniti si realizzò la "prima giornata senza migranti". In uno dei pochi grandi paesi dove il 1 maggio non è la festa del lavoro (che si celebra a settembre) donne e uomini immigrati delle più diverse origini, decidevano di astenersi da ogni attività legata alla vita economica: non lavorare, chiudere i negozi, non portare i figli a scuola... Al grido "si se puede" milioni di di latinos,africani, haitiani, arabi, filippini, portoricani, thailandesi, circondati da ripudiavano una pessima legge di criminalizzazione degli "indocumentados" o "sans papiers (12 milioni negli Stati Uniti), intendevano mostrare il loro peso economico nella società. Oggi, a partire dalla Francia, la proposta si ripete e naviga sulla rete, anche in Italia su Face book parte da un piccolo gruppo in rapidissima crescita, spinta anche da quanto avvenuto a Rosarno: razzismo, criminalità organizzata, paure, producono una miscela esplosiva a cui il grido e la volontà di essere protagonisti dei migranti appaiono come la risposta più sana e saggia. (...)
Eppure, dalle grandi, e meno grandi, organizzazioni sindacali si è risposto con un rifiuto, con deboli argomentazioni sulla mancanza di tempo, con, nei casi migliori, la visione del "o tutti o niente". Ho sentito espressioni come "no allo sciopero etnico", "attenzione alla frattura sociale": un misto di paura e di autodifesa. Il sindacato, e non solo in Italia, appare largamente inadeguato alle necessità dei mutamenti sociali, dei fenomeni della globalizzazione
umana, abbarbicato a certezze sempre più evanescenti. Ben venga - ma non lo si vede ancora all’orizzonte - uno sciopero generale nazionale e ancora meglio europeo, per i diritti degli immigrati, contro le leggi razziste, i decreti sicurezza, per il diritto alla sicurezza dei e delle migranti.
Ma oggi si parla di altro: come cominciare a ricomporre una frattura sociale che tende ad approfondirsi.E Il primo passo è proprio l’affermazione, a partire da sé, e in prima persona, di chi, con origini e culture diverse, ma con analoga condizione materiale e sociale, vuol far valere la propria presenza e il bisogno che di loro ha la società. Perciò credo che la prima parola del sindacato, della Cgil in particolare, sindacato generale e della solidarietà, di fronte a questa volontà di affermazione, avrebbe dovuto essere SI, siamo con voi. E poi ascoltare, discutere le modalità, trovare le risposte alle difficoltà,
aiutare a superare eventuali ostacoli. Se un soggetto, di fronte al degrado sociale che lo colpisce direttamente, anche fisicamente, decide di alzare la testa e di affermarsi, di reclamare il primo diritto, quello di essere trattato alla pari e rispettato nella differenza, deve trovare al suo fianco il
soggetto sociale più forte e organizzato.
E allora che fare? Si possono fare tante cose: in primo luogo dichiarare che chi decide di scioperare (come hanno già deciso a Brescia e speriamo che si estenda) è tutelato dal sindacato, si invitino tutti e tutte, come è stato suggerito, a portare un segno di riconoscimento, con colore giallo, si può indicare lo sciopero "bianco", devolvendo i fondi raccolti alla promozione dei diritti di migranti, le donne che lavorano nelle famiglie possono prendere un giorno di permesso il primo marzo. Insomma usare tutti gli strumenti possibili, individuali e collettivi,
per favorire, non ostacolare, una giornata di presenza e visibilità, dove il sentirsi insieme, circondati dalla attenzione e solidarietà sociale, fa acquisire consapevolezza,forza,il coraggio di lottare, e non solo al mondo migrante.
Messaggi
1. MARZO: UNO SCATTO CONTRO LA DERIVA , 22 gennaio 2010, 19:28, di pietro ancona
Bisognerebbe chiedere una verifica del tesseramento delle confederazioni, l’abrogazione delle leggi corporativistiche bassanini che escludono la democrazia sindacale, uscire in masse dalle Confederazioni come quasi cento anni fa fece Di Vittorio che usci dalla CGIL quando questa divenne collaborazionista con il governo Giolitti