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MOVIMENTI L’antidoto dell’autonomia

Publie le mercoledì 6 ottobre 2004 par Open-Publishing

di LUCIANO MUHLBAUER*

Il movimento antiliberista e contro la guerra è in crisi oppure no? Questa
domanda si è ripresentata con forza proprio nei giorni del sequestro dei
nostri quattro compagni, risentendo non poco del clima creatosi. Con il
movimento se la prendevano tutti, sulla stampa apparivano veri necrologi
e Fini chiamò i suoi alla lotta contro il pacifismo. Una gigantesca metafora
del rapimento delle Simone: pacifisti ostaggi in Iraq e imbelli in Italia.
Ora i nostri compagni sono liberi, ma la domanda resta.

Allora proviamo
ad affrontarla con più serenità, ma anche con urgenza, poiché la guerra
continua e vi è la necessità impellente di ricostruire un tessuto di mobilitazioni
popolari, unico antidoto alla tenaglia dello «scontro di civiltà», dove
rimane soltanto la scelta intollerabile tra la guerra e i terrorismi. Per
certi versi il movimento vive sin da Genova in una crisi permanente.

Un
movimento che non ha mai risolto il problema della sua autorganizzazione
e che è composto da una moltitudine di uomini e donne non organizzati, che
fanno il movimento, e da un arco di soggetti organizzati, che fanno le decisioni,
è fragile strutturalmente e costretto a dimostrare periodicamente la sua
esistenza in vita.

Eppure, il movimento in questi anni ha aperto e allargato
uno spazio pubblico nuovo, riuscendo a rispondere a ogni cambiamento di
fase. Ricordarci di tutto questo può aiutare a capire meglio dove stanno
i problemi oggi.

E’ vero che vi è una voglia di «normalizzazione» da parte
del centrosinistra ma è altrettanto vero che non si tratta proprio di una
novità. O ci siamo già scordati del 20 marzo? Ed è altrettanto vero che
i luoghi di «rappresentanza» unitari del movimento, gli unici di cui disponiamo,
sono insufficienti e bisognosi di aria fresca.

E allora fermarci ai problemi
«storici» del movimento non basta, perché rischiamo di mettere in secondo
piano il punto principale, che è politico.

La difesa dell’autonomia del movimento non è un problema teorico, ma politico
e pratico. C’è l’autonomia nella misura in cui siamo in grado di produrre
azione e mobilitazione unitaria e di massa, cioè di condizionare e non essere
condizionati. E questo significa entrare in sintonia con quella moltitudine
che fa il movimento, con le sue preoccupazioni, con quello che vive.

Quando
il movimento nella sua unitarietà non riesce a includere veramente lotte
come quelle di Scanzano, Acerra, Melfi oppure quella dei tranvieri, quando
non riesce a dare centralità di iniziativa ai migranti, tanto per citarne
alcune, allora rischia di risultare non soltanto poco affascinante, ma inutile.
Il problema sta nella capacità del movimento e delle sue componenti organizzate
di essere utili nella lotta per la pace, condizionando l’agenda della politica
con la sua presenza e i suoi contenuti.

Ogni giorno che passa la guerra
e l’occupazione devastano e uccidono un po’ di più, dando nuova linfa ai
progetti di morte dei vari Bin Laden, e ogni giorno si aggiunge un altro
tassello dello «scontro di civiltà» nelle menti delle persone. Il movimento
sarà politicamente utile se saprà guastare questo meccanismo, avviando un
percorso di mobilitazione popolare, articolato sui territori e passando
per il Fse di Londra, che sfoci il 30 ottobre in una manifestazione di massa.
Soltanto così si riuscirà a rimettere al centro dell’agenda politica l’unica
cosa sensata da fare, cioè ritirare le truppe italiane dall’Iraq.

*Segretario nazionale SinCobas