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Ma noi saremo a Roma per chiedere il ritiro di tutte le truppe

Publie le sabato 30 settembre 2006 par Open-Publishing

di Piero Bernocchi

L’attacco da parte della resistenza afgana ai militari italiani e l’uccisione di Giorgio Langella sono la tragica conferma di quanto sia stato grave e irresponsabile, da parte del governo Prodi, proseguire la partecipazione alla guerra in Afghanistan. Oggi è lampante come fossero ingannevoli le rassicurazioni sulla “delimitazione” del ruolo del contingente italiano, che, come è emerso nelle ultime settimane, è in prima fila in una guerra di occupazione.

Il governo Prodi lo sapeva ma, per garantire all’Italia una parte dei frutti della guerra globale scatenata dagli Usa per il controllo delle ricchezze energetiche, ha mandato allo sbaraglio, come fece Berlusconi, i soldati italiani. Ora dovrebbe almeno risparmiarci la retorica su “martiri ed eroi” in missione di pace per “combattere il terrorismo”: i militari italiani sono professionisti ben pagati che combattono guerre ingiuste, mentre gli afgani, come gli iracheni o i libanesi, hanno il diritto di resistere, con i mezzi che hanno, per impedire l’occupazione del proprio paese e la rapina delle loro ricchezze.

Per interrompere la spirale di morte, insieme a varie altre organizzazioni, reti e singoli, manifesteremo il 30 settembre a Roma (piazza della Repubblica ore 15) per il ritiro da tutti i fronti di guerra delle truppe italiane, comprese quelle inviate in Libano sotto le fallaci insegne dell’Onu. Tale armata non è neutrale, non si trova nel territorio di Israele (l’aggressore) ma nel paese aggredito, il Libano, ed è diretta da paesi che hanno una stretta alleanza con Israele.

Il passaggio da una guerra “unilaterale” ad una “concertata” non è per nulla un progresso: non sono i militari a poter riportare la pace. E’ la diplomazia dei paesi occidentali che dovrebbe imporre (ma non vuole farlo) a Israele di eliminare le cause del conflitto, rinunciando all’occupazione della Palestina, ai territori usurpati a Libano e Siria e facendo rientrare i profughi palestinesi. La manifestazione chiederà anche la chiusura delle basi militari Nato e Usa; il disarmo nucleare a partire dai paesi che hanno già le atomiche; la fine delle minacce ai paesi che non si sottomettono agli Usa; il rifiuto della campagna anti-islamica, del taglio alla spesa sociale e del finanziamento di missioni militari e armamenti; e ribadirà il sostegno alla resistenza dei popoli libanese, palestinese, iracheno e afgano.

L’iniziativa si colloca nel quadro della mobilitazione decisa al Forum sociale europeo di Atene per la settimana tra il 23 e il 30 settembre, che vede svolgersi cortei in parecchi paesi europei, con punte di rilievo in Inghilterra, Grecia, Spagna, Turchia. Ovviamente la piattaforma del Fse (svoltosi a maggio) non comprendeva un giudizio sulla missione in Libano, ma il rifiuto degli interventi militari con o senza Onu è stata una costante dei Forum, e il No alla missione è presente in tutte le manifestazioni di questa settimana.

Al corteo italiano non parteciperanno parecchie strutture (nonché singoli) che hanno sostenuto le iniziative contro la guerra dal 2001 in poi. Si è operata una profonda divisione tra le forze che per un quinquennio avevano promosso la lotta “contro la guerra senza se e senza ma”. Alcune importanti divergenze non sono dell’ultima ora: l’equiparazione guerra-terrorismo, il rifiuto di dare riconoscimento alle resistenze armate, la fiducia nel possibile “recupero” dell’Onu, una certa “timidezza” nei confronti del ruolo di Israele in Medio Oriente, hanno sempre costituito ostacoli ad una piattaforma davvero unitaria.

Purtuttavia, fino all’avvento del governo Prodi non hanno impedito grandi mobilitazioni e iniziative comuni. Per questo abbiamo parlato di “sindrome del governo amico”: e molti/e se ne sono risentiti. Solo che non sono riusciti a spiegare il perché della passività degli ultimi mesi da parte delle associazioni, sindacati, reti “influenzati” dal governo. Perché, ad esempio, nella settimana decisa al Fse non ci sarà nessuna altra iniziativa oltre la nostra? Certo, il Forum europeo non è né è mai stato il “comitato centrale” del movimento anti-guerra: però tutte le forze no-war italiane presenti ad Atene hanno approvato la piattaforma che chiedeva il ritiro delle truppe sia dall’Iraq sia dall’Afghanistan.

Cosa è successo dopo? Perché tante forze si sono sottratte a giugno-luglio alla mobilitazione per il ritiro anche dall’Afghanistan e hanno avallato la sciagurata decisione del governo Prodi? E perché ora non manifestano almeno per il ritiro dall’Afghanistan? Come si può sostenere che è ininfluente il fatto che decine di esponenti del movimento contro la guerra e i tre partiti fino a ieri no-war sono stati cooptati nel governo? Ed è così strano che tale cooptazione divida e paralizzi un movimento che non ha mai avuto vere sedi autonome di decisione ma è stato sempre intelaiato da partiti, sindacati, associazioni e reti, mobili fino a che il centrosinistra era annichilito dal trionfo berlusconiano, ma poi divisi e via via inoperanti appena la “politique politicienne” ha ripreso il comando, realizzando la sconfitta di Berlusconi ma non del berlusconismo?

Oggi spetta alla marea di no-war “non schierati” scendere di nuovo in campo. E ci piacerebbe che il 30 molti/e fossero con noi anche se non condividono l’intera piattaforma, per dire semplicemente che sono comunque contro la guerra, unilaterale o multilaterale, Usa o Onu, americana o europea: appunto contro, “senza se e senza ma”.

da Liberazione di giovedi’ 28 settembre