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Malalai Joya, dalla parte del popolo afgano, contro i signori della guerra
Publie le lunedì 11 giugno 2007 par Open-Publishingdi Vittorio Agnoletto
La più giovane parlamentare afgana, da sempre impegnata nella difesa dei diritti umani, per le
donne e per i bambini afgani, è stata recentemente sospesa dal suo incarico politico. Il motivo? Ha
criticato il Parlamento afgano. Alla mobilitazione della società civile abbiamo voluto contribuire, a
Bruxelles, con una interrogazione alla Commissione e al Consiglio europei. Ma tutti possiamo far
sentire la nostra voce per sostenere una delle più acerrime nemiche dei signori della guerra e dei
narcotrafficanti.
Malalai Joya è la più giovane parlamentare afgana. É soprattutto una «spina nel fianco» dei signori
della guerra che siedono in quello stesso parlamento, come già denunciato dalla società civile afgana
e da molte ong che si occupano di diritti e democrazia, inclusa Amnesty international. Poche
settimane fa l’assemblea afgana ha votato a maggioranza la sua sospensione.
Il pretesto è stato un intervento di critica espresso da Malalai Joya contro il Parlamento nazionale e
i «fallimenti della sua politica nei confronti del popolo afgano». L’altra sua “colpa” è aver dichiarato
in un’intervista che il parlamento afgano è peggio di una stalla, vista la presenza di criminali di ogni
genere.
Ne è seguito il provvedimento di sospensione, che comprende l’ordine di aprire
un’inchiesta nei suoi confronti e la richiesta al ministero degli Interni di limitarne gli spostamenti.
Ma le reali motivazioni di questa scelta emergono chiaramente dalla biografia politica e personale
di Malalai. 29 anni, è stata eletta alle elezioni parlamentari nel 2005 con oltre 7mila voti. La sua
storia politica inizia nel dicembre 2003, in occasione della riunione della Loya Jirga, il gran consiglio
afgano convocato per scrivere la nuova costituzione. La giovane donna, assistente sociale
nella provincia occidentale di Farah, partecipava alla riunione in rappresentanza della sua gente, in
mezzo a cinquecento mullah, comandanti mujaheddin, capi tribù e rappresentanti locali provenienti
da tutto il Paese.
E si era resa conto che in quell’assemblea erano presenti famigerati signori della
guerra e comandanti fondamentalisti. Decise allora di prendere la parola e si rivolse ai suoi compatrioti:
«perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga vengano messe in
dubbio dalla presenza dei traditori che hanno ridotto il nostro Paese in questo stato. (...) Sono coloro
che hanno trasformato il nostro Paese nel fulcro di guerre nazionali e internazionali. Nella nostra
società sono le persone più contrarie alle donne (…). Dovrebbero essere portati davanti a tribunali
nazionali e internazionali».
Da quel giorno Malalai viene minacciata costantemente. In tutti i modi i suoi nemici hanno tentato
di metterla fuori gioco e a fine maggio, purtroppo, ci sono - in parte - riusciti. È evidente che si tratta
di un’espulsione ingiustificata, ed è altrettanto chiaro che Malalai ha bisogno di essere aiutata e
sostenuta. Deve tornare al suo lavoro.
Insieme a Luisa Morgantini, abbiamo chiesto a Commissione e Consiglio di chiarire le loro posizioni
«di fronte all’impedimento da parte di un Parlamento del diritto alla libera manifestazione di opinione
nella sua sede propria» e di «adottare delle misure per garantire la normale e doverosa dialettica
democratica e per assicurare la sicurezza di Malalai Joya».
Chi volesse, può contribuire alla mobilitazione internazionale, inviando alle istituzioni l’appello pubblicato
sul sito www.afgana.org e, in inglese, sul portale dei Comitati in difesa di Malalai,
all’indirizzo www.malalaijoya.com.