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Manuela Palermi, una forza comunista per rispondere alla crisi
Publie le sabato 6 dicembre 2008 par Open-PublishingManuela Palermi, una forza comunista per rispondere alla crisi
di Tommaso Vaccaro
A tutto campo col direttore del settimanale La Rinascita della Sinistra, attualmente membro dell’ufficio politico dei Comunisti italiani e, nella passata legislatura, presidente del gruppo al senato. Crisi economica, rapporto con Rifondazione e Costituente di sinistra. Questi i tre argomenti sui quali si concentra l’intervista a Manuela Palermi che di seguito riportiamo
Non possiamo che partire dalla drammatica crisi economica in atto. Il crollo dell’economia mondiale sta velocemente tirando negli abissi più profondi anche il nostro Paese. Chi paga il prezzo più alto di questo tracollo?
Nei fatti ricade sui lavoratori, sui pensionati, ma anche sugli artigiani e sulle piccole imprese. Si salvano sono quelli che questa crisi l’hanno determinata. Mi chiedo dove fosse Banca d’Italia mentre si incrociavano i continui cortocircuiti finanziari. Che controllo faceva? Dov’era il Fondo Monetario Internazionale? In Italia, il sistema bancario ha effettuato in questi anni un numero enorme di operazioni canagliesche, così come il capitalismo nostrano ha continuato a fare affidamento su uno Stato che si è messo a sua completa disposizione. Tutto ciò si è tramutato in condizioni pessime per i lavoratori, in un aumento della disoccupazione e del precariato, a fronte di salari bassissimi. In questo quadro di crisi, non solo il Governo continua a non adottare misure che migliorino questa realtà, tentando al contempo di rilanciare i consumi interni per alleviare le sofferenze dei lavoratori. Ma addirittura si lavora, proprio nel bel mezzo della tempesta, per far passare provvedimenti che portano ad un concreto peggioramento di questa condizione.
A cosa ti riferisci nello specifico?
Per esempio alla normativa sugli orari, in cui si prevedono giornate lavorative addirittura di 13 ore. Ciò significa che se domani dovesse passare la riforma dei contratti nazionali, cioè quella che stabilisce una contrattazione a livello territoriale (per intenderci quella che già la Cisl, la Uil e l’Ugl hanno sottoscritto), laddove non è forte la presenza sindacale, si potrà legalmente e legittimamente lavorare fino a 12/13 ore. Non che questo ora non accada. Alla Thyssen di Torino, gli operai che hanno perso la vita stavano lavorando già da 12 ore. Ma togliere quella cornice di tutela, significa in sostanza mettere nella mani dell’imprenditore il potere di far lavorare quel numero di ore, senza pagare un euro in più di straordinario.
Il governo mette in campo la “social card” per le fasce più deboli. Si tratta di un sostegno o di un’elemosina?
Più che social card io continuo a chiamarla ‘tessera della povertà’. Si tratta senza alcun dubbio di una beffa, quando si sarebbero potuti dare 50 euro strutturali alle pensioni più basse. Detto questo, io credo che la considerazione da fare sia un’altra. I lavoratori italiani sono quelli che in Europa pagano le tasse più alte, al contrario delle rendite finanziarie che sono quelle meno tassate. Si sarebbe potuto trovare un meccanismo, anche questo strutturale, per invertire questo vero e proprio paradosso. Cosa che tra l’altro noi proponemmo durante il governo Prodi, senza riuscire a ottenerlo. E poi si poteva detassare la tredicesima. A questo proposito vorrei sottolineare che quando si parla del costo del lavoro troppo elevato, questo argomento vale sia per i lavoratori che per l’impresa stessa. Una detassazione sarebbe stata utile ad entrambi.
In una fase generale così critica, in cui tra l’altro appare sempre più evidente l’implosione del capitalismo globalizzato, una rappresentanza politica dei lavoratori risulta quanto mai necessaria. In Parlamento non sembra ci sia. Di chi è la responsabilità?
Le responsabilità di questa assenza sono principalmente nostre. Naturalmente ci sono delle particolari congiunture che hanno favorito tale processo. Ma la sinistra ha le sue gravi colpe. Oggi, se mi guardo intorno per cercare di capire cosa sia effettivamente la sinistra italiana, vedo da una parte un grande partito che io ho sempre considerato come una formazione moderata. Il Pd è un partito senz’anima, privo di una linea politica e con un gruppo dirigente ormai completamente logorato. Guardando in questa fase a casa nostra, la preoccupazione è grande. Io ho sperato e continuo ancora a sperare che vengano meno le ragioni che portarono alla scissione con Rifondazione Comunista. Me lo auguro con tutto il cuore soprattutto perché, proprio quei lavoratori e quei giovani precari che oggi cercano con ansia una rappresentanza politica, se gli viene offerto un partito che ha l’1,5 – il 2 %, non si sentono tutelati. Anche per questo i Comunisti italiani hanno proposto al Prc di ritrovare un’unità. Si badi bene, anche per dare una risposta ai non comunisti. Da questo punto di vista credo ci sia su di noi un giudizio, uso un termine forte, un po’ forcaiolo, che non mi piace affatto. Noi crediamo che l’obbiettivo debba essere quello di costruire un minimo di speranza di sinistra a fronte del crollo del Pd. E poi, con questo cuore pulsante, avere il coraggio di parlare a tutta la società, anche a quella non comunista.
Intanto le elezioni europee sono sempre più vicine… Il Pdci ha avuto qualche risposta da Rifondazione in merito alle liste?
Purtroppo da questo punto di vista devo sottolineare la mia amarezza. Quando sembrava imminente un cambiamento della legge elettorale europea con l’introduzione di una soglia di sbarramento, pareva che ci fosse una disponibilità di Rifondazione ad andare insieme alle elezioni. Dal momento in cui questo elemento pare non ci sia più, il Prc mi sembra richiuso in sé stesso, tornando a fare i conti soltanto con i propri problemi interni, certamente gravissimi e di cui ho il massimo rispetto. Spero di sbagliarmi. Noi fino all’ultimo continueremo ad essere disponibili ad andare insieme alle europee, senza rivendicare niente, semplicemente con la volontà di offrire alla gente un partito comunista un po’ più consistente.
A proposito di comunismo. Fausto Bertinotti qualche tempo fa’ ha affermato che se ti definisci “comunista”, la gente non ti capisce. Credi sia vero?
Io di questo non ne sono affatto convinta. Credo che, più che la gente, sia Bertinotti a non capirlo, non essendo mai stato comunista, bensì socialista. Io mi sono iscritta ad una sezione del Pci nella periferia romana che avevo solo 12 anni. Mi sono ritrovata comunista a fianco degli operai edili, dei pensionati e della gente comune che si ritrovava in sezione anche solo per giocare a briscola o per leggere insieme l’editoriale dell’Unità. E’ lì che venivano portati gli invalidi del quartiere. Ed è sempre lì che la gente che non sapeva né leggere né scrivere portava le proprie pratiche da compilare. I compagni e le compagne del Pci si mettevano a disposizione di questa comunità territoriale ed io che vengo da quel partito continuo ad essere fortemente orgogliosa di quell’esperienza. Forse Bertinotti conosce anche poco quel vecchio popolo comunista. Quello che magari oggi sta sotto le bandiere del Pd e pensa che quella storia sia finita, ma che comunque non sopporterebbe le parole che Fausto usa.
E la Costituente di Sinistra proposta da Nichi Vendola?
Mi dispiace perché Nichi è un compagno carissimo. Ma credo che si sia infilato dentro un gioco di potere che gli ha tolto smalto, autenticità e anche la facoltà di ragionare lucidamente su ciò che sta accadendo. Quello che propongono con la Costituente è solo una riedizione dell’Arcobaleno. Un’idea che la gente ha bocciato senza appello. Non ci si può permettere di riproporre nuovamente una formula già respinta dagli elettori. Insomma, ne penso tutto il male possibile.
Per diversi mesi ha tenuto banco la polemica, un po’ surreale, che potrebbe essere riassunta con “Di Pietro si o no?”
Questa sorta di referendum si può fare soltanto se tu come partito hai fatto tutto quello che potevi fare sulla questione morale. Piazza Navona l’ha organizzata Di Pietro e non noi della sinistra. Questa è stata una nostra grave colpa. Il dibattito che ne è scaturito a partire da una certa componente di Rifondazione contro quell’iniziativa, lo voglio dire senza reticenze, è stato vergognoso. Se avessero proposto un’altra piazza, un altro modo di manifestare l’ostilità al Lodo Alfano, quella sarebbe stata una presa di posizione legittima. Bada bene, non voglio difendere il modo di fare politica di Di Pietro. A me, per esempio, è capitato nella precedente legislatura di contrastarlo aspramente a proposito della Commissione d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova, sulla quale lui si mise di traverso. Ma in occasione della grande manifestazione di Piazza Navona bisognava stare zitti, perché siamo noi ad aver sbagliato.