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Massimo D’Alema, ovvero l’odiato più amato di tutti
Publie le domenica 8 gennaio 2006 par Open-Publishing2 commenti
Il presidente dei Ds si nutre dell’avversione che c’è nei suoi confronti e la trasforma puntualmente nell’osanna del suo popolo
Piace alla sinistra Nonostante i dissensi, le opposizioni interne alla Quercia hanno sempre nutrito una forte simpatia per D’Alema. Ecco come una volta ha spronato i parlamentari parafrasando Rino Formica: «La politica è sangue e merda. Del sangue me ne occupo io, al resto pensateci voi..»
Piace alla destra Nel salotto buono lo ritengono «un prepotente» e criticano il suo tifo a favore dei capitalisti rampanti. Ma del leader Ds sono ugualmente apprezzate le idee liberali e la concezione delle riforme istituzionali in senso maggioritario e semipresidenzialista
di COSIMO ROSSI
«Il mostro», lo chiamano. Ma i migliori alleati di Massimo D’Alema in fondo sono i suoi nemici: quelli che del presidente dei Ds se ne sono fatti una malattia cronica, quelli che nel corso degli anni hanno interpretato la parte dei suoi avversari interni alla sinistra, quelli che sotto l’eleganza maldestra dell’uomo di stato scorgono a memoria la canottiera in bassorilievo su polo in lana pettinata del burocrate comunista. Molti nemici molto onore: «Chi attacca me attacca il partito», traduce il salmo pavloviano con cui il nemico più amato dagli italiani va puntualmente a raccogliere l’osanna del suo popolo. Ma il fatto è che D’Alema piace in primo luogo ai suoi nemici. E più piace ai nemici più è amato.
Non finirà mai di piacere il leader che nella gioventù di comunista non si è sottratto al battesimo della molotov. Tanto piaceva allora, tanto è continuato a piacere alle sinistre annaspanti sotto le macerie del muro il «baffino» che arrivato a Pisa nel giorno della Bolognina sibilava di Achille Occhetto: «Questo ci porta al disastro». Quello del consenso ostile alla svolta. Quello che «qui da quando non c’è più il Pci tutti gli stronzi sono venuti a galla» e che allargava le braccia per salutare i traslocanti a Rifondazione: «Vite spezzate...». Quello che alla nascita del governo Ciampi osteggiò con successo l’ingresso dei ministri piediessini voluto invece dal segretario e preteso da Oscar Luigi Scalfaro: poi il Carroccio votò contro l’autorizzazione a procedere per Craxi, i ministri si sfilarono e quel governo non durò quanto era nelle segrete intese di Psi e Pds per traguardare il terremoto di Tangentopoli senza precipitare nel sepolcro della prima repubblica.
C’è chi ritiene che se quel governo fosse durato forse Silvio Berlusconi adesso non curerebbe i suoi affari direttamente da palazzo Chigi. Il cavaliere era con il cappello in mano quando D’Alema ce lo voleva vedere. E alle sinistre interne al Pds l’idea arrideva al punto che furono determinanti per insediarlo alla segreteria nonostante la consultazione avesse incoronato Walter Veltroni.
Anche a Berlusconi piaceva e piace D’Alema. Tanto da temerlo e da non averlo mai voluto affrontare in tv, ma da coabitare con lui alla bicamerale perché «D’Alema è cambiato» mentre gli altri sono «rimasti comunisti». Il presidente della bicamerale, del resto, piaceva assai anche a Gianfranco Fini. Specie quando firmò il famigerato «patto della crostata» di casa Letta (Gianni) inghiottendo in un sol boccone anche il presidenzialismo.
Perché la bicamerale fu al fine sfrattata da Berlusconi, ciò non di meno piace pur sempre a tanti il D’Alema delle riforme: quello dello «sblocco del sistema politico» per via maggioritaria, del doppio turno e del semipresidenzialismo alla francese piuttosto che del premierato all’amatriciana, dei referendum prima snobbati e poi mancati. Piace in primo luogo proprio ai benpensanti e ai liberali che oggi maggiormente lo osteggiano. E non dispiaceva nemmeno quando alambiccava del mostro tricefalo dopo la caduta del governo Dini lasciandosi cucire incurante i panni di un machiavellismo dozzinale. Colpa anche di quell’alterigia che gli è propria nel momento in cui, ad esempio, durante un’assemblea di parlamentari distrae il vicino di sedia dall’oratore per intrattenerlo piuttosto sulle scandalose scarpe da due milioni (di vecchie lire) alle quali è costretto non dalla vanità di premier ma da ben più seri problemi di circolazione.
L’hanno parodiato con i Risiko-Dalemoni. Ma non per questo non piace il D’Alema che tramò per la caduta del governo Berlusconi. Quello piace anzi un sacco a sinistra, tanto da far perdonare al presidente Ds i menù di pesce consumati con Rocco Buttiglione e gli applausi scroscianti del congresso della Lega, «costola della sinistra».
Quello è il D’Alema da manuale: il leader che parla al cuore e alla pancia del suo popolo, che esalta chi gli sta accanto con il suo sarcasmo altero e un po’ teppista. Quello che rifila Antonio Di Pietro ai ruvidi comunisti del Mugello definendolo «un uomo del popolo, come lo avrebbe chiamato Enrico Berlinguer». Quello secondo cui «ha ragione Bertinotti a dire che le sinistre sono due: una è in orario e una è in ritardo. Noi siamo quella in orario». Quello che ancora oggi «il capo l’ho già sentito ieri», risponde chi se ne va prima che parli Piero Fassino. Quello che anche per la concorrenza «D’Alema è la persona che ti telefona per dirti: "hai capito che io farò di tutti per distruggerti?". Ma è anche l’unico di loro con cui si parla di politica». Quello che in Transatlantico sprona la truppa chiosando la celebre definizione di Rino Formica: «La politica è sangue e merda. Del sangue me ne occupo io, al resto pensateci voi...».
E’ quello che si inventò Prodi, ma che poi a Gargonza oppose il primato dei partiti a quello dell’Ulivo. Quello la cui Cosa 2 è rimasta negli almanacchi dei bluff. Quello che con la sicumera del «professionista della politica» alle regionali del 2000 si vendette un 9 a 6 finito invece 11 a 4 per la destra. Quello che non si è sottratto dall’interpretare il ruolo di Mefistofele nella caduta del governo Prodi per poi varcare la soglia di palazzo Chigi e trasformarla in un sortilegio per le sinistre. Oltre che in una «marchant bank», come suona ancora oggi il rimprovero più duro.
Perché «è un prepotente», si lagna uno dei più autorevoli suoi avversari odierni. E’ l’uomo che favorì e osannò i «capitani coraggiosi» e che tutt’oggi ritiene di essere stato nel giusto: educato all’idea che il potere non alberga nella stanza dei bottoni ma conquistato alla persuasione che fluttua a piazza Affari. E perciò convinto del fatto che sia lì che si annidano i suoi nemici. Quelli che «mi odiano», dice puntando l’indice contro tutti i potenti che non stanno dalla sua parte con l’accusa di voler distruggere lui e il suo partito.
Se non fosse che il primo che da quasi un decennio rincorre la trasformazione del suo partito è proprio lui: dalla Cosa 2 alla Casa riformista al tira e molla sul partito democratico. Di volta in volta giocando a elastico anche con i suoi migliori nemici della sinistra interna come della borghesia esterna. Del cui rancore ossessivo si nutre, ma solo per finire ad accorciare la catena che lo tiene prigioniero del complesso di «figlio d’un dio minore» escluso dall’Olimpo. Tanto che alla fine «quello là è come Trapattoni», è solito ripetere chi forse più a lungo di tutti ha combattuto di comune disaccordo con D’Alema: «Ha uno schema solo e applica sempre quello».
Messaggi
1. > Massimo D’Alema, ovvero l’odiato più amato di tutti, 8 gennaio 2006, 17:18
Tutto tragicamente vero.
Cosimo Rossi pero’ dimentica una cosa fondamentale, cioe’ che D’Alema ha sempre vinto le battaglie interne alla "sinistra" ma ha anche portato regolarmente alla sconfitta nelle battaglie "esterne".
Poco mi appassionano le questioni interne alla nomenklatura del vecchio Pci e ancora meno quelle dei DS.
Ma mi sembra innegabile che il povero Occhetto fu cacciato a furor di popolo per aver perso una elezione, quella del 1994, che chiunque avrebbe perso al suo posto.
In proporzione, D’Alema doveva essere fucilato sul posto !!!
Keoma
1. > Massimo D’Alema, ovvero l’odiato più amato di tutti, 9 gennaio 2006, 16:50
"Berlusconi ha creato un "partito-azienda", D’Alema e soci hanno trasfomato i DS in "azienda-partito" !! Sono partiti da poli opposti e si stanno incontrando a metà strada !!! Il problema per i DS è il loro peccato originale, che non è quello, come pensano molti, di essere ex-comunisti, ma bensì di pretendere di entrare con la loro "finanza rossa" nel salotto buono dei gruppi di comando. I cosidetti "poteri forti" ( Confindustria, Fiat, grandi gruppi assicurativo-bancari, finanza laico-massonica e finanza catto-vaticana ), che hanno in mano le chiavi del capitalismo, li considerano "parvenues" e non tollerano intrusi che possano turbare i vecchi equilibri . Se D’Alema vuol far parte di questo gioco, deve accontentarsi di entrare dalla porta di servizio e di rivestire un ruolo subalterno. Varcare quella soglia significa però non essere più "sinistra" e, ti puoi chiamare come vuoi, diventi una specie di surrogato del centrismo neo-borghese."
MaxVinella