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Memoria - Le fornaci ribelli di Valle Aurelia

Publie le sabato 17 dicembre 2005 par Open-Publishing

Le fornaci ribelli di Valle Aurelia

Donne e uomini resistenti, una comunità antifascista, una Roma operaia sconosciuta
ai più.

Storia della «Valle dell’Inferno» in un libro curato da Donatella
Panzieri

ALESSANDRO PORTELLI ww.ilmanifesto.it 16.12.05

Qualche giorno fa un convegno dell’Irsifar (l’istituto storico romano della
Resistenza), coordinato da Lidia Piccioni, ha reso conto di una serie di
ricerche sui quartieri romani durante l’occupazione tedesca nel 1943-44.
E dalle relazioni è emerso un dato significativo: la storia contemporanea
di Roma - le trasformazioni urbanistiche, sociali, politiche - si è fatta
soprattutto nelle periferie e nelle borgate, da Borgata Gordiani a Pietralata,
da Torpignattara a San Lorenzo. E da questa storia emerge il protagonismo
di una Roma non solo popolare e proletaria, ma anche, in senso stretto, operaia,
quasi sempre ignorata o sottovalutata nelle rappresentazioni di una città
impiegatizia e burocratica. A queste ricerche si aggiunge, con significative
analogie e differenze, il piccolo e denso libro curato da Donatella Panzieri
e prodotto dalla Provincia di Roma Valle dell’Inferno. Valle Aurelia antifascismo
e Resistenza. A differenza delle borgate inventate dal fascismo e dalle periferie
cresciute con le migrazioni, Valle Aurelia è un insediamento antico (documentato
dal 1500), a ridosso di San Pietro (leggenda vuole che l’etichetta di Valle
dell’Inferno gliel’abbia affibbiata un papa alla vista delle fornaci ardenti),
e compatto: Franco Ferrarotti la designò come borgata «atipica» perché i
suoi abitanti non dovevano andare fuori per lavorare, le fornaci erano lì.
Dove si è «fatta» materialmente la storia della capitale: quelle fornaci
hanno prodotto i mattoni e i laterizi con cui, per secoli, Roma si è costruita.

Sulla facciata della storica Casa del Popolo abbandonata una lapide ricorda
i cinque abitanti della Valle uccisi dai nazifascisti a Forte Bravetta e
alla Fosse Ardeatine. Da questi nomi parte la ricerca di Donatella Panzieri,
che intreccia con sensibilità e intelligenza la documentazione d’archivio
con le fonti orali e le fotografie. Come spesso accade nella memoria, prevale
nei racconti il senso della collettività solidale e compatta: «Nelle fornaci»,
ha raccontato il fornaciaro partigiano Giuseppe Mallozzi, «era la roccaforte
dei compagni, uno se dava latitante e quanno lo pigliavano? C’erano quelli
contrari, ma c’erano i compagni, uno se poteva nasconne’ pe’ tutta la vita...».
Come tutte le collettività che vivono strette gomito a gomito, i conflitti
in realtà erano endemici, ma si rinchiudevano nella cerchia della comunità:
«Erano come un paese», mi ha raccontato tempo fa una signora che abita nei
palazzi nuovi, «si conoscevano tutti, stavano aggruppati, non so come spiegare...».

Il libro rende accuratamente conto della crescita di una coscienza politica
diffusa all’interno di questa comunità solidale e indisciplinata: l’adesione
dei fornaciai già a fine 800 all'Unione Emancipatrice degli Operai dell'arte muraria, protagonista dello sciopero generale contro la guerra nel 1914 e dello sciopero degli edili del 1921; la tradizione anarchica e socialista rafforzata dall'arrivo nella Valle di fornaciai ed ex minatori di altre regioni italiane; l'adesione di molti fornaciai agli Arditi del Popolo; gli scontri armati con i fascisti della marcia su Roma («noi qui a Trionfale abbiamo preso de petto i carrarmati, le autoblinde qui a via Candia», ha raccontato Giuseppe Mallozzi; «ma eravamo sprovvisti de tutto»); la continuità dell'antifascismo durante il ventennio e la costruzione dell'identità collettiva proprio attorno a questo nucleo di principi e memorie. Sono storie di individui che mettono in rilievo come, all'interno di questo quadro socialmente condiviso, i tragitti personali fossero poi distinti e autonomi. La Valle Aurelia dei fornaciai non era una massa indistinta, ma un'aggregazione di soggetti coscienti che pensavano con la loro testa. Ai due estremi di questa narrazione si collocano le figure di Vittorio Mallozzi e Alberto Cozzi. Vittorio Mallozzi, medaglia d'oro della Resistenza, attraversa da protagonista la storia dell'antifascismo romano: già nel primo dopoguerra partecipa alle occupazioni delle terre presso Anzio; è attivo nell'antifascismo clandestino; partecipa alla guerra di Spagna, alla difesa di Madrid e alla battaglia di Guadalajara, diventa comandante di battaglione e, in un incidente stradale, riporta fratture che lo lasceranno claudicante per tutta la vita. Torna a Roma, è confinato a Ventotene da cui torna a fine agosto43; fra
i protagonisti dell’8 settembre, distribuisce le armi, organizza la Terza
Zona partigiana di Valle Aurelia e Trionfale; preso in una retata, viene
portato a via Tasso e fucilato con altri nove compagni a Forte Bravetta.
Vasco Pratolini, scrittore partigiano, scrisse: «Il compagno più caro, un
fornaciaro... un esule, un garibaldino, fu arrestato a dicembre... Ci aveva
tutti nelle mani, di ciascuno di noi conosceva vita e miracoli (debolezze
anche) e di molti abitazioni e rifugi... Ma nessun di noi pensò di cercarsi
un rifugio diverso... avrebbero potuto scorticarlo vivo [ma non avrebbe parlato]».

Alberto Cozzi - medaglia d’oro anche lui - è una figura meno famosa ma altrettanto
rappresentativa di una generazione di giovanissimi antifascisti che si forma
nell’ambito della Valle. E’ subito attivo dopo l’8 settembre: sabota camion
tedeschi, aiuta prigionieri alleati evasi a nascondersi, partecipa alle azioni
di una banda partigiana nel viterbese. Tradito da una spia, «subì una durissima
permanenza a via Tasso, fu picchiato e frustato, perché rivelasse nomi di
complici; tenne duro, progettò di evadere e poi rinunciò, timoroso di rappresagli
verso la sua famiglia». Condannato a 7 anni, fu ucciso alle Fosse Ardeatine
il 24 marzo 1944. Il giorno prima aveva compiuto 19 anni. Aveva in tasca
la foto di una ragazzina con cui si era scambiato vaghe promesse pochi mesi
prima.

Ma si dovrebbe parlare di molte altre figure che il libro ricostruisce con
affettuosa accuratezza - lo straordinario Gennaro Bezziccheri, camionista,
una vita di antifascista clandestino, sorvegliato, arrestato, confinato,
protagonista della Resistenza accanto a Mallozzi, poi nel dopoguerra anima
della sezione comunista e di tutte le lotte di Valle Aurelia; le donne, pantalonaie
provette, e poi alla testa degli assalti ai forni; Augusto Paroli, Andrea
Fantini e Andrea Casadei, uccisi a Forte Bravetta e alle Ardeatine; e ancora,
Alberto Di Giacomo, Filippo Bennani, Giulio Sacripanti, Augusto Mazzoni,
Giovan Battista Serapiglia, Ruggiero Galeotti, che testimoniano dell’intensità
del tessuto antifascista della Valle.

Valle Aurelia non finisce con la resistenza. Panzieri cita il racconto di
Felice Chilanti sulla grande manifestazione con cui i lavoratori romani salutarono
nel 48 il ritorno alla vita politica di Togliatti dopo l'attentato: i fornaciai che sfilano con le carriole colme di mattoni dietro il camion di Bezziccheri su cui hanno installato una vera e propria piccola fornace per far vedere come lavoravano; e - come ricorda sua figlia Rossana (i cui racconti sono una delle fonti principali del libro), sul camion c'erano anche «due donne con la macchina da cucire in funzione per rappresentare l'altra metà di Valle Aurelia -Valle dell'Inferno». Oggi, della Valle dell'Inferno restano poco più che rovine. Il territorio è stato «risanato», gli abitanti trasferiti in moderni palazzoni lì accanto. La sua solida e ribollente comunità non c'è più: è come se questo libro la ricomponesse idealmente, restituendone attraverso la memoria senso, passioni, orgoglio. La sera della presentazione del libro, nella sede della Provincia di Roma, un anziano abitante della Valle ha ricordato, e poi cantato, una canzone composta negli anni30 per glorificare la locale squadra di calcio, la Stella
(implicitamente rossa, immagino). I versi elencano la formazione; tra i giocatori
sono compresi almeno due nomi - Bezziccheri e Paroli - che rinviano alla
Resistenza e alle Fosse Ardeatine. Ecco, anche questo erano i partigiani:
gente normale, che giocava a pallone, che voleva bene a una ragazza, e che
non sopportava i fascisti.