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Migliaia in corteo: «un Mediterraneo senza guerre e neoliberismo»

Publie le domenica 19 giugno 2005 par Open-Publishing

di Beatrice Montini

«No alla guerra, no alle occupazioni», «Rivogliamo il nostro mare, un Mediteranno senza neoliberismo. Solidarietà fra i popoli»: queste le principali parole d’ordine del contenuto ma coloratissimo e ritmato corteo che ha concluso i tre giorni di seminari del primo Forum Sociale del Mediterraneo. Circa 5mila persone (più o meno il numero dei partecipanti al meeting altermondialista) hanno sfilato lungo un percorso circolare di un paio di chilometri iniziato e finito in piazza di Spagna, sede delle “Fira” dove si sono svolti i dibattiti. E’ stato questo l’unico momento in cui i delegati mediterranei si sono confrontati e incontrati con una Barcellona del tutto indifferente all’evento no global. Uno dei segnali che testimoniano contraddizioni e limiti di questo meeting. Ma non il solo.

Lunedì mattina, quando il Forum Sociale del Mediteraneo avrà ormai chiuso i battenti, si aprirà a Siviglia una due giorni “di dibattiti e mobilitazioni” contro le politiche della Comunita’ Europea in materia di migrazioni. L’evento e’ organizzato da Migreuop http://pajol.eu.org/rubrique42.html, una rete di associazioni (tra cui anche l’Arci), che da anni lotta in prima linea per la difesa dei diritti dei migranti nel Vecchio Continente. Il fatto che la riunione di Siviglia si svolga successivamente e lontano al forum di Barcellona (dove il protagonista e’ stato proprio quel Mediterraneo fortezza, quel Mediterraneo militarizzato, quel Mediterraneo che stenta a diventare un “mare di diritti”) è un altro degli indicatori che puntano il dito contro questo appuntamento catalano.

Che il Social Forum del Mediterraneo (che si conclude domenica con l’assemblea dei movimenti sociali) fosse una scommessa, un primissimo tentativo di mettere insieme e far dialogare reti e movimenti culturalmente e politicamente diversi, era stato chiaro fin dalla sua lunghissima gestazione (tre anni di riunioni e incontri internazionali). Adesso i nodi irrisolti sono diventati piu’ evidenti. Un esempio per tutti l’affollatissimo seminario dedicato al Saharawi piu’ volte interrotto per lo scontro fra il fronte Polisario e i delegati marocchini. Anche se, dall’altro lato, l’emergere di differenze e contraddizioni e’ stato l’elemento che ha vivacizzato questo Forum. Tanto che proprio i delegati del Saharawi (numerosissimi) sono stati quelli che più hanno riscaldato l’atmosfera della “Fira” con cortei e manifestizoni continue. «Qui a Barcellona abbiamo visto un Mediterraneo vivo - è il commento di Gianfranco Benzi della Cgil - Questo Forum, pur fra gap culturali, metodologiche e politiche, ha avviato un processo importantissimo che ha messo insieme palestinesi e israeliani, turchi e kurdi e ha dimostrato che il Mediterraneo non e’ una realta’ morta».

Passare all’offensiva

Quello che inizia ad essere messo in discussione è proprio la “formula “ del forum: «I Forum Sociali sono molto piu’ importanti di quello che si pensa perche’ contribuiscono alla presa di coscienza politica che esiste un’alternativa al neoliberismo dominante - ci dice l’economista egiziano Samir Amin - ma questi luoghi non avrebbero senso se non fossero accompagnati da una lotta quotidiana e localizzata». A Barcellona come a Porto Alegre la parola d’ordine è dunque “passare all’offensiva” e all’argomento è stato dedicato anche un seminario ad hoc. «I forum non possono essere solo un luogo dove associazioni e movimenti si incontrano e si confrontano - ha sottolineato durante il dibattito Christophe Aguiton, sindacalista di base e responsabile delle relazioni internazionali di Attac - ma anche un luogo per costruire campagne ed azioni pratiche di lotta». Mentre Amit Sengupta (tra gli organizzatori del Frum Mondialer e. di Mumbai) ha rimarcato l’importanza dell’esperienza indiana in cui è prepotentemente emersa la necessità di trasformare l’evento forum in un processo che investa tutta la società civile, dentro e fuori dalle aule dei seminari.

In questo i limiti del Forum del Mediterraneo sono stati piuttosto evidenti. Forse anche perchè i delegati per tre giorni sono rimasti racchiusi dentro le mura della “Fira” entrando scarsamente in contatto con la citta’. Un errore tattico in parte rimediato dal corteo che ha concluso la terza gionata di lavori ma che, non a caso, non ha neppure incrociato un’altra manifestazione che contemporaneamente si snodava per la città catalana (e con numeri ben superiori: almeno 10mila persone). Ossia quella in difesa dei matrimoni gay recentemente approvati dal parlamento spagnolo ma pesantemente messi sotto accusa dalla Conferenza Episcopale spagnola e dalle componenti più conservatrici della società civile.

Energia alternativa e libertà di stampa
Tornando dal contenitore ai contenuti, tra campagne lanciate da Barcellona (che verranno riassunte e “calendarizzate” nell’assemblea dei movimenti sociali così come avvenne all’ultimo Porto Alegre) da segnalare quella sul “Contratto mondiale dell’energia” lanciata da Legambiente, Punto Rosso. Lilliput, Arci , Banca Etica insieme ad associazioni inglesi e francesi. «Così come l’acqua anche l’energia deve essere considerata un bene comune - spiega Ciro Pesacane del Forum Ambientalista - per questo abbiamo creato una rete che ha l’obiettivo di “uscire dal fossile” (carbone e petrolio) e puntare sulle fonti rinnovabili perché solo in questo modo si esce anche dalla guerra».

Tra i seminari più interessanti della terza giornata del Forum (oltre a quelli sulla condizione delle donne in Palestina e quello sul popolo Saharawi) il dibattito sulla libertà di stampa nel Mediterraneo. A dirla lunga sulle condizioni del giornalismo indipendente in alcuni paesi del la sponda Sud, le non casuali assenze al dibattito: quella del relatore algerino Youcef Rezzoug a cui non è stato concesso il visto e quella della giornalista tunisina Sihem Benzedrine oggetto negli ultimi mesi di una durissima campagna di diffamazione e costretta a rifugiarsi in Germania. «Sono due le armi che il governo tunisino usa per far tacere i giornalisti scomodi - racconta Francesco Fiasco di Amisnet - le campagne diffamatorie e i tribunali. In tunisia chiunque entra in un internet point deve consegnare un documento d’identità che permette alle autorità di schedare e monitorare i navigatori del web. Recentemente tre ragazzi, tra i 18 e i 20 anni, sono stati condannati a 13 anni di carcere per aver navigato e visitato siti internet considerati terroristici».

http://www.unita.it/index.asp?SEZIO...