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Mikhail Gorbaciof:Ma in Iraq non ha vinto la democrazia
Publie le venerdì 11 febbraio 2005 par Open-PublishingMa in Iraq non ha vinto la democrazia
di Mikhail Gorbaciov
La Stampa, 7 febbraio 2005
Non conosco elezioni valide che si siano tenute in condizioni di guerra o di occupazione militare. E’ esattamente in queste condizioni che si sono svolte le elezioni irachene e considerarle valide (o addirittura un trionfo della democrazia) è offesa alla democrazia e cosa priva di senso comune. Ciò contraddice tra l’altro tutta la consolidata consuetudine internazionale, che prevede la presenza sul campo di un numero adeguato di osservatori imparziali esterni.
Noi sappiamo che osservatori esterni imparziali non erano presenti in nessuna delle zone del Paese: né l’Onu, né l’Osce, né l’Unione Europea, avevano inviato osservatori per l’assenza delle condizioni minime di sicurezza. E già questo rappresenta un dato inconfutabile.
Abbiamo visto immagini di lunghe file di votanti in diverse zone del Paese, ma abbiamo avuto scarsa o nulla informazione da altre zone, dove invece hanno votato pochi o pochissimi. Le stesse cifre circolate abbondantemente sulla stampa e sui media occidentali sono state assunte come buone senza la minima verifica. Eppure si trattava di stime molto approssimative, contraddittorie, molto variabili, e che ancora allo stato attuale, diversi giorni dopo il voto, nessuno è in grado di controllare.
La raccolta delle schede, la loro custodia, la conta dei voti assegnati ai partiti sono interamente nelle mani di una commissione elettorale che si è autodefinita «indipendente» ma che tutti sanno essere espressione esclusiva del governo in carica e che è stata composta sotto la supervisione del comando militare statunitense. Comunque la si voglia considerare, non si tratta, con ogni evidenza, di un organismo imparziale.
Un alto numero di persone - molte sfidando la paura - hanno votato. E’ un dato positivo che non va in nessun modo sottovalutato senza offendere la loro buona fede e la loro volontà di contare e di contarsi. Ma è altrettanto vero che una parte importante degli iracheni (in pratica la grande maggioranza della popolazione sunnita) ha boicottato il voto. In un Paese multietnico come l’Iraq ciò avrà inevitabilmente gravi ripercussioni sia sulla pace interna, sia sulla stessa unitarietà dello Stato iracheno. Senza unità nazionale non è possibile tenere elezioni valide poiché, in tali condizioni, nemmeno una eventuale maggioranza numerica può rappresentare bene una soluzione democratica.
L’avere imposto queste elezioni, ben sapendo che esse avrebbero approfondito i solchi che dividono i curdi dai sunniti e questi ultimi dagli sciiti, è stato un grave errore, o una deliberata volontà di produrre disgregazione. Le conseguenze possono essere tragiche. Washington, Londra e Roma esultano per la vittoria, che è indubbiamente una loro vittoria, ma non lo è necessariamente del popolo iracheno. In primo luogo perché non è una vittoria di tutto il popolo iracheno ma di una sua parte. E anche la parte vincente non sa se potrà realizzare la propria vittoria.
Sia la maggioranza relativa sciita che la minoranza curda - entrambe hanno spinto al voto i loro membri e hanno raccolto vasto risultato - vorranno ora essere ripagate e molti segnali dicono che si cerca già di defraudarle della vittoria, a vantaggio di uno schieramento «laico» che è fatto apposta per tenere lontani gli sciiti dal potere. Le conseguenze sono prevedibili: la guerriglia e il terrorismo non diminuiranno.
E non va dimenticato che i milioni di sciiti e di curdi sono andati al voto chiedendo al contempo di poter fare da soli, cioè come premessa per l’allontanamento delle truppe straniere. Ma George Bush ha già detto che intende restare, e a lungo: oggi ancor più di prima poiché si culla nell’illusione della vittoria. Così tenendo accesa la miccia principale nella polveriera irachena.
Questo voto, con tutta la sua forza e ambiguità non cancella affatto l’illegalità della guerra irachena condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna. Le menzogne che prepararono la loro aggressione non sono divenute magicamente delle verità il 30 gennaio. Esse sono la prova, al contrario, che non c’erano intenzioni filantropiche o pedagogiche in quella guerra. Passata l’euforia sarà dunque utile e saggio tornare ai principi che furono violati. Si convochi d’urgenza il Consiglio di Sicurezza e si costruisca un’ipotesi di transizione che comprenda date certe per il ritiro dei contingenti militari dei Paesi aggressori, e che preveda la loro sostituzione con una forza multinazionale sotto egida Onu. Si affidi all’Onu il compito di contribuire alla ritessitura dell’unità nazionale tra le componenti del Paese, in modo tale che i sunniti siano adeguatamente rappresentati nell’assemblea costituente.
Chi proclama oggi il suo entusiasmo per l’Iraq democratico che si è palesato il 30 gennaio, non si contraddica affermando che deve ancora essere tenuto sotto tutela.
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=668




