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Miriam Makeba, morta nella Soweto d’Italia
Publie le domenica 16 novembre 2008 par Open-Publishing1 commento
Cosa e’ il blues?, si chiede lo scrittore afroamericano Ralph Ellison. Il blues e’ quello che i neri hanno al posto della liberta’. Mama Africa e’ stata cio’ che per molti anni i sudafricani hanno avuto al posto della liberta’: e’ stata la loro voce. Nel 1963 ha portato la propria testimonianza al comitato contro l’apartheid delle Nazioni Unite. Come risposta il governo sudafricano ha messo al bando i suoi dischi e ha condannato Miriam all’esilio. Trent’anni d’esilio.
Da quel momento la sua biografia si e’ fatta testimonianza di impegno politico e sociale, una vita itinerante, come la sua musica vietata.
Nelle perquisizioni ai militanti del partito di Nelson Mandela vengono sequestrati i suoi dischi, considerati "prova" della loro attivita’ sovversiva. Bastava possedere la sua voce per essere fermati dalla polizia bianca sudafricana. Ma la potenza delle sue note le conferisce cittadinanza universale fa divenire il sudafrica terra di tutti. E soprattutto l’inferno dell’apartheid un inferno che riguarda tutti. Negli anni Sessanta, approdata negli Stati Uniti, Miriam Makeba si innamora di Stokley Carmichael, leader delle Pantere Nere e i discografici in America le cancellano i contratti, perche’ Mama Africa non combatte con i mezzi della militanza politica ma con la voce. E questo fa paura. Lei arriva alla gente attraverso la sua musica, attraverso successi mondiali come Pata Pata che tutti ballano, che piacciono a tutti, con una forza dirompente e vitale che il governo dell’apartheid come i razzisti di tutto il mondo non sanno come arginare o combattere.
Cosi’, a 76 anni, e’ venuta a cantare persino in un posto che sembra dimenticato da dio, dove persone solerti hanno organizzato un concerto per portare un po’ di dignita’ a una terra in ginocchio. E l’altra sera mi hanno chiamato di notte. Checco che aveva seguito l’organizzazione del concerto, mi ha detto che Miriam Makeba non si sentiva bene, "ma la signora vuole cantare lo stesso, vuole il tuo libro nell’edizione americana nel camerino, Robbe’, e’ tosta!". Quando mi avevano detto che Miriam Makeba aveva accettato di cantare a Castel Volturno nel concerto in mia vicinanza che chiudeva gli "Stati generali della scuola del Sud", al primo momento stentavo a crederci. Invece lei che per anni aveva lottato e aveva viaggiato cantando per tutta l’Africa e il resto del mondo, voleva venire anche in questo angolo sperduto dove quasi due mesi prima c’era stata una strage di sette africani. Che’ per lei erano africani, non ghanesi, ivoriani o del Togo.
In questa idea panafricana che fu di Lumumba e che mai come oggi sembra per sempre purtroppo sepolta. Mama Africa si e’ esibita a pochi metri da dove hanno ammazzato l’imprenditore Domenico Novello, un morto innocente, nativo di queste terre, che invece e’ morto solo, senza partecipazione collettiva, rivolta, fratellanza. La morte di Miriam Makeba, venuta a portarmi la sua solidarieta’ e testimoniarla alla comunita’ africana ed italiana che resiste al potere dei clan, e’ stato per me un enorme dolore. Enorme come lo stupore con cui ho accolto la dimostrazione di passione e forza di una terra lontana come quella sudafricana che gia’ nei mesi passati mi aveva espresso la sua vicinanza attraverso l’arcivescovo Desmond Tutu. Invece, grazie alla loro storia, persone come Tutu o come Miriam Makeba sanno meglio di altri che e’ attraverso gli sguardi del mondo che e’ possibile risolvere le contraddizioni, attraverso l’attenzione e l’adesione, il sentirsi chiamati in causa anche per accadimenti molto lontani. E non con l’isolamento, con la noncuranza, con l’ignoranza reciproca.
Il Sudafrica vive una pressione dei cartelli criminali enorme, ma i suoi intellettuali e artisti continuano ad essere attenti, vitali e combattivi. Desmond Tutu stesso defini’ il Sudafrica "rainbow nation", nazione arcobaleno, lanciando il sogno di una terra molto piu’ varia e ricca e colorata di un semplice ribaltamento di potere fra il bianco e il nero.
Miriam Makeba era e rimane la voce di quel sogno. Se c’e’ un conforto nella sua tragedia si puo’ dire che non e’ morta lontano. Ma e’ morta vicina, vicina alla sua gente, tra gli africani della diaspora arrivati qui a migliaia e che hanno reso propri questi luoghi, lavorandoci, vivendoci, dormendo insieme, sopravvivendo nelle case abbandonate nel Villaggio Coppola, costruendoci dentro una loro realta’ che viene chiamata Soweto d’Italia. E’ morta mentre cercava di abbattere un’altra township col mero suono potente della sua voce. Miriam Makeba e’ morta in Africa. Non l’Africa geografica ma quella trasportata qui dalla sua gente, che si e’ mescolata a questa terra a cui pochi mesi fa ha insegnato la rabbia della dignita’. E, spero pure, la rabbia della fratellanza.
testo ripreso da Masada n. 824
Messaggi
1. Miriam Makeba, morta nella Soweto d’Italia, 17 novembre 2008, 16:16
Modena - Il ricordo e il cordoglio per la scomparsa di Miriam Makeba della Rsu Fiom-Cgil, Cnh Italia.
Miriam Makeba aveva 76 anni.
E’ stata il primo grande simbolo del riscatto africano.
Ha portato la musica del continente nero in tutto il mondo.
Una vita, la sua, da grande artista di livello internazionale, ma spesa soprattutto per lottare contro il razzismo, contro l’Apartheid e per i diritti dei neri e delle popolazioni più povere. Scelte di vita che le sono costate pesanti discriminazioni, esilio, lutti familiari.
Miriam Makeba era quindi una donna non solo brava, ma anche coraggiosa.
Andava dovunque ci fosse bisogno di concentrare attenzione e impegno contro la violenza, la sopraffazione, la discriminazione.
Domenica 9 novembre 2008, nonostante le sue condizioni di salute non glie lo permettessero, ha voluto lo stesso essere presente alla manifestazione di Castel Volturno per testimoniare il suo sostegno e la sua solidarietà a Roberto Saviano e a tutti coloro che in quei luoghi lottano contro l’oppressione della camorra.
E’ riuscita ancora una volta a cantare, ma poi, purtroppo, ha pagato con la vita questo suo ultimo atto di generosità.
Miriam Makeba è venuta a morire qui da noi (in casa nostra, direbbe qualcuno).
Ha sfidato le minacce della camorra, che ha tentato fino all’ultimo di impedire lo svolgimento di quella manifestazione.
Lei, una donna nera, ha sfidato le sue condizioni di salute per venire a morire in Italia, in una terra dove spesso i neri immigrati sono tuttora oggetto di sfruttamento sul lavoro e di discriminazioni razziste.
E’ venuta ad offrire il suo impegno e la sua solidarietà al nostro Paese, dove tante persone in condizioni ben più agiate non hanno nemmeno il coraggio di affermare e difendere i loro diritti sul lavoro e dove tanti, barricati nelle paure alimentate dai loro stessi angusti interessi individuali, pensano soltanto a sè stessi, credendo così di salvarsi dalle insidie del mondo.
"Non vogliamo più l’elemosina. Vogliamo aiuti per poterci tirare su, rimetterci in piedi e provare a camminare da soli" (Miriam Makeba).
RSU FIOM-CGIL CNH ITALIA - Modena
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