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Morire di Balcani

Publie le venerdì 11 novembre 2005 par Open-Publishing

Da aprileonline
24 anni, caporale: è l’ultima vittima dell’uranio usato nelle guerre in Bosnia e Kosovo. Ma sono 40 i giovani italiani morti della stessa malattia. E 300 gli ammalati
Morire di Balcani

La diagnosi clinica è quella di “morbo di Hodgkin”, ma la definizione politica è “sindrome dei Balcani”. Per la famiglia, invece, è l’amara esperienza di una morte difficile da elaborare. Fabio Senatore, appena ventiquattrenne, è morto lunedì all’ospedale di Pavia, dove si era recato nella speranza che un altro trapianto ostacolasse la malattia neoplastica che lo aveva colpito al sistema linfatico nel 2004. Originario di Napoli, il giovane caporale era stato inviato per ben tre volte in missione di pace in Bosnia e in Kosovo, l’ultima delle quali proprio un anno fa.

Del suo stesso reparto erano Luca Sepe e Antonino Milano, anche loro napoletani in missione nei Balcani, anche loro deceduti per lo stesso tumore al sistema linfatico nel 2002 e nel 2004.

C’è dunque un filo neppure sottile che unisce le morti di questi giovani soldati italiani e che ha il suo luogo di approdo nelle zone di ex conflitto in cui le for ze internazionali, fra cui anche quella italiana, hanno operato. Il Kuwait (la prima Guerra del Golfo del 1991), la Somalia (missione di pace Restore Hope nel 1993), la Bosnia e il Kosovo (1999) sono i teatri di guerra e di peacekeeping dove sono stati usati proiettili all’uranio impoverito.

In Italia sarebbero almeno 300 i militari ammalatisi in seguito all’esposizione a questo materiale cancerogeno, e ben 40 quelli morti.

Il Depleted uranium (isotopo 235), presente nelle munizioni, in seguito all’impatto con il bersaglio, è capace di provocare una combustione a temperature elevatissime, dai 3.000 ai 5.000 gradi centigradi, che produce un pulviscolo di nanogoccioline, le quali permangono nell’aria con un elevato rischio per l’ambiente e soprattutto per l’uomo. L’inalazione diretta o l’assorbimento attraverso alimenti coltivati in zone contagiate dall’uranio può essere considerato con alta probabilità causa di neoplasie maligne (leucemie, linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin, tumori a lla tiroide), oltre che di aborti o malformazioni.

Soltanto nell’agosto del 1994 la Nato dichiara di aver utilizzato il Depleted uranium, che veniva scaricato soprattutto sotto forma di proiettili dagli aerei A-10 con l’intento di annullare qualsiasi possibilità di salvezza del nemico. E’ per questo che l’uranio impoverito viene bandito dall’Onu nel 1996, anche se solo formalmente vista la sua persistente utilizzazione nelle guerre in Iraq e Afghanistan.

Sono tre le commissioni scientifiche incaricate di indagare sul legame fra neoplasie e uso militare dell’uranio impoverito, mentre è in corso una commissione d’inchiesta in Senato. E’ il dicembre del 2000 quando scoppia il "caso Balcani". Alcuni soldati di rientro dalla missione nella ex Jugoslavia si ammalano di leucemia. Il 4 gennaio 2001 il ministro della Difesa del governo Amato, Sergio Mattarella, istituisce una Commissione presieduta dal professor Franco Mandelli, con il compito di accertare tutti gli aspetti medico-scientifici relativi ai casi tumorali emersi nel personale militare impiegato in Bosnia e Kosovo.

I risultati della ricerca però escludono l’esistenza di un nesso evidente fra uranio e tumori. Le conclusioni del team dell’illustre ematologo diventano subito oggetto di polemica non solo da parte delle famiglie coinvolte nella vicenda, ma anche di Falco Accame, presidente dell’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate (Anavafaf), il quale imputa alle relazioni della Commissione una certa incompletezza e contraddittorietà.

Ad oggi i risultati della Commissione presieduta da Mandelli rimangono comunque il riferimento ufficiale della politica per quel che riguarda il caso in questione.

Eppure sono in molti a dubitare della loro attendibilità e a continuare la battaglia per la verità sul ruolo giocato dall’isotopo 235 nella generazione di malattie. Per esempio, il maresciallo Domenico Leggiero, referente dell’Osservatorio militare per la tutela del personale civ ile e militare, da anni denuncia il silenzio sui decessi e le malattie dei soldati italiani e dei loro figli. Mentre lo stesso Accame ha richiesto l’apertura di una inchiesta anche sui civili: molti sarebbero i volontari delle Ong che, avendo operato in realtà coinvolte nel bombardamento radioattivo, potrebbero essere esposti all’insorgenza di forme cancerogene.

Proprio alla luce di questa emergenza il governo italiano nel 2001 assume un impegno ufficiale relativo alla bonifica e al monitoraggio dei territori balcanici bombardati dalla Nato: il 21 marzo il Parlamento approva la legge 84/2001 che istituisce all’articolo 8 un fondo (6,6 miliardi di vecchie lire) per il monitoraggio ambientale, affidandolo al ministero dell’Ambiente e degli Esteri.

In più nel maggio del 2002 viene approvato un accordo fra governo e regioni per tentare uno screening delle vittime militari e civili dell’uranio impoverito.

I risultati conseguiti dal primo provvedimento sono però ancora sconosciuti, men tre per quel che riguarda il progetto di screening sanitario si può solo ricordare l’interpellanza che nel 2004 ha presentato il deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli, il quale ha chiesto ai ministri della Salute (allora Girolamo Sirchia) e della Difesa (Antonio Martino): “Come mai è ancora in alto mare il monitoraggio sanitario del personale civile e militare che ha partecipato alla missione balcanica?”.

[Marzia Bonacci]