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Morto Carlo Caracciolo, editore di “Espresso” e “Repubblica”

Publie le martedì 16 dicembre 2008 par Open-Publishing

Morto Carlo Caracciolo, editore di “Espresso” e “Repubblica”

di Furio De Felice

ROMA – Era malato da tempo ma la sua condizione, come racconta il suo antico amico Eugenio Scalfari, la viveva come un qualcosa di estraneo, su cui scherzare. Ad 83 anni è scomparso uno dei più importanti editori italiani, Carlo Caracciolo.

Era nato il 23 ottobre 1925 a Firenze, figlio di Filippo, principe di Castagneto e Duca di Melito e di Margaret Clarke, cognato di Gianni Agnelli (sua sorella Marella ne era la moglie). Nonostante la sua appartenenza ad una delle famiglie più in vista, che aveva fra i suoi avi un paio di papi oltre ad innumerevoli potenti, Carlo aveva ereditato dal padre Filippo una profonda cultura antifascista. Durante l’occupazione nazi-fascista, il padre aveva ospitato a casa Giorgio La Malfa, fondatore del Partito d’Azione, presentandolo come un insegnante di ginnastica.

Questa sorta di “imprinting” lo distinse per tutta la vita, perché Carlo Caracciolo diresse i suoi interessi principalmente verso l’editoria, creando un gruppo (“L’Espresso-Repubblica”) caratterizzato da un’ispirazione laica, che possiamo dire contigua alle linee essenziali dell’azionismo, per questo attenta alle evoluzioni della sinistra non comunista italiana.

Nel 1957 subentrò ad Adriano Olivetti come editore de “L’Espresso”, insieme ad Eugenio Scalfari e al grande direttore Arrigo Benedetti. Il settimanale romano di Via Po è molto innovativo per la stampa italiana. Si occupa di politica, fa grandi inchieste, fonda molta della sua forza comunicativa sulle immagini e sull’apporto di grandi fotografi. D’altronde, Benedetti aveva porta la sua esperienza direttamente da “L’Europeo”, fondato nel 1945, che si caratterizzava appunto per una dimensione comunicativa molto vicina a fogli quali l’americano “Life”, attento ad un’informazione moderna e non compassata o come il mondadoriano “Epoca”, pubblicato a partire dal 1950. Ma, rispetto a queste riviste, “L’Espresso” era un settimanale di battaglia, più schierato ideologicamente, contro i grandi gruppi di potere legati al Ministero delle Partecipazioni statali, contro la “razza padrona” dei Cefis e dei democristiani d’assalto.

In un panorama giornalistico come quello degli anni Cinquanta, molto desolante, L’Espresso fu una sorta di schizzo impudente e rigoroso al tempo stesso, capace di far emergere quella borghesia intellettuale romana che la sera si riuniva a Via Veneto, ascoltando gli aforismi di Ennio Flaiano e creando quel “milieu” novecentesco poi immortalato dal Fellini de “La dolce vita”.

Il sodalizio anche umano con Eugenio Scalfari (un ex dirigente bancario licenziato per i suoi articoli pubblicati dal Mondo sulla Federconsorzi) iniziò proprio da lì. Anche Scalfari incarnava una linea politica che derivava il suo vigore proprio dall’azionismo, incentrata su un rigorismo economico lamalfiano, unito ad una diffidenza non certo celata verso il regime sovietico, ancorché attenta all’evoluzione del comunismo italiano. L’approdo non poteva che essere un quotidiano, che fu creato nel 1975, con Scalfari direttore e che divenne ben presto il primo quotidiano per diffusione e penetrazione in tutto il territorio italiano. “La Repubblica” fu senza dubbio un caso eclatante nel panorama della stampa italiana, perché si impose in pochissimo tempo come un giornale per i giovani, progressista, attento ai conflitti sociali ma durissimo nei confronti delle frange estremiste e del terrorismo rosso e nero. Insomma, il vero antagonista del “Corriere”, fino a quel momento in netta primazia per numero di copie vendute.

Il conflitto con Berlusconi nella vicenda mondadoriana, acuì in Caracciolo i suoi tratti, per dir così, di acerrimo oppositore degli editori “spuri”, attenti esclusivamente a concentrare sul mondo dell’informazione i loro interessi economici. Di fronte all’attuale Capo del governo, che lo aveva invitato a pranzo per comunicargli di essere il vincitore nella disputa per il controllo della Mondadori, il principe sfoderò tutta la sua grinta, gridando improperi al Cavaliere e al fido Confalonieri, rimasti impassibili, per poi chiedere: "Ma quando si pranza?".

Il principe fu anche in questo un innovatore, almeno in Italia, perché volle essere prima di tutto un editore, schierato come principi e aperto alle innovazioni in un Paese, come l’Italia, troppo spesso solcato da “free riders” e capitani delle compagnie di ventura.