Home > NO AL PREMIER ISRAELIANO IN ITALIA 27 LUGLIO ROMA
NO AL PREMIER ISRAELIANO IN ITALIA 27 LUGLIO ROMA
Publie le mercoledì 19 luglio 2006 par Open-Publishing1 commento
PRESIDIO DI PROTESTA CONTRO LA VISITA DI OLMERT
GIOVEDI’ 27 LUGLIO DALLE ORE 9.30 A PIAZZA COLONNA - ROMA
Il prossimo 27 luglio è annunciata la visita in Italia del premier
israeliano Ehud Olmert, che incontrerà il Presidente del Consiglio Romano
Prodi. A fronte di quello che sta avvenendo nella Palestina occupata ed in
tutto il Medio Oriente, riteniamo doveroso protestare non solo contro la
presenza di Olmert nel nostro Paese, ma anche contro la complicità delle
istituzioni italiane nazionali e locali - con il governo di Tel Aviv.
La crisi attuale non è generata come in molti vorrebbero farci credere da
episodi quali la cattura, da parte della resistenza palestinese e
libanese, di alcuni soldati israeliani. Giova ricordare che, da molto
prima della cattura in combattimento del soldato israeliano Ghilat, la
striscia di Gaza era vittima delle continue incursioni israeliane dal
cielo, da terra e dal mare, aggressioni culminate nell’eccidio della
spiaggia di Soudanya, dove un’intera famiglia che si era presa una
giornata di vacanza è stata sterminata da un bombardamento navale
israeliano.
Giova ricordare che il ritiro israeliano da Gaza si è rivelato un bluff,
perché l’intera striscia è rimasta sottoposta al controllo israeliano dei
confini e non sono mai cessati gli attacchi contro i combattenti
palestinesi e la popolazione civile. Giova ricordare che per la “colpa” di
aver eletto democraticamente un governo sgradito a Tel Aviv la popolazione
palestinese è sottoposta da mesi ad un durissimo embargo internazionale,
che colpisce e affama uomini, donne, vecchi e bambini già ridotti allo
stremo da decenni di occupazione coloniale sionista, embargo cui partecipa
colpevolmente anche il governo italiano. Giova ricordare, infine, che gli
Israeliani continuano nella costruzione del Muro dell’Apartheid nella
Cisgiordania occupata, trasformando ogni città ed ogni villaggio
palestinesi in una prigione a cielo aperto, mentre oltre 10.000
Palestinesi, fra cui centinaia di donne e bambini, sono rinchiusi e
torturati nelle carceri israeliane.
In flagrante violazione del Diritto Internazionale e di centinaia di
Risoluzioni dell’ONU, Israele unica potenza nucleare del Medio Oriente -
occupa da decenni territori palestinesi, libanesi e siriani, senza avere
per questo mai subito alcuna sanzione da parte della comunità
internazionale. L’attuale escalation è figlia di questa situazione e della
volontà israeliana di annientare il popolo palestinese ed eliminare la
resistenza dei popoli vicini, con la complicità degli USA e della maggior
parte dei governi europei.
Facciamo appello ai movimenti contro la guerra, al mondo della solidarietà
ed a tutti i democratici affinché in Italia si sviluppino iniziative di
protesta in occasione della visita di Ehud Olmert, individuando come
obiettivi delle iniziative sia i partiti di governo, a cominciare da
quello i DS che esprime l’attuale Ministro degli Esteri, sia le
istituzioni locali che, mentre ignorano le sofferenze dei Palestinesi,
finanziano Israele, come la Regione Lazio, che ha appena stanziato 500.000
Euro per la ricerca in Israele e 300.000 Euro per la sanità israeliana,
mentre qui vengono tagliati prestazioni e posti letto.
Il Forum Palestina
Info e adesioni a forumpalestina@libero.it
Forum Verso La Sinistra Europea - Sezione Ligure
http://versose.altervista.org/
Coordinamento Genovese contro l’Alta Velocità
http://notavgenova.altervista.org/
Messaggi
1. > NO AL PREMIER ISRAELIANO IN ITALIA 27 LUGLIO ROMA, 19 luglio 2006, 08:10
Una rapida riflessione sulla guerra in Medio Oriente
La "nuova" ondata guerrafondaia scatenatasi in Medio Oriente non offre
alternative alla previsione di un allargamento del conflitto in tutta
l’area geografica.
Benché i media italiani facciano a gara nel trovare le più ampie parole di
sostegno alla politica di Israele, intonando la solita litania sul diritto
dello Stato ebraico di "difendersi" - le responsabilità dell’attuale
situazione non possono che ritrovarsi, da un lato, proprio all’intero di
Israele e, dall’altro, nella politica (o nella sua assenza) europea.
L’escalation militare degli ultimi giorni, con ogni evidenza, non ha nulla
a che vedere con la volontà di liberare i soldati israeliani fatti
prigionieri da Hezbollah.
Al contrario essa, preparata da tempo, ha uno scopo immediato relativo alla
necessità militare di non lasciare Gaza quale centro di possibile
formazione di sacche di resistenza per la popolazione palestinese; altro
scopo, di più lungo periodo, E’ quello di continuare a lavorare per lo
sfaldamento dei governi arabi della regione e per la loro sostituzione con
esecutivi asserviti alle direttive israeliane ed americane (dopo gli
accordi stesi negli anni passati con Giordania ed Egitto e sempre che le
ultime vicende non li facciano saltare).
La posta in gioco, in ogni caso, E’ l’allargamento della influenza
dell’Impero sul Mediterraneo, da un lato, e verso l’Asia, dall’altro. In
questo sentire (sia detto per inciso ed a memoria dei parlamentari che
decidono di votare il decreto di finanziamento delle missioni italiane
all’estero) scollegare quanto accade in Palestina, Libano ed Israele con il
fronte iracheno e quello afgano risulta essere tanto ingenuo da apparire
frutto di una lettura criminale.
E’ stato giustamente affermato che il rapimento dei soldati israeliani da
parte del "Partito di Dio" e l’offensiva di Hezbollah costituisce l’unico
elemento di reale sostegno alla causa palestinese ed alla resistenza degli
abitanti di Gaza.
E’ una semplice constatazione, ma sono in pochi a rilevarla!
Rispetto a ciò bisogna però chiedersi quale sia stato e quale sia il ruolo
dell’Europa all’interno della politica mediorientale. L’assenza di una
azione coordinata, oggi, da parte dell’UE non E’ soltanto (anche se ne va
riconosciuto il peso) il frutto dell’immobilismo dovuto al persistere di
politiche estere gestite a livello nazionale dagli stati membri. Non solo
di incapacità si tratta.
La scelta europea di oggi viene certo da lontano, ma possiamo darne una
lettura compiuta anche guardando semplicemente alla posizione assunta
all’indomani delle elezioni politiche palestinesi: l’isolamento di Gaza e
Cisgiordania ed il blocco dei fondi che, dagli anni ’90, sono serviti a
costruire parte rilevante del welfare palestinese E’, infatti, parte di un
progetto da tempo sostenuto in casa israeliana che mira a disorganizzare la
resistenza palestinese in funzione dell’esplosione di una vera e propria
guerra civile all’interno della società che (forse più di qualunque altra)
si E’ sempre contraddistinta per la capacità di avere nella politica di
liberazione dall’occupazione la propria bussola ed il proprio primario
riferimento.
Perché Israele abbia deciso di attaccare (in forze) Gaza solo allorquando
le leaderschip di Hamas e di Fatah stavano per trovare un parziale accordo
sul documento dei prigionieri politici palestinesi E’ dunque presto detto:
con un accordo del genere alle porte (che prevede, tra l’altro, la
formazione di una entità statale autonoma palestinese entro i confini del
1967) il progetto isolazionista e destrutturante di Israele veniva a
perdere pezzi, Gaza non poteva più essere vista quale motore di un
conflitto interno tra Palestinesi ma, al contrario, quale luogo capace di
fare crescere la potenza sociale e militare della resistenza.
Con la Striscia di Gaza "libera" dall’occupazione i Palestinesi avrebbero
avuto la possibilità di intessere scambi e relazioni tanto attraverso la
terra ferma (Egitto) quanto attraverso il mare (Mediterraneo). E Gaza E’
fondamentale per il controllo della Cisgiordania da parte di Israele.
Peraltro, la vicenda del documento dei prigionieri politici E’ rilevante
anche sotto altro aspetto: l’essere stato promosso e fortemente voluto da
M. Barghouti, che sconta diversi ergastoli nelle carceri israeliani,
conferma che l’unica seria via d’uscita e soluzione politica alla questione
palestinese può essere approntata solo attraverso il coinvolgimento di
quella nuova generazione di leader politici nati e cresciuti in
Cisgiordania. E che questi vanno liberati!
Nel corso degli ultimi quindici anni, come emerge dalla visione di una
qualsiasi carta geografica, la colonizzazione (espropri di terre,
requisizioni, utilizzo della legge sull’assenza, acquisto di nuovi terreni
spesso ad uso militare o agricolo) ha messo in chiaro la volontà israeliana
di procedere alla definitiva frammentazione del territorio della
Cisgiordania, di fatto distinguendolo in tre zone separate tra loro e con
il resto del mondo, se non con lo Stato di Israele. Di fatto, quindi, oggi
ci si ritrova con una Cisgiordania del Nord, una del centro ed una del Sud,
tutte enclaves dello stato ebraico. Ad esse si affianca la Striscia di
Gaza. Quattro aree disomogenee e discontinue cui comunque non poteva
assicurarsi uno sbocco al mare e la possibilità di confini gestiti
autonomamente.
La stasi europea non E’, allora, da considerarsi come neutra assenza di
presa politica, ma quale cosciente partecipazione al conflitto in corso,
attraverso il proprio consenso al facile dispiegarsi della politica
israeliana.
Come spiegare differentemente la scelta di sospendere qualsiasi
finanziamento, finanche in generi alimentari, alla Palestina?
Non si può certo sostenere che quella scelta fu fatta per ragioni "etiche",
in quanto in Palestina era stato eletto un governo reazionario! Ne ci si
può trincerare dietro la finta stupidità dell’Ue: l’Unione Europea E’, a
tutti gli effetti, corresponsabile delle stragi oggi in corso avallando ed
avendo avallato la politica israeliana dietro la foglia di fico della
guerra al terrorismo.
Che a questo seguisse una più ampia collaborazione tra forze politiche a
forte caratterizzazione religiosa (pur differenti: Hamas, di ispirazione
sannita, Hezbollah di ispirazione sciita e tradizionalmente vicina
all’Iran) era fatto immediatamente consequenziale.
L’apertura del fronte libanese da parte del "Partito di Dio" ha l’evidente
scopo di richiamare l’attenzione sugli altri nodi irrisolti dell’area, di
dirottare una parte dell’esercito israeliano su quel fronte e di creare una
crisi politica nazionale ed internazionale. D’altro lato il partito degli
Hezbollah con il blitz dell’altro giorno ha inteso anche rispondere al
piano di arrivare ad un disarmo della resistenza libanese senza alcun
ritiro israeliano né dalla Palestina, né dal Golan, né dalle fattorie di
Sheba alle pendici del Golan.
Dinanzi al fattivo immobilismo europeo, alla spudorataggine dello Stato di
Israele, all’inutile tregua unilaterale portata avanti da Hamas per 17 mesi
(durante i quali si sono moltiplicati gli omicidi di Palestinesi) non può
apparire velleitario il tentativo di riportare in campo tutte le questioni
insolute dell’area.
Soprattutto questo non può sbalordire con gli scenari che, già da tempo, si
sono andati profilando relativamente all’Iran ed alla Siria.
Se questo E’ il quadro (minimo e sommario) che si sta sviluppando appare
allora sintomatico che le forze del centrosinistra italiano tentennino o,
addirittura, facciano a gara per accreditarsi agli occhi di Israele quali
leali collaboratori e non disturbatori delle aggressioni in atto.
Queste forze sono completamente in balia della retorica fondamentalista
della guerra al terrore e non vogliono rendersi conto che le vere, continue
e pressanti forme di terrorismo vengono praticate proprio da Israele.
Se oggi, ancora una volta, si può metaforicamente indicare negli Stati
Uniti il centro dell’Impero e nel Medio Oriente il centro della guerra
globale permanente non potremmo stupirci se domani quel centro di guerra si
allargherà a dismisura: la pratica di guerra E’ cercata e insistentemente
voluta, anche da chi fa finta che stare in certa misura equidistanti possa
avere benefici effetti diplomatici.
In questo contesto vanno lette anche le dichiarazioni ultime che vengono
dal G8: la proposta di una forza internazionale a guida Onu.
A parte la delegittimazione preventiva cui l’Onu E’ stata sottoposta con
anni di politiche scellerate che spesso questa stessa organizzazione ha
avallato - nel contesto in questione non c’E’ una minima aspettativa di
credibilità della proposta fatta.
Questa proposta mira, con ogni probabilità, a disarmare Hezbollah ed a
togliere a questa formazione il controllo dell’area libanese, in chiave
evidentemente filo israeliana. Ma questa politica, a parte il fatto che non
sarebbe accettata da una organizzazione che oggi ha già deciso, dopo anni,
di avere uno scontro aperto con Israele anche sul territorio ebraico, si
pone in contrasto con l’esigenza israeliana di non vedere riconosciuti
altri interlocutori (se non fittizi) nell’area stessa.
Prova ne sia la già sperimentata (e con quali effetti!) politica
unilaterale posta in campo già a Gaza
Hezbollah, d’altronde, non ha accettato di disarmarsi a seguito delle
risoluzioni dell’Onu (in particolare la 1559), rivendicando il suo
carattere di organizzazione di liberazione a carattere nazionale. Oggi fa
parte del governo (traballante e di unità nazionale) libanese ed in
febbraio ha stretto una forte alleanza con il partito di Aoun (una sorta di
eroe cristiano maronita), in qualche modo caratterizzandosi ancora una
volta più come forza di liberazione nazionale che non quale organizzazione
di parte o semplicisticamente religiosa.
Secondo alcuni (in particolare commentatori e leader politici arabi) la
soluzione della crisi passa per l’applicazione della risoluzione Onu 1559,
che prevede il disarmo delle milizie libanesi, quindi anche di Hezbollah.
Questi stessi, però, dimenticano che nell’area medio orientale o si
applicano tutte le risoluzioni dell’Onu e quindi anche le n° 242 e 338 che
chiedono il ritiro di Israele dai territori arabi e palestinesi occupati
nel 1967, o si E’ destinati ad un continuo rimbalzarsi responsabilità.
A conti fatti non si può che confermare che le scelte politiche di
organizzazioni quali Hamas ed Hezbollah non vanno viste quali posizioni di
radicali fondamentalisti religiosi ma quali posizioni di acute
organizzazioni politiche di liberazione nazionale e come tali valutate.
Oggi, con ogni evidenza, l’unica soluzione temporanea a questa guerra E’
data dallo scambio di prigionieri politici cui dovrebbe seguire la fine
delle occupazioni di Israele nell’area Medio Orientale.
Dario
p.s. Mi si dice che in Libano spopolano le bandiere dell’Italia, le cui
partite e giocatori sono molto apprezzati.
Nel 1982 l’Italia vinse il campionato del mondo e Israele occupò il Libano.
L’Italia ha vinto gli ultimi campionati del mondo e Israele attacca il Libano.
Forse la prossima volta…
L’autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,
la democrazia di
DISOBBEDIENZA