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Naomi Klein contro la “BONIZZAZIONE DELLA PROTESTA”
Publie le lunedì 15 ottobre 2007 par Open-PublishingNaomi Klein contro la
È ORA DI SMETTERLA CON I LIVE-AID DI BONO E GELDOF, TORNIAMO IN PIAZZA – LA PROFETESSA NO-LOGO ATTACCA I DIVI DELLA BENEFICENZA: “CON LORO LA NOSTRA LOTTA SI È IMBORGHESITA…”
Francesca Caferri per “la Repubblica”
Basta con i braccialetti colorati e i concerti. E basta con le rockstar in prima fila. È tempo di rimboccarsi le maniche e tornare a gridare in strada invece che negli stadi. È una strigliata al movimento anti-globalizzazione - o a quel che ne resta - quella che Naomi Klein, scrittrice simbolo dei no global, ha lanciato ieri ai suoi (ex?) compagni di strada dall´Inghilterra, dove si trova per presentare il suo ultimo libro, The Shock Doctrine.
Al centro delle critiche la star indiscussa del buonismo dello spettacolo: quel Bono che grazie alle sue opere umanitarie si è meritato lo scorso anno il titolo di uomo dell´anno di Time. E Bob Geldof, il cantante che per primo, negli anni 80, ebbe l´idea di mischiare musica e azione umanitaria. Insieme a Bono e Geldof nel mirino della Klein tutti quelli che nel corso degli anni hanno seguito i loro passi.
«La Bonizzazione della protesta, nel Regno Unito in particolare, ha spostato la discussione su un terreno molto più sicuro - ha spiegato la scrittrice parlando al festival di letteratura di Cheltenham - è un modello di protesta rock, da stadio: ci sono i personaggi famosi e poi ci sono gli spettatori che agitano i loro braccialetti. È meno pericoloso ed è meno efficace». Riferimento chiaro ai concerti del Live 8 che nel 2005 coinvolsero decine di star e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni degli organizzatori, suonare la sveglia per i leader del mondo riuniti in Scozia per il G8 per costringerli a impegnarsi di più nella lotta contro le diseguaglianze.
«Intendiamoci - ha proseguito l´autrice - credo che sia fantastico quando la gente famosa s´impegna in politica e tira fuori la testa. Penso che lo dovrebbero fare più persone, ma in modo meno sicuro. Il mio problema con Bono non è che lui è ricco e famoso: è che il suo modello di organizzazione è datato». È tempo di tornare in strada insomma, dice la scrittrice canadese.
Che le cose non possano semplicemente tornare come allora, anche la Klein deve saperlo bene: l´11 settembre ha avuto le sue conseguenze anche per il movimento, che per timore di repressioni violente ha preferito rifugiarsi su Internet, nelle chat rooms e sui blog. Ma il tipo di protesta “buonista” che ha preso il posto di quella di strada a lei proprio non va giù: «È molto più sicuro parlare su un blog che mettersi in prima linea. Internet è un fantastico mezzo per organizzarsi, ma funziona anche come mezzo di espressione, dà la possibilità di sfogarsi. E così ha eliminato l´urgenza». Colpa dunque «dell´imborghesimento dello spazio di protesta operato dai vari Bono e Geldof».
Per il movimento «ha avuto un effetto corrosivo», dice la Klein, che con eleganza sorvola sulle infiltrazioni violente, sull´incapacità di raggiungere obiettivi reali, sulla fumosità delle rivendicazioni che, secondo tanti analisti, hanno portato alla fine de facto del movimento di Seattle.
Quella di ieri è stata solo l´ultima delle frecciate che la Klein ha lanciato a Bono: nel 2003 lo aveva paragonato all´ex segretario di Stato Usa James Baker che usava la sua fama per cercare di far accettare la cancellazione del debito iracheno. Nel 2005 era tornata a calcare la mano facendo ironia sulla sua vicinanza con il presidente americano Bush. Nonostante ciò ieri da Bono (e da Geldof) non è arrivata nessuna risposta diretta all´attacco.
Per il leader degli U2 ha parlato Jamie Drummod, direttore esecutivo di Data, l´associazione fondata dal cantante per sradicare la povertà nei paesi africani. Secondo Drummond la Klein ha «sbagliato il punto», perché un cambiamento reale può essere raggiunto solo con l´insieme della mobilitazione di strada e di pressioni interne al sistema. «Certo, non è una scelta popolare incontrare Bush - ha ironizzato - sarebbe meglio che Bono si mettesse un passamontagna e lanciasse molotov: ma noi vogliamo vincere, non restare ai margini a lagnarci del sistema»