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Napoli - Un terremoto che continua dopo 25 anni !

Publie le sabato 26 novembre 2005 par Open-Publishing

Napoli.

A 25 anni dal sisma, mentre il potere celebra e mistifica quegli avvenimenti
con personaggi inqualificabili come Zamberletti, riproponiamo una
ricostruzione di qualche anno fa (scritta dai/le compagni/e del laboratorio
occupato Ska e da Officina 99 di Napoli) sullo scontro sociale che si
produsse intorno
alla tragedia.

IL TERREMOTO INFINITO.

Note su una catastrofe e su quello che ne è seguito.

23 Novembre 1980 : la terra trema ! In 90 terribili secondi si consuma una
drammatica scossa sismica che causa oltre 3.000 morti e parecchie decine di
migliaia di sfollati. Nella provincia di Avellino e in quella di Salerno
interi paesi scompaiono sotto le rovine ( nella sola Laviano rimangono
uccisi quasi il 50% degli abitanti); a Napoli crolla la torre di via Stadera
: farà da sola circa 100 morti.

Mai catastrofe naturale é veramente solo una catastrofe naturale e il
terremoto in Campania ha prodotto effetti tanto terribili anche per
l’inesistenza di qualunque politica di prevenzione in una zona sismica come
la nostra, sventrata piuttosto dalla speculazione edilizia.

Ma il terremoto del 1980 mette anche drammaticamente in luce un altro dramma
: il dramma sociale della società meridionale !
Una catastrofe con tanti nomi : sottosviluppo, disoccupazione endemica,
senzatetto, clientelismo, speculazione, sfruttamento e depauperamento del
territorio. L’incrocio fra la potenza devastante del sisma e i nodi sociali
della cosiddetta "questione meridionale" fanno del 23 novembre ’80 un
crocevia decisivo nelle vicende politiche e sociali della regione e
dell’intero paese.

Nei mesi seguenti un duro scontro si aprirà tra la tensione di migliaia di
proletari ad autorganizzarsi per conquistarsi diritti fondamentali e la
prepotenza con cui le strutture di potere rinsalderanno il controllo
politico per garantirsi i profitti.

Ma andiamo con ordine :
nelle 48 ore seguenti al sisma gli apparati di potere della democrazia
cristiana nelle province interne risultano anch’essi "fisicamente
terremotati". Molti sindaci, spaventati, letteralmente scappano via mentre
la stessa prefettura di Salerno si dimostrerà incapace di fronteggiare la
situazione e il prefetto sarà rimosso dopo poco. La cultura di un ceto
politico da sempre intento a curare solo i propri interessi pare inadeguata
a fronteggiare la drammaticità della situazione. In quelle stesse ore,
spinto anche dalla tragedia, pian piano il protagonismo popolare riempie il
vuoto istituzionale con la propria iniziativa. La rabbia verso uno stato
"nemico" anche nel ritardo dei soccorsi si mescola con la solidarietà fra
chi ha perso tutto. Le famiglie sono in molti casi materialmente distrutte e
tanti paesi sperimentano fin dalle primissime ore un nuovo modo di essere
comunità .

Ci si organizza per scavare i morti, per recuperare i feriti, per occupare i
comuni e sostituire amministrazioni dissolte nel rilascio di certificati e
documenti, finanche per garantire il cibo a tutti. Quando il giorno seguente
il presidente Pertini arriva a Laviano semidistrutta, è identificato dalla
rabbia popolare come simbolo di quello stato lontano e colpevole ed un
militante comunista lo colpisce con una sassata. Tornato a Roma Pertini avrà
una durissima sortita televisiva contro il malgoverno democristiano e i
drammatici ritardi nell’organizzare i soccorsi. Il giorno seguente il Pci
annuncerà la definitiva chiusura della fase del "compromesso storico" con la
Dc ritenendo indispensabile una "alternativa di sinistra". Nei fatti il
processo di corrompimento politico del partito andrà avanti e la gestione
consociativa con la democrazia cristiana continuerà anche nelle successive
vicende "dell’affare terremoto".

La Dc reagisce al possibile disfacimento del suo controllo con la nomina di
Zamberletti quale "commissario straordinario per il terremoto". Si apre così
la pratica dei commissariamenti (formalmente provvisori ma dureranno un
decennio) :
come negli anni ’70 si era risposto alle istanze di libertà e di
emancipazione con le leggi dell’emergenza, ora la cultura emergenziale si
trasferiva anche al campo amministrativo. Zamberletti costituirà così un
potere superiore ad ogni organo democratico e agli stessi prefetti,
disponendo senza alcuna trasparenza degli uomini, dei mezzi e delle
ingentissime risorse finanziarie che saranno stanziate.

Con l’alibi dell’efficienza si colmava il vuoto di potere in chiave
autoritaria "commissariando" la già precaria vita democratica della Campania
per garantire gli interessi forti dalle possibili insidie dell’iniziativa
popolare.

In molti paesi colpiti dell’Irpinia e del Salernitano cominciano intanto ad
organizzarsi i "comitati popolari" che avranno un punto di riferimento in
Rocco Falivena, militante di Lotta Continua passato poi al Pci. Inizialmente
partiti come esperienza di supporto ai soccorsi, i comitati cominciarono ad
assumere l’iniziativa politica rappresentando gli interessi calpestati delle
popolazioni locali.

C’era una premessa importante a questo moto di organizzazione popolare ed
erano le lotte dei braccianti : nella piana del Sele già da qualche anno
decine di migliaia di braccianti si erano mobilitati per l’avviamento
pubblico al lavoro, per il funzionamento degli uffici di collocamento contro
il caporalato, che invece era diffusissimo e consentiva ai padroncini del
ciclo del pomodoro, delle fragole ecc. di risparmiare fino al 70% dei salari
minimi previsti per la categoria ! Le lotte erano continuate anche con
episodi come l’occupazione di terre ( ad es. nel ’79 a Persano le terre
furono sottratte alla gestione dei militari dopo un duro scontro).
L’afflusso dei volontari (30.000 da tutta Italia) completò l’opera : erano i
giovani politicizzati degli anni ’70, in molti casi aderenti a
organizzazioni della sinistra extraparlamentare, che entrarono subito in
contatto con la popolazione locale contaminandosi reciprocamente. Ben presto
Zamberletti mostrerà insofferenza a questa presenza tentando a più riprese
di "ripulirla" almeno dei soggetti più radicali.

A metà dicembre del 1980 si riuniva per la prima volta dopo il terremoto
(era passato un mese !) il consiglio regionale e l’irruzione al suo interno
dei comitati popolari rappresentò il primo momento di grande visibilità del
movimento. I comitati vogliono prendere parola su tutto, dalla gestione dei
finanziamenti al riallocamento dei paesi ricostruiti, rappresentando la
rabbia di migliaia di persone costrette poi per anni a vivere nei
containers.

Una partita decisiva si gioca anche nel Pci sul ruolo dei comitati popolari
: la sinistra interna vuole farne un movimento autonomo, garante degli
interessi delle popolazioni colpite nei confronti della controparte
istituzionale, per impedire che la ricostruzione diventi solo occasione di
contrattazione tra burocrazie partitiche e comitati di interesse.

Il punto cruciale dello scontro sarà la legge 219 sulla ricostruzione. Viene
concepita senza interloquire con i movimenti, come strumento per l’assalto
ai fondi pubblici, attorno al quale si riorganizzerà il rapporto tra ceto
politico, lobbies dei costruttori e capitale extralegale (mafia.).

Insieme
ai provvedimenti successivi (legge 80 pr le grandi opere ecc.) la 219
distribuirà una pioggia di miliardi (oggi sarebbero 60.000 considerando
l’inflazione !), ma non produrrà sviluppo, divenendo solo occasione di
spartizione e di enormi profitti. La 219 ha anch’essa una concezione
"emergenziale", giustificata formalmente dalla velocizzazione dei tempi, ma
nei fatti questo servirà a togliere ogni trasparenza nella gestione delle
risorse. Esemplare l’istituto della "concessione" che attribuiva all’azienda
deputata alla realizzazione di un’opera funzioni solitamente pubbliche
(compreso l’esproprio delle terre) e le consegnava a scatola chiusa il 25%
del finanziamento per l’opera. Niente di più semplice che la società
"concessionaria" subappaltasse ad una ditta disposta a fare il lavoro col
75% dei soldi grazie all’uso di materiali di scarto , intascandosi il 25%.
La concessione veniva data a consorzi "accreditati", la qual cosa
normalmente è avvenuta attraverso un generale meccanismo di corrompimento
del corpo politico-istituzionale.

Singolare che molti considerino poi la 219 un enorme investimento per
l’economia meridionale. In realtà la gran parte delle ditte appaltatrici
erano settentrionali ( per i containers ad es. al Sud veniva fatto solo
l’assemblaggio).

Soltanto a Napoli le grandi aziende edili del nord dovettero
contrattare coi costruttori locali (do you remember Ferlaino?!) ed i
"consorzi concessionari" rappresentarono proprio il meccanismo per la
composizione percentuale di questi interessi. Si costituiva così quella
triangolazione di interessi che sarebbe venuta alla luce negli anni ’92-’93
con la tangentopoli napoletana: la camorra garantiva l’organizzazione del
consenso, i politici (in primis Gava, Pomicino e Scotti) veicolavano la
pioggia di finanziamenti in maniera opportuna, le imprese li intascavano e
redistribuivano agli altri due livelli. Una ricostruzione appena realistica
di quegli anni ci dimostra come la classe imprenditoriale non fu vittima ma
complice di questo processo, così come burocrati e tecnocrati, cui si
calcola siano finiti circa il 15% delle risorse (Pomicino, ad es, impose dei
magistrati come "collaudatori" delle opere del terremoto, così da fargli
incassare le mazzette legalmente per mettersi al sicuro da inchieste
giudiziarie). Una borghesia storicamente parassitaria e palazzinara trovo
modo di ingrassarsi ulteriormente, mentre la camorra fece un definitivo
salto di qualità sul piano economico e organizzativo, cominciando a
costituire le sue imprese anche direttamente. Quanto al ceto dirigente, una
visita agli albi professionali e ai ruoli ricoperti prima e dopo il ’93
potrebbe servire a darci la reale misura della presunta discontinuità
amministrativa seguita all’elezione di Antonio Bassolino. Nel 1990, a dieci
anni dal terremoto, tra corsie autostradali senza sbocco e operazioni
fantasma come il "riadattamento" dei regi lagni, a fronte di una spesa per
migliaia di miliardi c’erano ancora oltre diecimila senzatetto.!

In questo contesto l’ultimo tentativo dei comitati popolari di farsi
ascoltare ci sarà il 24 aprile 1981 con l’occupazione di un giorno della
stazione di Salerno e dell’importante svincolo autostradale di Eboli, ma il
29 aprile la 219 passava alla commissione della camera con l’astensione del
Pci che fino alla sera prima aveva promesso fiera opposizione !
Quando pochi giorni dopo, al congresso promosso dalla CGIL sulla
ricostruzione, il segretario Lama rifiutò di far parlare Rocco Falivena, il
movimento capì quanta poca simpatia evocasse nella sinistra istituzionale.
In realtà il partito comunista doveva tutelare gli interessi
dell’amministrazione Valenzi : quadro politico di formazione stalinista
Valenzi era diventato sindaco di Napoli ma aveva solo 40 voti su 80 in
consiglio e su tutte le scelte importanti era vincolato al voto
democristiano, coi quali era portato quindi a "consociarsi". Mentre la
Democrazia Cristiana spadroneggiava in tutta la Campania, facendo estendere
la definizione di aree di crisi (interessate perciò ai finanziamenti)
persino ad alcune province del foggiano, Valenzi strinse un accordo coi
costruttori napoletani ed al pci toccò la gestione del "commissariato"
deputato alla ricostruzione per l’aria di Napoli ( Ponticelli e Pianura fra
le aree più investite da questo processo).

Il piano di ricostruzione divenne anche il primo passo verso una
deportazione di massa dei proletari napoletani verso le periferie, cosa che
sta continuando ancor oggi. Tra le scelte politiche di quei giorni è da
segnalare quella di affidare ai privati la gestione dell’ingente patrimonio
pubblico (conseguenza della ricostruzione). Cresce così la "Romeo
costruzioni", oggi E.R., agenzia immobiliare e blocco di potere affaristico
che gestisce attualmente il patrimonio immobiliare pubblico napoletano e di
molte altre città.

Intanto nel 1980 pure a Napoli, dove accanto ai terremotati si pone la
questione numericamente soverchiante dei senzatetto, si sviluppa un
fortissimo movimento proletario intorno alle vicende del lavoro e della casa
L’epicentro di queste lotte erano le organizzazioni dei disoccupati, nate
nel ’75 intorno all’esperienza di Vico Cinquesanti e cresciute
vertiginosamente grazie alle capacità organizzaive del gruppo dei "Banchi
Nuovi" (sede storica del movimento).

Già in quegli anni i Disoccupati Organizzati dimostrano grande capacità di
radicamento e di alleanze, come quando il 6 ottobre 1978 prendono parola
durante un’assemblea con Pietro Ingrao all’Alfa Sud di Pomigliano : insieme
agli studenti, per denunciare le condizioni di lavoro all’Alfa e l’abuso
degli straordinari, bloccano le merci in entrata e in uscita piantando le
tende davanti a cinque delle portinerie della fabbrica. Respingeranno un
primo tentativo di sgombero della polizia grazie all’aiuto degli operai.
Quando il 19 febbraio del ’79 i D.O. occuperanno per una settimana la sede
della CGIL, malgrado l’avversione dei burocrati sindacali saranno protetti
dalla solidarietà dei consigli di fabbrica !

Dopo il 23 novembre 1980 perciò il proletariato precario risponderà con la
lotta e con un’imponente ripresa dell’organizzazione. Da questa data a
Napoli è un susseguirsi di occupazioni di case (circa 2500 !), alberghi,
quartieri Icap, conventi, in un ininterrotto accavallarsi di blocchi
stradali, cortei, rivolte, per lottare contro disoccupazione, impoverimento
e mancanza degli alloggi alternativi a quelli fatti sgomberare con la forza
nel dopo-terremoto.

Pure in questa circostanza l’amministrazione di sinistra, in coerenza con le
scelte fatte negli anni ’70, avversa i proletari organizzati per i propri
diritti e Valenzi definisce i D.O. "untori" della sovversione. Si prepara
così il terreno alla repressione che colpirà puntualmente :
il 19 febbraio 1981 c’è un corteo unitario promosso da Banchi Nuovi contro
Zamberletti, il 22 febbraio c’é una grande assemblea al cinema Meropolitan
dei D.O. e il 24 febbraio gli occupanti case lanciano la parola d’ordine
dell’occupazione delle case private. La sera stessa scattano 5 mandati per
"associazione sovversiva" verso i compagni di riferimento del movimento. I
D.O. risponderanno il 28 febbraio con un corteo di 10.000 persone
(disoccupati e studenti) aperto da uno striscione su cui era scritto : "
Organizzati e uniti occupiamo le case, lottiamo per il salario e il lavoro.

SIAMO TUTTI SOVVERSIVI ! ".

Il 27 aprile viene rapito dalle BR Ciro Cirillo, assessore regionale DC,
doroteo, cassiere napoletano di Gava e Piccoli. Le BR chiedono
immediatamente la chiusura della rulottopoli sita nella Mostra d’Oltremare e
la requisizione delle case sfitte per i senzatetto.

Malgrado la nostra grande distanza dal percorso politico delle BR bisogna
ammettere che il sequestro Cirillo ebbe inizialmente un considerevole
consenso popolare e causò scompiglio negli assetti democristiani pronti a
fare letteralmente "carte false" per la liberazione di Cirillo.

Il 20 maggio in 4.000, fra D.O. e senzatetto, attraversano la città in
corteo fin sotto palazzo San Giacomo. Polizia e Carabinieri, di fronte alla
mobilitazione di massa, non possono che lasciar loro la strada, nonostante
il divieto imposto il 5 marzo (accordo Foschi) e rinsaldato dopo il
sequestro Cirillo.

Si confermava insomma l’esistenza di una società duale in cui gli interessi
proletari tendono a darsi un’organizzazione propria per non essere più
calpestati mentre le istituzioni tendono a soffocare questi propositi per
riportar tutto nella letale mediazione mafioso-democristiana.
"Anche di fronte al sisma la città si é divisa in classi" scriveva con
rabbia il foglio di Banchi Nuovi sintetizzando la consapevolezza di un
movimento, che dai disoccupati organizzati di Napoli ai comitati popolari
dell’Irpinia e del Salernitano, seppe rappresentare speranza di riscatto.
Quel movimento seppe interpretare pienamente la centralità di quell’evento
tragico dentro la storia sociale e politica italiana, prefigurare i processi
attraverso cui si ridefiniva la forma stato e i rapporti tra i poteri nella
nostra regione a partire dalla gestione delle enormi risorse della 219.
Come ospiti indesiderati il protagonismo, le lotte e l’autonomia dei
proletari giocarono le loro carte sul tavolo dei destini sociali di
quest’area.

Uno Stato servo dei comitati d’interesse si adoperò per asfissiarne l’ansia
di cambiamento.

Le ragioni di quelle lotte sono però più vive che mai : le conseguenze delle
scelte politico-istituzionali del 1980 si sono sviluppate nel ventennio
seguente ed oggi il ritardo nello sviluppo dalle regioni settentrionali è
pressochè raddoppiato con la disoccupazione giovanile al 52% (.!). La
scuola-azienda sembra costruita appositamente per cancellare qualunque
memoria critica e costruire "forza lavoro" su misura per un futuro di
precarietà e flessibilità; il ricatto della clandestinità è usato per
costringere gli immigrati al lavoro nero, mentre il potere locale é
impegnato oggi come ieri a stendere lucrosi patti con i costruttori, con i
capitali legali e con quelli "extralegali"...

http://www.rekombinant.org